Stretto tra due rivoluzioni, quella francese del 1789 e quella russa del 1905, l’Ottocento fu, per definizione, il secolo delle metamorfosi. Tra le rivoluzioni non consumate sul campo di battaglia, la più eloquente si svolse nei teatri e vestì di nuovi abiti le attrici dell’ambiente lirico. I solenni volumi dei "panier", ovvero le intelaiature in bambù o costole di balena utilizzate per accentuare le proporzioni delle gonne, si ridussero. Al corpo stretto e appesantito da impossibili impalcature orizzontalmente ingombranti si sostituì il gusto per la verticalità, con fianchi assottigliati e acconciature torreggianti. Epicentro di questo passaggio di stile e di costume fu l’attrice francese Sarah Bernhardt, altresì nota come "la più grande attrice del mondo".

La voix d’or, ovvero la "la voce d’oro", la divina, il mostro sacro e la scandalosa sono alcuni degli attributi che le furono accordati dal grande pubblico. Sarah Bernhardt fu il nome d’arte, Rosine Bernhardt quello con cui venne registrata all’anagrafe. Considerata dalla critica italiana la sola rivale di Eleonora Duse, la Bernhardt intraprese la carriera teatrale all’età di diciotto anni dopo un’infanzia disordinata – il padre era un ufficiale di marina trattenuto in Cina, la madre la affidò dapprima alla balia bretone e successivamente alla sorella maggiore che, non sapendosene occupare, la portò in un ospizio di suore. Fu il Duca di Morny, fratellastro di Napoleone III nonché amante della zia e in seguito della madre, a iscriverla a corsi di pittura e scultura all’Ecole des Beaux e a farla entrare nei migliori istituti d’arte drammatica di Parigi.

sarony napoleon, sarah bernhardt nelle vesti di cleopatra, 1891pinterest
Granger NYC

Fu sempre il Duca di Morny a offrirle la conoscenza di regnanti, politici, artisti e collezionisti ai tavoli e nei salotti eleganti dell’élite parigina. All’indomani dalla sua espulsione dal teatro della Comédie Française – pare, per aver preso a schiaffi un’altra attrice che aveva, a sua volta, schiaffeggiato la sorella minore – furono proprio queste conoscenze ad assicurarle i fondi per l’acquisto di un appartamento non lontano da Place Vendôme, dove poté finalmente allestire il suo salotto. Se non che, nel 1972 la Comédie Française le chiese di tornare.

Il repertorio interpretato dalla Bernhardt fu vastissimo e la sua arte fu d’ispirazione per letterati e artisti visuali, come il fotografo Nadar e il cartellonista Mucha. Nella forma della sua recitazione era centrale l’uso del costume di scena, veicolo attraverso il quale restituire bellezza e unità al mondo in rivoluzione. Gli abiti da lei scelti si caratterizzavano infatti per una costante attenzione alla purezza formale, alla modellistica del corpo, alla plasticità dell’icona. Anche i gioielli di Sarah Bernhardt appartengono, insieme ai suoi costumi, alla storia della cultura e del teatro, come il bracciale di diamanti regalatole nel 1877 dallo scrittore Victor Hugo e i complementi dell’abito di Cleopatra. Tuttavia, molti dei preziosi appartenenti all’attrice furono da lei stessa portati al monte di pietà nei momenti di difficoltà della sua carriera imprenditoriale, che affiancò a quella di artista con esiti talvolta infelici. D’altronde il costume che le riuscì meglio fu quello del carattere teatrale che abilmente si ricamò addosso. Sul palcoscenico la Bernhardt era in grado di produrre sogni, piuttosto che nei lavori di conto.

w d downey, sarah bernhardt nelle vesti dell’imperatrice teodora, 1884pinterest
National Portrait Gallery

Tra le nuove istanze teatrali da lei introdotte va riconosciuto in primis il travestimento di genere. La convenzione secondo la quale ruoli femminili potessero essere interpretati da uomini era infatti comunemente accettata, vista anche l’interdizione che per secoli aveva impedito alle donne di recitare. Andando contro ogni consuetudine, la Bernhardt interpretò per scelta e con uguale passione anche ruoli maschili indossando gli abiti, tra gli altri, di Amleto e Pierrot. Le convenzioni di genere non potevano interessarle dal momento che, come lei stessa sosteneva, "l’attore lascia in camerino la sua personalità, spoglia l’anima dalle sue sensazioni… non può dividersi tra sé e il proprio ruolo; finché resta in scena perde il suo io".

sarah bernhardt nelle vesti di amleto, 1899pinterest
Library of Congress, Prints and Photographs Division, Washington, D.C.

Il suo temperamento artistico profondamente eclettico la portò a cimentarsi nelle attività di scultrice, pittrice, scrittrice di romanzi e componimenti drammatici. Drammaturghi della caratura di Victorien Sardou ed Edmond Rostand le hanno riconosciuto un senso del teatro prodigioso. Nel 1899 fu la prima ad abolire il suggeritore. Definendo la recitazione "uno sdoppiamento incessante della personalità" padroneggiava il dualismo finzione-verità identificandosi totalmente nel personaggio fintanto che era sul palco e reclamando sé stessa solo al termine della scena. Pur distante dai canoni estetici dell’epoca, la voce, il portamento e la dizione perfetti la rendevano inesorabilmente bella.

Il tramonto della sua parabola teatrale fu lungo e vissuto sotto le luci della ribalta. Superati i settant’anni e con una gamba mutilata, seppur con difficoltà di movimento, continuò ad entrare in scena rimanendo seduta. Il suo ricordo vive ancora oggi nelle fotografie di Nadar, nelle lezioni di realismo mai dimenticate e nel Théâtre de la Ville "Sarah Bernhardt" che lei stessa che acquistò dal municipio di Parigi e dove, quasi sessantenne, rivestì i panni di Amleto.