Dieci anni dalla morte del cardinal Martini, il vescovo che anticipò Papa Francesco - la Repubblica

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Dieci anni dalla morte del cardinal Martini, il vescovo che anticipò Papa Francesco

Dieci anni dalla morte del cardinal Martini, il vescovo che anticipò Papa Francesco
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Un ricordo della personalità di uno dei più importanti leader spirituali in Italia e in Europa. Un volume ne ricostruisce il rapporto con Milano
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Carlo Maria Martini – di cui il 31 agosto ricorre il decennale della sua morte – non è stato solo un grande vescovo di Milano, ma anche un leader spirituale in Italia e in Europa. Una personalità rara in quegli anni e forse anche dopo. L’attuale arcivescovo di Milano Mario Delpini riferisce che capita molto spesso che ci siano persone che argomentano dicendo: «Come diceva il card. Martini?». L’autorevolezza e l’incisività della proposta pastorale del card. Martini – spiega Delpini – probabilmente scaturisce dalla particolare convinzione che Martini rappresentasse una attitudine “progressista”, aperta verso le problematiche e sfide contemporanee.

Evidentemente è una immagine riduttiva considerata la sua figura, così coerente, ma anche così sfaccettata e complessa. Pertanto, a dieci anni dalla morte, si sente la necessità di storicizzare la sua figura per evitare che la memoria della sua figura sfumi e si diluisca con il passare del tempo. Provvede brillantemente a soddisfare l’esigenza di ricordarne la figura, così rilevante, il bel volume, uscito recentemente, curato da Agostino Giovagnoli e Danilo Bessi, "Carlo Maria Martini: il vescovo e la città. Tra Milano e il mondo" (Vita e Pensiero 2022 pp. 160, € 15), che raccoglie gli atti di una giornata di studio tenuta il 9 maggio 2022, nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, promossa dal Centro di ricerca World history-Civiltà e culture nel mondo contemporaneo.

In queste pagine, con efficacia da alcuni testimoni che lo hanno conosciuto personalmente ricordano efficacemente il profilo di Martini, richiamandone il suo rapporto con temi diversi: l’ecumenismo, la carità, Israele “radice santa”, la comunicazione con tutti, il dialogo di riconciliazione. Non questioni teoriche – spiega Giovagnoli - che lo hanno interessato intellettualmente, ma temi che hanno segnato la sua vita e che rimandano alle persone da lui incontrate e di cui si è fatto carico. Ne emerge il vissuto di uomo di fede e, soprattutto, il rapporto intenso di Martini con il suo tempo. Volendo individuare una cifra qualificante del magistero del card. Martini è innegabile riconoscere quanto si concentri continuamente e si alimenti del tema della Scrittura e della Parola di Dio. Per Delpini lo stesso Martini «ha voluto concentrare tutta la sua missione nell’intento preciso di voler richiamare la Chiesa di Milano e tutta la Chiesa a questo riferimento sostanziale alla Parola, giungendo addirittura a sognare una Chiesa “tutta sottomessa alla Parola”».

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Andrea Riccardi ha rievocato il periodo in cui lo ha conosciuto, nel cuore degli anni Settanta, e la sua stretta amicizia con la Comunità di Sant’Egidio, efficacemente raccontata nel libro – anch’esso uscito recentemente - di R. Zuccolini, La Parola e i poveri, Storia di un’amicizia cristiana. Carlo Maria Martini e la Comunità di Sant’Egidio, Cinisello Balsamo (Mi) 2022. Negli anni Settanta, con il convegno diocesano del 1974 sui mali di Roma, il mondo dei religiosi nella capitale, spesso chiuso nelle case generalizie o nelle istituzioni, si sentiva provocato, ricorda Riccardi. Non si poteva vivere a Roma da stranieri o in modo autosufficiente e la Comunità di Sant’Egidio, nata da poco e presente nelle periferie, composta largamente da giovani, fu l’approdo per alcuni di essi.

Ricordò successivamente Martini: «All’inizio degli anni Settanta, camminavo un pomeriggio per le strade di Trastevere riflettendo su una certa lacerazione esistente, nell’immediato dopo-Concilio, tra coloro che puntavano sull’impegno con i poveri, per trasformare la società, e coloro che invece puntavano tutto sulla spiritualità. Mi dicevo: deve pur esistere una conciliazione pratica, un modo di unire concretamente nella vita, il senso del primato di Dio… e un’urgenza pratica di amore per i poveri… Ed ecco che mentre riflettevo, passeggiando per Trastevere, vidi un giovane che portava tra le mani un libro della Bibbia, mi dissi: qui ci dev’essere qualcosa… spariva dietro una porticina e, pur avendo una grande curiosità di seguirlo, non osai farlo».

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Martini ne parlerà in altre occasioni, tra cui un capitolo del volume Il mio Novecento: «Cercavo un impegno che fosse legato alla Bibbia e insieme alla carità verso i poveri. Lo trovai appunto a S. Egidio, dove partecipavo ogni tanto alla preghiera… Conobbi un po’ la realtà della Roma di periferia e le persone molto buone che vivevano là. Servì quasi di preparazione per l’attività pastorale che in seguito avrei dovuto svolgere a tempo pieno a Milano».

Per Riccardi, Martini è vescovo del Vaticano II, non solo perché ne incarna il messaggio nel ministero episcopale, «ma perché coglie quella “spinta unitiva” che veniva dal Concilio, superando la guerra fredda, la conflittualità tra cristiani e con le altre religioni, verso un mondo futuro, unito e fraterno, capace di realizzare pace e dialogo tra diversi». Il Vaticano II, infatti, – avrebbe detto la Pira – ha rappresentato una grande spinta unitiva. Martini è stato vescovo «di un mondo globale, dove praticò l’ecumenismo durante la guerra fredda, specie con i russi ortodossi. Aveva colto come mancava una costruzione spirituale nel mondo globale». Non ci si poteva riparare dietro lo schermo dei valori non negoziabili, tanto cari al Cardinal Ruini.

Nel 1991 Martini significativamente scrisse: «Solo partendo dal primato del Vangelo, si potrà dire che si mettono a posto i valori». Bisognava accettare la globalità nel mare aperto della storia, che interroga la fede e l’intelligenza del credente: «Oggi attraverso l’informazione sofisticata siamo caricati di problemi mondiali – diceva nel 1995 – senza avere la forza e le chiavi interpretative per rispondere. Questa è una condizione drammatica. Non abbiamo delle risposte globali… Quando pongo una simile questione mi sento rispondere che questa è una domanda tipica della mentalità moderna, mentre oggi siamo nel postmoderno e non cerchiamo più soluzioni globali. Però io rimango con la fame di soluzioni globali». Esprimeva così, sottolinea Riccardi, non l’ansia di un sistema chiuso, ma la testimonianza di un cercatore di Dio nella storia e nella geografia dell’oggi globale, sapendo che il viaggio dell’uomo va al di là dei confini della vita e della storia. Resta l’interrogativo sul sogno, lanciato dal 1999 e negli ultimi anni, di un nuovo Concilio, che lasciava perplesso chi considerava ancora inattuato il Vaticano II e allo stesso tempo chi vedeva nello stesso Concilio l’origine della crisi della Chiesa: «Siamo indotti a interrogarci se, quaranta anni dopo l’indizione del Vaticano II, non stia a poco a poco maturando, per il prossimo decennio, la coscienza dell’utilità e quasi della necessità di un confronto collegiale e autorevole tra tutti i vescovi su alcuni dei temi nodali emersi in questo quarantennio».

Potremmo dire che Martini preconizza molti temi oggi assai cari a Papa Francesco, anch’esso gesuita con origini piemontesi. Infatti, la Chiesa sognata dal cardinal Martini non è una istituzione che eroga servizi sociali, ma una comunione di persone, resa “incandescente” dall’amore dei poveri, dove tutti sono accolti e amati. Una comunità capace di vivere l’amicizia verso tutti a partire dagli “ultimi”. Per Martini i cristiani devono lasciarsi purificare e bruciare dal fuoco della carità, non spegnerlo o smorzarlo, soprattutto con l’atteggiamento della delega della carità; con la mancanza di collaborazione e coordinamento; con il ripiegamento e la rinuncia alla politica. «Se ogni credente si impegnasse in un quotidiano servizio della carità e se tutti i credenti fossero abituati a confrontarsi tra di loro, a comunicarsi nella fede le esperienze di carità, nascerebbe una vita di Chiesa più pronta a rispondere ai bisogni della società con la luce e la forza del Vangelo».

Tra i pensieri coraggiosi e lungimiranti di Carlo Maria Martini molti sono riservati ai temi della giustizia. Gli scritti di Carlo Maria Martini in materia di giustizia penale sono ricchi e numerosi, contraddistinti per la complessità della sua riflessione: mai esclusivamente giuridica, anche se non privi di riferimenti all’ordinamento vigente; non esclusivamente pragmatici, anche caratterizzati da una profonda conoscenza delle tante situazioni personali e istituzionali; mai esclusivamente teologica, anche se profondamente intrisa e pervasa dalla “Parola”, come Martini ripeteva continuamente.

Nel volume la giurista della Cattolica Claudia Mazzucato ha richiamato il contributo dato dal Cardinale nell’avvio di un sorprendente dialogo di riconciliazione tra i responsabili della violenza politica e le loro vittime. Il card. Martini era enormemente presente nelle storie e nelle vite sia di chi aveva subìto la violenza, sia di chi l’aveva agita: «era una persona fondamentale – ricorda la Mazzuccato - per ciascuno di loro, una presenza la cui cifra lungimirante, lucida, onesta, ferma e affettuosa aveva inciso in più di un passaggio cruciale di cambiamento personale e collettivo in quegli anni terribili. In particolare, chi aveva compiuto azioni violente nutriva una sorta di urgente desiderio di “restituire” al card. Martini ciò che di fecondo, vitale e decisivo essi avevano da lui ricevuto: gli “ex” tenevano che padre Martini sapesse che al disarmo materiale stava seguendo il rinnovamento scaturito dal disarmo esistenziale, un rinnovamento di cui la possibilità di incontro con le vittime era un segno supremo, tanto tangibile quanto insperato».

Così Martini si rivolse a vittime ed ex appartenenti ai gruppi armati, consapevole di quanto il lavoro sulle conseguenze del male sia opera faticosa da portare avanti con dedizione quotidiana, consapevole di quanto l’esperienza fosse «aperta», né può dirsi chiusa oggi: «Deve nascere da questa esperienza non chiusa un ripartire per nuovi orizzonti, un’elevazione di piano; deve nascere un bilancio che contenga la capacità di capirsi e dialogare».

Martini è stato tante cose. Innanzitutto, un uomo di un respiro largo e profondo che sapeva aprire – con la sua tenace volontà di “imparare il mondo” - gli ambienti ecclesiastici e non ad una dimensione universale. Ma soprattutto – direbbe Riccardi – un uomo con idee chiare e punti di vista ben delineati che scaturivano da un pensare biblico che non significava un discorso infarcito di citazioni bibliche ma definito dalla Parola di Dio e da essa formato.

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