Trentadue volte ministro, sette presidente del Consiglio, ininterrottamente in Parlamento dall’Assemblea costituente fino agli ultimi giorni della sua vita: dunque dal 1946 al 2013 (fate un po’ voi il conto). Bastano queste due righe per comprendere il ruolo da assoluto protagonista che Giulio Andreotti ha ricoperto nella storia repubblicana del nostro Paese. Ha assistito da spettatore privilegiato ai principali avvenimenti della vita politica italiana, incarnandone (prima e meglio di altri) virtù e difetti, luci ed ombre. È senza dubbio, a torto o a ragione, l’uomo politico più discusso della Prima Repubblica.

Giulio Andreotti nasce a Roma nel 1919. Perde il padre a soli due anni e cresce insieme alla madre e ad una vecchia zia. Frequenta i migliori licei classici della capitale, il Visconti e il Tasso, e si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza della Sapienza, laureandosi con il massimo dei voti. Fondamentale per la sua formazione politica e culturale la sua esperienza alla FUCI (Federazione Universitaria Cattolici Italiani); diventa prima direttore di Azione Fucina (la rivista degli universitari cattolici) e poi prende il posto di Aldo Moro alla presidenza della federazione. Decisivo per il suo ingresso in politica fu l’incontro con quello che diventerà il suo mentore: Alcide De Gasperi. Andreotti ha raccontato più volte di averlo conosciuto nella biblioteca vaticana, mentre studiava diritto della navigazione. De Gasperi si rivolse al giovane Giulio chiedendogli se non avesse nulla di meglio da fare. Andreotti ci rimase male ma qualche giorno dopo venne convocato in casa di Giuseppe Spataro da quello strano impiegato della biblioteca. Inizia così il cammino personale di Andreotti e della DC.

Nel 1946 è eletto all’Assemblea costituente e su suggerimento di Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI) diventa il più giovane esponente del primo governo della neonata Repubblica guidato da De Gasperi. Andreotti a soli 28 anni è Sottosegretario alla presidenza del Consiglio. L’ascesa del delfino di De Gasperi prosegue anche dopo la morte dello statista. Nel 1954 è per la prima volta ministro, andando ad occupare il dicastero dell’Interno del primo governo Fanfani. Poi ministro delle Finanze. In qualità di presidente del comitato organizzatore, ha un ruolo strategico alla Olimpiadi del 1960 a Roma. Occorre ricordare che l’impegno di Andreotti da sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo fu determinante anche per la riapertura di Cinecittà e per la ripartenza del Cinema italiano nel Dopoguerra.

In quegli anni Andreotti dà vita alla sua corrente all’interno della DC (Primavera) e alla rivista Concretezza, da lui stesso fondata e diretta. Perché oltre ad essere un politico, Andreotti era anche un giornalista e uno scrittore. Fu autore di diversi libri di discreto successo, che come amava ricordare lui erano la sua vera fonte di guadagno, a differenza della politica. Nei complicati anni dell’apertura ai socialisti è confermato ministro della Difesa del primo governo di centrosinistra guidato da Aldo Moro. Andreotti tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta è uno dei maggiori oppositori al progetto di apertura a sinistra voluto da Fanfani e Moro.

In questa opposizione trova sponde importanti sia Oltreoceano che Oltretevere. Stati Uniti e Vaticano rappresentarono sempre i principali interlocutori, e per molti versi sostenitori, della politica andreottiana. Loro si fidavano di lui e lui traeva forza dalla fiducia di due attori che in piena Guerra Fredda esercitavano un ruolo imprescindibile. Deve attendere però fino al 1972 per diventare per la prima volta presidente del Consiglio. L’azione andreottiana si contraddistingue per un’eccezionale attenzione alla politica estera, ovviamente per il continuo e privilegiato rapporto con Washington come ricordato, ma anche per un nuovo approccio in Medio Oriente nei confronti dei paesi arabi.

È lui che presenta alle Camere il suo terzo governo (nato sulla scia dell’accordo tra DC e PCI negli anni del compromesso storico) il giorno del rapimento di Aldo Moro. Andreotti stesso racconterà che in vita sua ha pianto pochissime volte; una di queste fu quel 16 marzo del 1978. Qualcuno dice che venne colto anche da irrefrenabili conati di vomito. La vicenda Moro fu probabilmente la prima grande tragedia che lo colpì in prima persona, umanamente e politicamente. Negli anni Ottanta diventa Ministro degli Esteri, l’incarico che probabilmente gli diede più soddisfazioni e dove Andreotti poté sfruttare al meglio le sue capacità. In questo periodo, oltre a ricercare come detto un nuovo dialogo con il Medio Oriente e a provare a stemperare le tensioni tra Mosca e Washington, il politico romano ebbe più volte occasione di scontrarsi con il suo rivale Bettino Craxi.  I due non si prendevano a pelle e si resero più volte protagonisti di “frecciatine” reciproche.

A proposito, su questo terreno Andreotti era un maestro. Una dei suoi maggiori talenti era quello della battuta pronta (e dell’innata ironia), della frase a effetto con la quale riusciva a pungere i suoi avversari mantenendo comunque uno stile distaccato e mai volgare. Si potrebbero riempire pagine e pagine nel citare i mille aforismi a lui attribuiti.

Dal celeberrimo “Il potere logora chi non ce l’ha”, al “Non basta avere ragione, serve anche qualcuno che te la dia”, al leggendario “I preti votano, Dio no” (in risposta alla provocazione di Indro Montanelli che sosteneva che in chiesa De Gasperi parlasse con Dio, mentre Andreotti con il prete); oppure l’enigmatico “Se non vuoi che una cosa si sappia, non devi dirla neanche a te stesso”; e si potrebbe andare avanti per giorni.

Come parlare di Giulio Andreotti senza menzionare l’importanza fondamentale che attribuiva alla memoria. I suoi diari, oggi conservati con grande cura all’Istituto Sturzo, hanno rappresentato per anni uno strumento di potere. “Si fa bene ad avere un diario, ed è utile che tanta gente lo sappia”, diceva lui stesso. A parte le congetture sul contenuto e sui segreti di questi diari, le carte raccolte in decenni di vita politica da parte di Andreotti rappresentano preziose testimonianze dirette di un lunghissimo periodo storico, una vera e propria ricchezza per studiosi e curiosi.
Per completare il quadro ricordiamo l’ultima fase della vita di Giulio Andreotti.

Gli ultimi suoi governi agli inizi degli anni Novanta sono caratterizzati dalla fine della Guerra Fredda in campo internazionale e dalla crisi interna della politica italiana travolta dall’inchiesta “Mani pulite”. Sono anni difficili per l’intero sistema politico, con i partiti tradizionali agonizzanti che di lì a poco verranno spazzati via per lasciare spazio alla cosiddetta Seconda Repubblica e all’avvento berlusconiano. La mancata elezione al Quirinale nel 1992 rappresenta una delle sconfitte politiche più cocenti per Andreotti, che comunque anche in quella occasione non diede la soddisfazione di mostrare una particolare sofferenza.

I momenti più complicati per Andreotti sono però senza dubbio quelli trascorsi nelle aule di tribunale a difendersi dalle accuse di rapporti poco chiari con la mafia. Processi dai quali uscì sempre indenne. Rimase comunque al suo posto da parlamentare fino alla fine, grazie anche alla nomina a senatore a vita voluta dal presidente Cossiga. Non che ad Andreotti facesse particolarmente piacere, perché gli impediva di fatto di continuare a coltivare quel rapporto pluriennale con il suo elettorato. Va infatti ricordato che Andreotti fu anche un fuoriclasse di preferenze: per anni il politico più votato nel Lazio e in Italia.

Andreotti è stato sicuramente uno dei personaggi più significativi della politica italiana e internazionale, per longevità e importanza delle cariche ricoperte. Il suo ricordo credo sia in parte macchiato dai processi degli ultimi anni e da una macchina del fango che come sappiamo prende spesso di mira chi resta ai vertici dello Stato per molto tempo. A distanza di dieci anni dalla sua scomparsa è forse ancora troppo presto per analizzare con occhi lucidi e in maniera oggettiva il lascito di una figura storica del nostro Paese, che però ancora oggi (per ceri versi inspiegabilmente) riesce ad affascinare le giovani generazioni.
Mi piace concludere il racconto (forse lungo e me ne scuso) di Giulio Andreotti ricordando una delle sue frasi che preferisco in assoluto e che per me costituiscono una sorta di mantra:

“So di essere di media statura, ma non vedo giganti attorno a me”
                                                                                  Giulio Andreotti

Avatar photo

Nato a Cosenza 27 anni fa, vive a Roma dal 2015. Ha lavorato come giornalista tirocinante presso Mediaset RTI, nella redazione politica di News Mediaset (Tg4, StudioAperto, TgCom24). È laureato in Filologia Moderna alla Sapienza e ha conseguito il Master in Giornalismo radiotelevisivo con Eidos Communication. Si occupa di giornalismo politico. Redattore di Radio Leopolda, collabora alla Camera dei deputati. Ha scritto un libro su Giulio Andreotti. È fortemente interista, ma ha anche dei difetti