Milady - I quattro moschettieri di Richard Lester: la recensione del DVD CG - Indie-eye – Cinema
lunedì, Aprile 22, 2024

Milady – I quattro moschettieri di Richard Lester: la recensione del DVD CG

D’Artagnan (Michael York) prima di incontrare i Tre moschettieri (Oliver Reed-Athos, Richard Chamberlain-Aramis e Frank Finlay-Porthos), era un giovane scanzonato e attaccabrighe. Unitosi a loro, si farà difensore della regina Anna d’Asburgo (Geraldine Chaplin) e della sua affezionata servetta Costance De Bonacieux (Raquel Welch), quest’ultima amante del giovane moschettiere. I 4 prenderanno parte altresì allo scontro con gli Ugonotti francesi a La Rochelle del 1627-28, culmine della guerra anglo-francese.

Il temibile cardinale Richelieu (Charlton Heston) ordinerà alla ammaliante calcolatrice Milady (Faye Dunaway) di organizzare l’assassinio del Duca di Buckingham, per sventare l’intervento delle truppe inglesi a favore degli Ugonotti. Inoltre farà rapire Costanza, colpevole di aver coperto l’avventura amorosa fra la regina e il duca di Buckingham.

L’opera di Lester si muove sulla stessa linea di Dumas, e vi si avvicina più delle altre numerose trasposizioni cinematografiche sia per una certo lavoro di minuziosità da parte dello sceneggiatore George MacDonald Fraser, autore della serie di “Flashman”, sia per una certa affinità ideologica che si percepisce tra Lester e Dumas, a partire dall’idea che lo scrittore francese abbia scritto le sue opere con l’unico intento di divertire e intrattenere il lettore, come lui amava asserire.

Dumas venne descritto da Gustave Flaubert come: “colui che divertiva come una lanterna magica” e che ha adattato la storia alle esigenze della narrazione attraverso il dispositivo letterario che magicamente riesce a intrattenere e a stimolare la “sete di leggere” (Hugo), così Lester è un Douanier Rousseau (come lui stesso ama definirsi), autodidatta, dotato dunque di un’istintiva abilità fantastica che, tuttavia, esclude ogni improvvisazione.

La suggestione immaginifica che emerge dall’opera letteraria è quella di una corsa continua e ininterrotta nel buio fatto di lunghe cavalcate, intrighi e bugie che tutti sono abituati a dire, compresi i moschettieri, terminando in un circolo vizioso nel quale finisce anche lo spettatore debitamente e ironicamente “preso per il naso”,  a questo proposito basta pensare al rapporto ambivalente tra D’Artagnan e la “dark” Milady, fatto di giochi di compiacenza e di menzognea. Oppure, altra suggestione, quella di un eroismo disinteressato che colpisce i moschettieri letterari tanto quanto quelli cinematografici: nella trasposizione di Lester, ciò che li muove alla liberazione de La Rochelle dagli Ugonotti è la scommessa di riuscire a consumare una colazione sul bastione che nel caso di Dumas, stando a significare una sua opposizione ai valori della società, ovvero quella reazionaria di Luigi Filippo di Francia, diventa l’occasione per regalarci l’opera dell’eterna giovinezza e dell’eterno gioco, mentre Lester spinge maggiormente su una dichiarazione di umorismo e ateismo, a cui non risparmia riferimenti marcatissimi nel tratteggiarci il personaggio viscido e doppiogiochista del cardinal Richelieu, oppure quando ci presenta la sequenza del duello sanguinario consumato di fronte all’altare principale di un convento dove alcune monache erano riunite in preghiera.

Nel libro-intervista scritto a due mani con Steven SoderberghGetting Away With It”, nel quale emerge tutta la grande ammirazione del regista di “Sex, Lies & Videotape” per Lester, quest’ultimo parla proprio di questo: del suo ateismo, del suo humor e del suo cinema “low budget”, della giocosità e dello scetticismo che pervadono i suoi film. Come Soderbergh, Lester ha avuto successo in tenera età, è divenuto autore brillante del cinema, artista comico insidioso, e membro borderline dello studio-system. E “Milady” è nel segno di questo suo cinema che ondeggia come le cavalcate dei moschettieri o come le disavventure che vedono protagonista il soldato semplice Gripweed aka John Lennon in “How I Won The War”, tra il grottesco e il surreale, che lo stesso Lester definisce come due cerchi concentrici in cui si incontra la realtà; il punto dove questi s’incontrano è quello in cui il surreale può verificarsi, e dove si può passare dalla attuale realtà a quella successiva, formando una linea continua che, partendo dalla comicità dei Monty Python, percorre a ritroso il tratto che passa attraverso l’esperienza di autori quali l’illustratore e compositore di poesie nonsense (limerick) Edward Lear, fino allo scienziato e umorista Stephen Leacock. Questi ultimi ai quali Lester fa riferimento attraverso la sua opera, sono percorsi da un filo rosso che unisce la sua idea di cinema a quella di una certa esperienza di comicità che più lo ha ispirato: Buster Keaton, Spike Mulligan (l’autore del “The Goon Show” per il quale Lester lavorò) e Peter Sellers.

“Milady” dipana questo filo rosso del racconto di Dumas attraverso la comicità cerebrale e anarchica, la poesia, l’opera letteraria ma anche la tradizione più antica del Vaudeville con la maestria di uno spadaccino, pronto a squarciare il velo delle convenzioni sociali e religiose nel segno di “un’anarchia volta a combattere contro l’istituzione”; la stessa volontà che sta dietro alla filosofia del “Tutti per Uno, Uno per Tutti”, patto che impegna i Quattro Moschettieri al servizio di re e regina e all’unione d’intenti seppur nel mantenimento dell’unicità del singolo individuo, qui disegnato ora come un’inaffidabile farabutto ora come un ubriacone o tutto il contrario; caratterizzazioni, queste, nel costante segno dell’antitesi tra bene e male e nella messa in discussione dell’istituzione, di cui Lester si prende gioco lasciando chiaramente intravedere la vana lotta del potere nell’arroccarsi nelle proprie roccaforti, quasi mai sinonimo di giustizia e rettitudine.

 

Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini è curatrice della sezione corti per il Lucca Film Festival. Scrive di Cinema e Musica

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