Il ‘mostro di Firenze’ - Treccani - Treccani

Otto duplici delitti dall’agosto 1968 al settembre 1985. Coppie di giovani amanti, sorpresi in intimità, in luoghi isolati della provincia fiorentina; barbaramente uccisi da una Beretta serie 70 che spara cartucce Winchester con l’H sul fondello, talvolta finiti da un’arma da punta e da taglio con cui, quattro volte su otto, vengono strappati macabri feticci alle vittime femminili. Il primo a finire in carcere è Stefano Mele, il marito di Barbara Locci, uccisa con l’amante in auto nella notte tra il 21 e il 22 agosto 1968. La medesima arma continua però a uccidere mentre Stefano Mele sta scontando la pena detentiva; si scandaglia l’ambiente sardo di cui moglie e marito facevano parte. Finiranno indagati amanti, parenti, guardoni, comparse senza né arte né parte.

L’assassino, definito dai media il ‘mostro di Firenze’ non pone fine alla propria crociata, continua a colpire, ‘liberando’ però di volta in volta quanti hanno avuto la sventura di avere alibi poco convincenti. Il 13 dicembre 1989, il giudice istruttore Mario Rotella, dopo aver elencato per 150 pagine elementi a dir poco sospetti sull’ultimo dei soggetti indagati, dichiara non doversi procedere oltre e la cosiddetta ‘pista sarda’ si chiuderà per sempre.

Salvatore Vinci, uno degli amanti di Barbara Locci, dopo il proscioglimento, farà perdere le proprie tracce; il cadavere del fratello, Francesco, nell’agosto 1993, viene trovato carbonizzato nella propria auto. Il caso è tutt’altro che chiuso. Vengono coinvolti l’FBI, ma anche criminologi, psicologi, sociologi, analisti di ogni genere e risma. Un nuovo ‘mostro’ sorge all’orizzonte nell’ottobre del 1991. Pietro Pacciani ha il perfetto physique du rôle, con quell’omicidio nel 1951 in cui sorprende la fidanzata con un amante. Il 1° novembre 1994 viene condannato all’ergastolo per sette degli otto duplici omicidi attribuiti al cosiddetto mostro di Firenze. Per il 1968 non si trovano prove convincenti. La Corte di appello non è dello stesso parere e lo assolve, scombinando i piani di una Procura che nel frattempo ha addirittura trovato i complici del contadino di Mercatale. Pacciani morirà, alcuni dicono per cause sospette, prima che venga sottoposto a un nuovo giudizio; i suoi complici verranno condannati per quattro degli otto duplici omicidi nei tre gradi di giudizio. Tutto l’impianto accusatorio si basa sulle (traballanti) dichiarazioni del chiamante in correità: Giancarlo Lotti. Indizi gravi, precisi e concordanti? Non proprio, ma fortunatamente sono sorretti dalle dichiarazioni contraddittorie e inverosimili di una prostituta alcolista e un oligofrenico dichiarato invalido al 100%.

Lo stesso Lotti fornisce tre-quattro versioni diverse circa il movente che li avrebbe spinti a uccidere. Uno più sghembo dell’altro, sia ben chiaro. Rivela infine che un ‘dottore’ li avrebbe reclutati per entrare in possesso delle parti anatomiche asportate alle vittime femminili. Un dottore che le successive indagini (incredibilmente) non riescono a rintracciare. Viene però rinviato a giudizio un farmacista che secondo l’assunto accusatorio avrebbe svolto il ruolo di trait d’union tra il gruppo dei cosiddetti ‘mandanti gaudenti’ e il gruppo degli esecutori materiali, formato da Pietro Pacciani, Mario Vanni, Giancarlo Lotti, per i loro paesani Il Vampa, Torsolo, Katanga. Il farmacista (e la sua famiglia), dopo aver subito una gogna mediatica rara (che dura tutt’oggi), verrà assolto perché il fatto non sussiste.

La Procura di Firenze fa un passo indietro, si fa avanti la Procura di Perugia. Un gastroenterologo perugino è scomparso nel Trasimeno nell’ottobre 1985. Voci di paese lo indicano come coinvolto negli omicidi del mostro di Firenze. Emergono aspetti curiosi e suggestivi sulla vita del medico perugino, sulla sua misteriosa dipartita. Illazioni, ipotesi, congetture che però tra prescrizioni e assoluzioni non riescono a svelare il suo eventuale ruolo.

Nel novembre 2020 è stata archiviata anche l’ultima delle inchieste sul mostro di Firenze, quella su un legionario coetaneo e conterraneo di Pacciani. «L’archiviazione del procedimento – riporta nella sua ordinanza il Gip Angela Fantechi – non comporta preclusioni di nessun tipo, in qualunque momento nuove emergenze possono condurre ad una riapertura delle indagini». Che è anche un invito a cercare nuovi elementi concreti volti a svelare la verità dei fatti perché a oggi, dopo 55 anni di indagini, per tre degli otto duplici omicidi attribuiti al mostro di Firenze, non c’è ancora un colpevole.

È stato fatto il possibile per raggiungere una verità perlomeno accettabile? Una rilettura degli atti d’indagine potrebbe indicare nuovi elementi disgraziatamente trascurati?

Immagine: Stanisław Ignacy Witkiewicz, Fantasia, 1922, Museo nazionale di Varsavia. Crediti: Stanisław Ignacy Witkiewicz [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

© Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani - Riproduzione riservata

Argomenti

#indagini#omicidi#Mostro