“Zecca mai esistita”: così Giuseppe Ruotolo si esprime a a proposito di Belmonte, in provincia di Cosenza, a p. 511 della guida Le zecche italiane fino all’Unità, testo di riferimento sullo studio delle officine monetarie del nostro paese.

Definizione da spiegare, nel senso che la cittadina calabra in provincia di Cosenza rientra fra quelle località italiane che, nel corso dei secoli, non hanno mai avuto un’effettiva officina monetaria, bensì solo l’onore di venir menzionate su qualche coniazione essendo feudi di importanti famiglie dell’aristocrazia.

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Il dritto dello zecchino di ostentazione a nome di Antonio Pignatelli in qualità di principe di Belmonte, coniato a Vienna nel 1727

È questo è il caso del casato dei Pignatelli, che ricevettero il titolo di principe di Belmonte in precedenza creato da Filippo III di Spagna, il 5 marzo 1619, in favore dell’allora conte Orazio Giovan Battista Ravaschieri Fieschi, dei conti di Lavagna, nonché barone di Belmonte e di Badolato.

Il titolo, passato poi alle famiglie Pinelli, duchi d’Acerenza, e poi Pignatelli, venne soppresso Regno di Napoli con una legge promulgata il 2 agosto 1806 ma, nel frattempo, un Pignatelli era riuscito ad eternare la propria figura ed il proprio prestigio in moneta proprio grazie a quel feudo della Calabria.

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Al rovescio, lo stemma “parlante” con le tre pignatte, ornato dalla corona principesca

Si tratta di uno zecchino di ostentazione, di grande rarità, coniato con data 1733 dopo che l’imperatore d’Austria Carlo VI, con diploma del 23 dicembre, aveva rinnovato ad Antonio Pignatelli il privilegio di battere moneta, già concessogli con diploma del 9 settembre 1723 contemporaneamente alla nomina a principe del Sacro Romano Impero.

Mentre, tuttavia, il primo diploma conteneva l’obbligo di imprimere al dritto delle monete l’aquila dell’Impero, il secondo acconsentiva alla sostituzione dell’aquila con il ritratto del principe. La moneta, come detto, non fu certo coniata a Belmonte, bensì  battuta nella zecca di Vienna ed i coni, al termine della produzione, vennero consegnati alla famiglia: il numero dei pezzi fu senza dubbio esiguo e oggi, di questa tipologia, non si conoscono che pochissimi esemplari.

La medaglia opera di Antonio Maria de Gennaro coniata, sempre a Vienna, nel 1727

Pesante g 3,49 d’oro, al diametro di 24 millimetri circa, lo zecchino di Belmonte reca al dritto la legenda ANTONIUS PIGNATELLI con busto a destra del principe. Al rovescio i titoli S R I PRINC & BELMONTIS & C, la data 1733 e lo stemma in cartella ornata con padiglione sormontato da corona principesca.

In verità, si possono avanzare dubbi circa la rispondenza del ritratto inciso sulla moneta rispetto alle esatte fattezze del personaggio: sembra piuttosto un ritratto stereotipato simile quelli di altre monete di ostentazione i cui coni venivano incisi a Vienna senza la presenza del soggetto, ma con l’ausilio di sommari ritratti.

Il rovescio che celebra la munificenza imperiale nei confronti di Antonio Pignatelli

Gli stessi ritratti che furono impiegati, vista l’evidente somiglianza, anche per la medaglia celebrativa del 1727 (argento, mm 31,4, e nota anche in bronzo) della concessione ad Antonio Pignatelli del titolo di principe del Sacro Romano Impero al cui rovescio campeggiano invece i simboli del potere: lo scettro e la spada, la corona e uno scudo coricato. Il tutto con legenda DONA AVGVSTI MDCCXXIII.

Sotto il ritratto, in questo caso, vi è la firma dell’incisore (DE GENNARO F.) che corrisponde ad Antonio Maria De Gennaro (Napoli 1679 – Vienna 1744), operativo presso l’officina monetaria austriaca e che, vista la somiglianza di tanti elementi epigrafici ed iconografici tra moneta e medaglia, fu probabilmente l’autore dei conii di entrambe.