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Diplomazia culturale: intervista a Francesco Bongarrà, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Londra

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Dal Transatlantico di Montecitorio all’Istituto italiano di cultura a Londra. Dopo aver fatto per una vita il cacciatore di notizie nei palazzi romani per l’agenzia Ansa, Francesco Bongarrà è da gennaio alla guida dell’istituto che ha sede nel delizioso palazzetto vittoriano di Belgrave Square.

Cinquant’anni appena compiuti. Un istinto irrefrenabile per la notizia e per le relazioni umane. Una compagna americana innamorata, se possibile, ancor più di lui del nostro Paese. Una passione assoluta per la musica e per il pianoforte. Ne so qualcosa anch’io che lo intervisto. Francesco l’ho conosciuto sul campo, in Afghanistan, tra Kabul e Herat, in uno dei tanti viaggi di lavoro in zone di guerra. Era sempre lui a stemperare momenti difficili cantando una canzone napoletana e suonando il piano in un compound o in una caserma dei Carabinieri del Tuscania o in un ufficio dell’ambasciata. Oggi è a Londra, città che ha sempre amato.

“Dobbiamo uscire dal Tempio”, è il mantra che Bongarrà ripete da quando è stato nominato dal ministero degli Affari esteri direttore per “chiara fama” dell’Istituto italiano di cultura a Londra: portare la nostra cultura, il nostro modo di essere italiano al di fuori delle mura di Belgrave Square a partire dai normali luoghi di aggregazione, dalle Università. Dobbiamo far riscoprire loro quello che conoscono già dell’Italia, ma anche quel tantissimo di bello, di arte, di design, di musica, di cultura di un’Italia contemporanea, che non ha solo un passato glorioso ma anche un presente vibrante e un futuro che ispira.

L’intervista

Da giornalista parlamentare della prestigiosa agenzia di stampa Ansa a direttore dell’Istituto italiano di cultura. Se l’aspettava la nomina? Quando l’hanno chiamata per chiederle di accettare l’incarico, aveva già qualche idea, strategie per rendere la cultura italiana più accessibile e apprezzata dalla società inglese?

Per me il settore pubblico era un po’ misterioso prima di ricoprire questo incarico. Per questo sto familiarizzando giorno dopo giorno con la macchina amministrativa e con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, per cui lavoro. Quello che ho sempre avuto, e che purtroppo non si può imparare, è l’entusiasmo, la voglia di fare “outreach”, di comunicare il tanto che è stato fatto ed il tantissimo che resta ancora da fare. Vede, ho la sensazione che per l’Italia gli inglesi nutrano un amore vero. Vestono italiano, mangiano italiano, vorrebbero vivere all’italiana, adorano avere i nostri oggetti di design, apprezzano la musicalità della nostra lingua, conoscono e ammirano la nostra cultura. Solo che, come fanno tanti adolescenti con i ragazzi o le ragazze che gli piacciono, non sempre lo dichiarano apertamente. E allora si rende necessario cercarli: con umiltà e con impegno.

Quali nuove iniziative culturali e creative prevede di mettere in campo per coinvolgere non solo la comunità italiana, ma gli inglesi interessati alla cultura italiana?

Con le due straordinarie colleghe del ministero degli Affari esteri che lavorano con me, stiamo lanciando iniziative a 360 gradi. Mostre di arte contemporanea, di fotografia (ospiteremo tra l’altro le opere del Festival della Giovane fotografia italiana di Reggio Emilia), rappresentazioni teatrali e spettacoli di musica di ieri e di oggi. Sì, anche quella di oggi, che sarà la musica del domani e che in tanti per le strade di Londra, italiani e non, già fischiettano. Presentazioni di libri italiani tradotti in inglese e di libri inglesi che abbiano richiami ed attinenza con il nostro Paese. E se possibile spettacoli di danza anche nei frequentatissimi musei. Voglio poi coinvolgere le Università, così densamente popolate di docenti e studenti italiani: lì bisogna parlare ed ascoltare, seminare e raccogliere. Con attenzione, con dedizione, con umiltà e con generosità. Infine, lavoriamo all’economia della bellezza e della cultura: a quell’economia, a quella ricchezza che il nostro bello, il nostro design, la nostra creatività, il nostro patrimonio artistico e culturale generano. Nella collana dei nostri eventi riserviamo uno spazio importante anche a questo aspetto, normalmente non particolarmente battuto, nelle programmazioni degli Istituti italiani di cultura. E lo facciamo a Londra, questa città straordinaria che è una delle principali piazze finanziarie ed una delle capitali del design.

Quanto è importante la sua rete di contatti e la sua esperienza di giornalista ed esperto di comunicazione per comunicare in modo efficace il messaggio culturale italiano e coinvolgere il pubblico britannico?

È fondamentale. Per mille ragioni, a Londra mi sento a casa. Ci ho lavorato da giornalista per i media inglesi ed ho ottimi contatti personali a vari livelli. Contatti che utilizzo continuamente per l’Istituto e per il Sistema Italia, che a Londra funziona davvero. Ho trovato un vero e proprio dream team di funzionari di istituzioni italiane, guidato dall’ambasciatore Inigo Lambertini. Lavorano tutti con un entusiasmo che raramente ho visto altrove per promuovere qui il nostro Paese e per dare risposte anche ai circa 530mila italiani che nel Regno Unito vivono e lavorano. Comunicare, poi, è davvero importante. E in fondo penso di esser capace di farlo.

Se dovesse riassumerle in pochissimi punti, quali sono le priorità principali come nuovo direttore dell’Istituto italiano di cultura di Londra?

Comunicare. Comunicare. E ancora, comunicare. Valutare tutte le proposte che ti arrivano: dall’Italia e dal Regno Unito. Girare, conoscere di persona tutti i soggetti del comparto culturale e creativo del territorio, studiare insieme nuove prospettive di collaborazione. E poi, soprattutto ascoltare… Come nel mestiere del giornalista, solo se ascolti bene poi riesci a fare le domande giuste, quelle che alla fine magari ti fan portare a casa lo scoop. Questo è il metodo che applico qui: fare domande giuste per scoprire talenti, opportunità o risorse inutilizzate. Il nostro obiettivo principale è quello di dare spazio qui al meglio del mondo creativo e culturale del nostro Paese, valorizzando non solo gli elementi tradizionali che tutti conosciamo, ma, soprattutto, promuovendo la conoscenza a 360 gradi di un’Italia che, consapevole del proprio passato, guarda con fiducia e coraggio alle sfide del futuro. Promotore, anche attraverso la sua cultura, di una propria visione e di propri valori. Questo straordinario patrimonio culturale caratterizza la nostra Repubblica. Un patrimonio che le istituzioni devono custodire e allo stesso tempo promuovere cogliendo in questo anche le sfide della modernità e delle nuove tecnologie. Per questa ragione partecipare e sostenere le attività dell’istituto di Londra non significa solo avere accesso, libero e gratuito, a un luogo di conoscenza e di divulgazione, ma significa anche essere cittadini italiani maturi e consapevoli dell’importanza di preservare luoghi come questo.

In che modo intende affrontare le sfide della modernità e delle nuove tecnologie nel promuovere la cultura italiana?

È forse la sfida più importante. Ma, a pensarci bene, è quella che puoi accettare più facilmente a Londra, che è capitale dell’innovazione. Io parto da un assunto: qualsiasi cosa serva alla causa della promozione della nostra cultura va usato. Di conseguenza, sono aperto all’NFT, all’arte digitale, all’elettronica in musica. Serve un approccio laico. E io intendo attuarlo.

 Potrebbe condividere alcuni dettagli sullo sviluppo e il potenziamento della biblioteca di testi in lingua italiana, intitolata a Eugenio Montale, presso l’istituto?

La biblioteca, quasi 30mila volumi in lingua italiana, è il nostro gioiello, il nostro fiore all’occhiello. È frequentata ogni giorno da studiosi e curiosi. Ed è un catalizzatore. Cerchiamo di arricchirla con nuove accessioni malgrado l’acquisto di nuovi titoli sia una sfida per il nostro bilancio. La biblioteca dell’Istituto di Cultura italiana a Londra è la vetrina dell’editoria a Londra. Una vetrina unica, visto che a Londra di librerie italiane purtroppo non ce ne sono più anche se ci vivono centinaia di migliaia di connazionali. Con la preziosa collaborazione di Ornella Tarantola, la famosa libraia di Londra, tra i nostri scaffali ogni mese organizziamo eventi centrati sui libri, con letture a cui partecipano gli autori. Incontri che registrano puntualmente il “tutto esaurito”.

Quanto è importante l’Istituto che lei dirige per rafforzare ulteriormente la cooperazione tra Italia e Regno Unito anche nel settore della ricerca scientifica e tecnologica?

Nei primi giorni del mio mandato, anche grazie all’ambasciatore Lambertini, mi sono messo in contatto con la comunità accademica in questo Paese, di cui in qualche modo ero già parte per via delle mie affiliazioni prima all’Imperial College e poi alla Bayes Business School di City University of London. Ho incontrato ricercatori italiani di altissimo livello, che mi hanno a loro volta presentato qui loro colleghi che vengono da ogni parte del mondo. La ricerca scientifica è cultura: è elemento di crescita della società e dell’umanità. Puntiamo ad allargare sempre più il nostro range di attività in questo ambito: partendo dai ricercatori italiani per allargarci a raggiera. Perché, come le ho detto, io proprio non mi stanco.

In che modo intende sfruttare l’Istituto italiano di cultura come luogo di incontro e di scambio culturale tra italiani e cittadini del Regno Unito?

All’inizio di ogni evento, il mio saluto alla sala è: “benvenuti a casa vostra”. Perché questo bellissimo palazzetto è innanzitutto la casa degli italiani e della cultura italiana a Londra. Ma soprattutto, è un luogo di osmosi, di scambio, di trasmissione di valori e sentimenti vissuti, ciascuno per la propria parte, da cittadini consapevoli, creativi, curiosi. E l’osmosi funziona solo se la direzione è a doppio senso: qui noi italiani diciamo quello che abbiamo da dire e ascoltiamo dagli inglesi quanto, a loro volta, han da dirci. La traiettoria, però è una sola: crescere in consapevolezza e nei valori.
Tutti insieme.

 

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