HERCOLANI, Filippo in "Dizionario Biografico" - Treccani - Treccani

HERCOLANI, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

HERCOLANI (Ercolani), Filippo

Vittorio Mandelli

Nacque a Bologna il 30 apr. 1663 dal conte Alfonso e dalla nobile romana Anna Maria Lanci, primo di quattro figli, due maschi e due femmine.

Educato in un collegio gesuita, probabilmente a Bologna, il 23 genn. 1687 fu condannato a morte e alla confisca dei beni dal tribunale del Torrone di Bologna come mandante dell'aggressione al birro Stefano Consarelli (1° ag. 1686), del notaio dello stesso Torrone, Pier Antonio Aleotti (20 ott. 1686), nonché dell'uccisione di Giuseppe Maria Colonna (3 ott. 1686). Rifugiatosi a Lucca, dopo qualche tempo ottenne la promessa della mano di Maria Maddalena Trenta, figlia di Jacopo, senatore e più volte gonfaloniere della Repubblica, pronipote per parte di madre del cardinale Giovan Battista Castrucci.

La morte del padre Alfonso e la conseguente cospicua eredità di cui l'H. entrò in possesso raffreddarono notevolmente i suoi propositi di nozze. A ciò si era aggiunto il forte interesse per Maria Maddalena mostrato da Federico, principe erede al trono di Danimarca, durante la sua visita a Lucca del 20 maggio 1692. Ma ormai l'H., con l'aiuto del fratello Astorre (nato nel 1669), il 6 apr. 1692 aveva ottenuto dal cardinal legato la grazia di rientrare a Bologna, con l'obbligo di pagare 2200 ducatoni e di dimostrare di aver "prodotto le paci" alle famiglie degli offesi, cosa che avvenne l'8 maggio.

Lasciata la Trenta alla clausura, prima a Siena e poi a Firenze, l'H. si dedicò al patrimonio e alla cura di quei rapporti che saranno alla base della sua carriera di diplomatico. Creato ciambellano dall'imperatore Leopoldo I d'Asburgo e poi marchese di Blumberg, nel 1696 l'H. fu a Modena, coinvolto in una lite con il cardinale Francesco Barberini iuniore, culminata in un tentativo di aggressione ai suoi danni, peraltro sventato, da parte di due sicari. La vicenda, dai risvolti complessi che riguardavano alcune famiglie protette dai due contendenti, fu ricomposta a Milano grazie alle aderenze dell'H. e alla mediazione dei conti Emilio Zambeccari e Carlo Borromeo. Dopo un breve soggiorno bolognese, nel 1698 l'H. fu a Venezia e poi nuovamente a Milano, dove affrontò in un duello il principe Francesco Pio di Carpi, questa volta per via di una prostituta veneziana da lui protetta. Ne seguì un breve bando, rientrato (4 febbr. 1699) per volere di Amalia Guglielmina di Brunswick-Lüneburg, da poco sposata all'erede al trono imperiale, Giuseppe d'Asburgo. Grazie all'intercessione della stessa Amalia Guglielmina, l'H., appena insignito del titolo di principe del Sacro Romano Impero (26 marzo 1699), ne sposò la damigella d'onore, la marchesa normanna Charlotte de Moy, la cui precoce morte, l'11 febbr. 1700, non sembrò suscitare in lui troppi rimpianti. Ma proprio con questo matrimonio l'H. era riuscito a introdursi nella corte viennese. Nel maggio 1700 si spostò a Roma per curare gli interessi lasciatigli dal padre, e vi risiedette più o meno stabilmente fino al 3 ag. 1702, quando, mentre era a Venezia, fu espulso dallo Stato pontificio per ordine del papa Clemente XI.

Più che gli scandali e i duelli, nei quali forse era coinvolto suo malgrado, a decidere per il provvedimento fu la scoperta e la relativa denuncia, fatta dal duca L.-J. de Vendôme, comandante supremo dell'armata francese in Italia, di una patente concessa dall'H. e sequestrata ad alcuni ladri e assassini ("ferabuti") arrestati in Lombardia nel corso della guerra di successione spagnola. Eguale lettera di protesta fu recapitata al Senato della Repubblica di Venezia, che però non ritenne di occuparsi ufficialmente del caso. Si rivelò una decisione quanto mai opportuna, dal momento che il 17 febbr. 1703 l'H. fu nominato da Leopoldo I consigliere aulico mentre era a Venezia, con "dispensa concedutale per gratia speciale dall'andar secondo l'uso inalterabile a dare detto giuramento di persona a Vienna" (Mercuri, 28 apr. 1703), ed era indicato dai dispacci dell'ambasciatore veneziano a Vienna Daniele (III) Dolfin (15 nov. 1704) come ormai prossimo ambasciatore cesareo presso la Repubblica. L'H. era sostenuto nelle sue ambizioni da Amalia Guglielmina. Il prestigioso incarico fu preparato nei minimi dettagli e senza badare a spese, tanto più che il 6 ott. 1703 aveva sposato la contessa bolognese Porzia Bianchetti Gambalunga, latrice di una dote di 70.000 lire, facendo passare in secondo piano la diffusa opinione per la quale il "matrimonio non fu molto applaudito per il genio incostante dello sposo, per la sua poca salute, e per qualche altra considerazione tendente a dubitare se possa credersi fortunato questo sposalizio" (Frati, p. 35). Divenuto padre di Maria Margherita (21 sett. 1704 - 15 maggio 1712), l'H. fu però costretto ad attendere la nomina ufficiale di ambasciatore a Venezia fino al 12 ag. 1705, essendo intervenuta nel frattempo la morte dell'imperatore Leopoldo I e dovendo quindi attendersi l'incoronazione dell'arciduca Giuseppe. Ma si dovettero anche dissipare le perplessità combinate di ministri austriaci e del Dolfin stesso, che costrinsero Giuseppe I a dare "commissioni ristrette e pronto riparo al primo disordine" commesso dall'H. (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Dispacci, Germania, filza 188, 26 giugno 1705). Il 9 dic. 1705, preso alloggio al convento dei Servi, fece annunciare il suo arrivo in Pien Collegio dal segretario dell'ambasciata imperiale, e dal gennaio successivo fu occupato a sistemare il suo palazzo sul Canal Grande a S. Aponal. La dimora, già dipinta da Paolo Veronese in un celebre quadro oggi alla Gemäldegalerie di Dresda, era di alto livello, e l'H. pagava per essa 1100 ducati annui.

Per il disbrigo degli affari diplomatici, visti i forti limiti del mandato, l'H. delegava spesso il segretario dell'ambasciata e si presentava in prima persona in Pien Collegio solo quando lo richiedevano le occasioni ufficiali o se doveva ottenere concessioni strettamente personali. Per lo più tali affari riguardavano il transito di truppe austriache (era in corso la guerra di successione spagnola), o richieste di rifornimenti alle stesse, oppure ancora contestazioni all'operato di taluni "ferabuti", questa volta francesi organizzatisi ai danni degli Austriaci "con una piota ridotta in goletta per corseggiare il Golfo" (Arch. di Stato di Venezia, Collegio, Esposizioni principi, reg. 97, 29 giugno 1706); infine per annunci formali quali quello della fine dell'assedio di Torino, seguito alla vittoria di Eugenio di Savoia (1706).

Più consona al carattere dell'H. era indubbiamente la partecipazione alle uscite ufficiali del doge che richiedevano, per consuetudine, la presenza dell'ambasciatore cesareo, nonché alle numerose e ricche feste organizzate a palazzo Coccina, come quella in onore dei principi di Weissenfels e d'Elberoff nel febbraio 1707.

Dal 12 maggio all'8 sett. 1707 l'H. fu a Vienna "per andare come dicesi a conferire coll'imperatore sopra affari importanti" (Mercuri, 7 maggio 1707), facendosi sostituire dall'agente Matteo Ferdinando Regalznigg. Il 22 ottobre successivo l'H. tornò a Venezia e alle abituali occupazioni: presenziò a una festa a palazzo Coccina nella quale "trattò lautamente il signor ambasciatore straordinario britannico [lord Manchester] col signor baron de Tassis, e conte di Vrutislav, che la sera partì per Firenze, e vi fu anche il ministro del duca di Savoia" (Mercuri, 22 ott. 1707).

L'ingresso ufficiale come ambasciatore cesareo avvenne solo il 23 sett. 1708, anche a causa di un ulteriore viaggio a Milano, tra il 5 maggio e il 16 giugno 1708, per complimentare la principessa di Wolfenbüttel e le fastidiose udienze con gli altri ambasciatori a Venezia, concernenti la complessa questione dell'eredità del duca di Mantova, Ferdinando Carlo Gonzaga.

Dopo i consueti colloqui con Daniele Dolfin (III), da poco ritornato dall'ambasceria ordinaria a Vienna, l'H. fu ricevuto dal Dolfin stesso e da sessanta senatori nell'isola di San Secondo per il tanto atteso ingresso ufficiale e la presentazione delle sue credenziali al Pien Collegio. La relazione del Dolfin (27 sett. 1708) e gli Avvisi confermano la ricchezza dell'apparato organizzato dall'H., nonché la generosità con cui aveva "fatto sempre grondare una fontana di vino alla plebe e gettatovi del pane, denaro" (Mercuri, 29 sett. 1708).

Anche dopo l'ingresso ufficiale, le caratteristiche dell'ambasciata dell'H. non mutarono, alternandosi le visite agli ambasciatori e la sua presenza alle occasioni ufficiali, quali la messa solenne ai Frari (6 febbr. 1712) per l'incoronazione di Carlo VI, e alle feste. Gli scandali di cui fu protagonista, lo costrinsero a rinchiudere la moglie - che nel frattempo gli aveva dato i figli Isotta (1709-16) e Alfonso (1710-61) - nella fortezza di Modena, sotto la sorveglianza del duca Rinaldo d'Este, dove ella morì il 26 apr. 1711.

Rientrato a Vienna dopo la fine dell'ambasciata (31 marzo 1714), l'H. fu nominato consigliere di Stato il 28 dicembre. Poco si sa del terzo matrimonio, con Adelaide Genghini (1718), e degli ultimi anni della sua vita, se non quanto è scritto nel suo testamento, aperto il 24 genn. 1722, giorno della sua morte a Bologna.

Per le vicende delle collezioni dell'H., importante bibliofilo e collezionista, si veda la voce Hercolani, Astorre.

L'H. è rappresentato in un dipinto, opera della bottega del bolognese Alessandro Calvi, donato nel 1776 dal suo omonimo pronipote, con altri diciassette ritratti di famiglia, alla Biblioteca dell'Istituto delle scienze di Bologna.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Tribunale del Torrone, vol. 7332, f. 1; Arch. di Stato di Venezia, Collegio, Esposizioni principi, regg. 95, cc. 1-3, 6-7; 96, cc. 36r, 38v, 40-41; 97, cc. 1-2r, 5-6, 9r, 13-14r, 51r, 72v, 75v-76r; 98, cc. 36v-37, 52v-53r, 61v-62r, 74v, 92v-93r; 99, cc. 14v, 23v, 26v-28r, 29v-30, 48-50r, 75v-78r; 100, cc. 8r, 10v-11r, 17r, 29-35, 51v-52r; filza 117, 16 maggio 1714; Dieci savi alle decime in Rialto, Catastici di Venezia, Estimo 1712, S. Polo, Parrocchia di s. Aponal, reg. 430, c. 103, n. 130; Senato, Corti, regg. 81, c. 167; 91, cc. 48v-49r, 53v; Senato, Dispacci, Germania, filze 188, cc. 498-500; 189, c. 54v; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mercuri [o Avvisi], 1682-1714 in particolare Mss. it., cl. VI, 477 (=12121); 479 (=12123); 481 (=12125); 482 (=12126); 483 (=12127); 484 (=12128); 485 (=12129); 486 (=12130); 487 (=12131); 488 (=12132); 489 (=12133); Vienna, Österreichisches Staatsarchiv, Staatskanzlei, Venedig, ff. 16-18 ("Berichte 1685-1718"), passim; Testamento e codicilli del principe del S.R.I. Filippo Ercolani, Bologna 1722; G. Sforza, Gli amori di Maria Maddalena Trenta con Federico IV di Danimarca, narrati da Francesco Settimani, Lucca 1879, ad nomen; V.A. Montanari, La nobilissima famiglia dei principi Hercolani di Bologna, Faenza 1883, passim; G. Sforza, Una monaca e un re, in Nuova Antologia, 16 dic. 1901, pp. 677-708; L. Frati, Il principe F. H. ambasciatore cesareo a Venezia, in Ateneo veneto, XXXI (1908), 1, pp. 27-48.

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