Jacques Derrida, non c’è democrazia senza filosofia - HuffPost Italia

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Jacques Derrida, non c’è democrazia senza filosofia

Jacques Derrida, non c’è democrazia senza filosofia

 

Antonio De Simone affronta Jacques Derrida senza reticenze. Del resto, se un professore di Storia della filosofia e Filosofia della cultura, per decenni in cattedra all’Università di Urbino, deve parlare agli studenti, deve farlo dicendo anche il non detto, facendo emergere dall’autore di riferimento tutto ciò che si dispiega, emerge e persino si nasconde nella sua opera. 

Così, le quattordici lezioni che danno vita a “Jacques Derrida. L’impossibile, la politicità dell’umano e il bestiario filosofico”, edito da Mimesis, compongono un quadro realistico e avvincente di un percorso decostruttivo che incarna la riflessione principale su democrazia e filosofia, sul perché non ci sia la prima senza la seconda, sulla centralità di temi, quali il dono, l’amicizia, la comunità, il segreto, il rapporto forza/giustizia, la decisione, la crisi della sovranità, solo per elencarne alcuni.

È in questi libri che è possibile rintracciare il valore di due sguardi, animale e umano, il corpo a corpo con l’identità che si sbriciola e si ritrova, se si ritrova, la scrittura de-scritturata, se si potesse dire, la memoria infinita e non propriamente definibile di un filosofo tra i più acuti del Novecento, il Novecento che se n’è andato lasciando scorie, azioni e reazioni non ancora compiute e interpretate a fondo.

Scrive De Simone: “È necessario nel nostro tempo chiedersi non solo se nel pensiero di Derrida ci siano stati gli elementi fondamentali per rintracciarvi una propria filosofia della democrazia, della democrazia a-venire, ma domandarsi altresì perché per Derrida sia stato così importante affermare che non c’è democrazia senza filosofia, ovvero senza democrazia in filosofia, in modo da poter comprendere che la decostruzione non soltanto è alla radice democratica, ma che non si può dare decostruzione senza democrazia”.

All’interno della lezione di Derrida ritornano le lezioni di Simmel, di Foucault, di Nancy, le lezioni di spazio, di luogo, di territorio nel processo di mondializzazione, la grande lezione sulla crisi del principio territoriale esposto ai venti e alla logica penetrante e non controllabile dei flussi migratori.

Il libro, che si avvale anche del contributo di Francesco Giacomantonio, un esercizio di pensiero su Habermas & Derrida, è soprattutto una formidabile lezione sulla decostruzione, che non è una teoria postmoderna. È lo stesso Derrida ad affermare: “Non sono io che decostruisco, è l’esperienza di un mondo, di una cultura, di una tradizione filosofica cui avviene qualcosa che io chiamo ‘decostruzione’: qualcosa si decostruisce, non funziona, qualcosa si muove, si sta dislocando, disgiungendo o disaggiustando e io comincio a prenderne atto; si sta decostruendo e bisogna risponderne”.

Perfetto! Ma non si può risponderne senza studiare, lasciando che si dia fiato alle trombe come spesso, anzi quasi totalmente, avviene nel nostro universo comunicativo e politico. Non è la crisi perenne a farci paura, quanto l’incapacità degli attori di leggerla e comprenderla. Se non si leggono e comprendono i confronti, i conflitti, anche aspri e polemici, tra studiosi di alto rango (De Simone dedica pagine importanti all’aggressività e ironia critica che Derrida riserva per esempio a Giorgio Agamben), com’è possibile districarsi tra i conflitti veri e senza fine di un mondo che all’incontrario va, non nel senso del generale Vannacci, ovviamente, ma nel senso di una catastrofe annunciata e non pienamente compresa?

Leggendo questi libri, che purtroppo sono destinati a non scalare le classifiche, si farebbero notevoli passi avanti nella decifrazione di una commedia umana sulla quale Niccolò Machiavelli, il più grande pensatore politico di tutti, l’inventore della scienza politica moderna, ha detto parole non ancora superate. Anche del Segretario fiorentino narra De Simone, che non smette di studiarlo e interrogarlo per sé stesso e per tutti noi.

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