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Il lutto si addice a Elettra

Il lutto si addice a Elettra
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Fine guerra di Secessione, 1865. In una cittadina portuale del New England la potente famiglia Mannon attende il ritorno del patriarca, Generale Ezra Mannon, che porta notizie del figlio Orin; entrambi erano impegnati a fianco del Generale Grant con l’esercito unionista. Sul portico della grande casa in stile neoclassico ci sono Lavinia e la madre Christine. Lavinia Mannon non vede l’ora di riabbracciare il padre, per il quale nutre una morbosa adorazione, stessa intensità con cui invece odia la madre, sicura che abbia tradito il marito. Le due donne litigano e Christine, messa alle strette, confessa non solo di provare disgusto ormai per il marito ma anche di averlo tradito. E l’identità dell’amante fa precipitare la situazione. L’uomo amato da Christine è infatti Adam Brent, figlio del fratello di Abe, padre di Ezra e di una bambinaia, scacciati entrambi dalla famiglia per il disonore provocato. Nel precipitare degli avvenimenti, Christine ucciderà il marito, approfittando di un suo attacco di angina per somministrargli veleno anziché la pastiglia per il cuore. L’omicidio di Ezra era già stato programmato dai due amanti ma lo svenimento reale di Christine è un fuori programma che complica tutto perché, mentre lei giace svenuta sul pavimento, Ezra, soccorso nel frattempo da Lavinia, ha il tempo di incolpare la moglie. Come reagirà Lavinia alla colpevolezza della madre? E cosa succederà quando Orin tornerà a casa?

Eugene O’Neill, primo grande drammaturgo statunitense e vincitore del Nobel per la letteratura nel 1936, pubblica questa immensa opera nel 1931, trasferendo nell’America della fine guerra di Secessione il mito greco di Elettra, compiendo un mash-up tra l’Elettra di Sofocle e l’Orestea di Eschilo. Dal primo mutua l’isolamento di Lavinia/Elettra all’inizio e alla fine del dramma, l’indagine psicologica e il conflitto tra madre e figlia come basso continuo su cui tutta la trama si dipana unendo nel contempo il viaggio interiore attraverso il senso di colpa e il rimorso per il suicidio della madre di Orin/Oreste, figura su cui invece si sviluppa la tragedia di Eschilo. Se Lavinia e Orin, nella traslazione da Argo, sono rispettivamente Elettra e Oreste, è facile intuire che Ezra è Agamennone, Christine è Clitennestra, Adam Brent è Egisto e il gruppetto di personaggi minori, sempre diversi, che con i vari pettegolezzi introduce ognuna delle tre parti della pièce, è il coro. Su tutto poi grava, come nel mito di Elettra, una maledizione che dai padri ricade sui figli ed è proprio questa la ragione ultima per cui Lavinia si ritira dal mondo e dalla vita, vivendo rinchiusa nel palazzo/tempio con la sola compagnia degli spettri, giustificando così la sua vocazione al lutto (come il titolo della tragedia già ci preannuncia). Tutta la storia rappresentata è giocata sul filo della psicoanalisi giacché sono evidenti il complesso di Edipo e il complesso di Elettra: non si arriva all’incesto vero e proprio, cioè alla consumazione, ma l’ossessione vicendevole madre/figlio e padre/figlia esplode in tutta la sua potenza. D’altra parte O’Neill vive in un periodo storico in cui Freud è già molto attivo (L’interpretazione dei sogni viene pubblicata nel 1899) e ne resta molto influenzato, tanto da far “recitare” all’inconscio la parte che, nel mito, è delle Furie. Attraverso la sua notevole produzione, il drammaturgo ci ha lasciato un pensiero profondamente critico verso la civiltà americana dell’epoca (prima metà del xx secolo), soprattutto per ciò che riguarda la corruzione e la disgregazione della società. Peccato che la lunghezza e la complessità delle sue opere le rendano poco rappresentate in teatro, soprattutto negli ultimi anni.