"Il mio vicino Totoro": compie trentasei anni il quarto lungometraggio di Hayao Miyazaki

“Il mio vicino Totoro”: compie trentasei anni il quarto lungometraggio di Hayao Miyazaki

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Di Mariadonata Di Lorenzo

Il 16 aprile del 1988 il Giappone profumava di ghiande, pioggia e primavera. Tutte le sale cinematografiche proiettavano il volto curioso della nipotina di Hayao Miyazaki, che nell’universo etereo e colorato di Tokorozawa si era reincarnata nel disegno di una bimba di quattro anni. Fu il giorno in cui, per la prima volta, venne rilasciata al pubblico la piccola gemma del fumettista giapponese: “Il mio vicino Totoro”, un film autobiografico che canta di dolore, di infanzia e di ricordi.

La trama

Totoro, Mei e Satsuki in una scena del film
Totoro, Mei e Satsuki in una scena del film

Le dolci protagoniste della storia sono due sorelle, piccole figlie della primavera: il nome della più giovane, Mei, si ispira all’inglese May, mentre Satsuki prende origine dal giapponese arcaico che indica il quinto mese dell’anno (maggio, per l’appunto). Le due sorelline si trasferiscono con il padre in campagna per avvicinarsi alla madre affetta da tubercolosi e dunque ricoverata in ospedale, e nell’Eden fiorito di Tokorozawa trovano conforto, pace e armonia con la natura.

È proprio la natura il tema protagonista della pellicola, filtrata attraverso gli occhi curiosi e sognanti di un bambino: le sorelle si avventurano tra i boschi del villaggio, donando allo spettatore dei teneri ritagli di un’infanzia spensierata, lontana dalla sofferenza che, implicitamente, striscia tra i loro affetti familiari.

Mei e Satsuki incrociano nel loro tragitto creature singolari, tra le quali spiccano i piccoli esserini fatti di fuliggine, e il protagonista indiscusso del film: Totoro. Totoro si ispira al tanuki, un animale folkloristico giapponese somigliante al “cane procione”, che tuttavia all’interno del film appare come uno spirito, un custode e protettore della natura. Si tratta di un personaggio silenzioso, eppure capace di comunicare con lo sguardo. Totoro ha gli occhi buoni, paterni: ha l’innocenza di un bambino, ma nei suoi gesti semplici e generosi riposa una profonda saggezza che solo una “piccola divinità” della natura può possedere.

La penna di Hayao Miyazaki

Miyazaki dichiarò che le due sorelline non potevano che essere femmine, perché scrivere di due ragazzini gli avrebbe procurato troppo dolore; probabilmente perché in quegli inediti bambini avrebbe visto gli occhi nostalgici dei suoi fratelli e di se stesso, anche loro costretti a soffrire la tubercolosi spinale della madre.

Lo scrittore giapponese ha dunque voluto portare sul grande schermo i propri dolori infantili, dargli una nuova vita, una leggerezza puramente associabile ai film dello Studio Ghibli. Miyazaki racconta non soltanto delle curiose avventure di due sorelle, ma di un piccolo paradiso terrestre dove il mondo pare fermarsi e il villaggio adotti le sue bizzarre e peculiari regole che forse possono essere comprese solo dalla limpida immaginazione di un bambino.

“Il mio vicino Totoro” si può descrivere come una melodia. Nel suo poetico abbraccio alla natura, il film trasforma il nostro grigio mondo in una fiaba, forse senza morale, villain o logica, come se fosse una favola incastrata all’inizio del racconto. Non sappiamo se le avventure di Mei e Satsuki siano affidabili, per quanto Totoro appaia come una presenza sempre più vera per tutta la durata della storia: potremmo immaginare che sia un sogno, o una culla per le due sorelline che cercano una via di fuga da tutto il dolore che segretamente provano. Ma Miyazaki non ci ha voluto dire esplicitamente nulla di tutto ciò, e ci ha lasciati a interpretare una piccola opera d’arte che ancora oggi, dopo trentasei anni, approda come una fresca boccata d’aria.

Mariadonata Di Lorenzo

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