Pragmatica e linguistica testuale - Illustrate le dicotomie saussuriane: sincronia / diacronia, asse - Studocu
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Pragmatica e linguistica testuale

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Pragmatica e linguistica testuale (L-Lin 01)

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California State University, Northridge

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  • Illustrate le dicotomie saussuriane: sincronia / diacronia, asse paradigmatico / asse sintagmatico

Saussure introdusse la distinzione tra asse sintagmatico e asse paradigmatico della lingua. Sul primo il parlante o lo scrivente sceglie tra elementi linguistici legati tra loro da un rapporto associativo, disponendo, poi, gli elementi prescelti sull’asse sintagmatico in una sequenza condizionata dalle scelte operate. La lingua scritta e quella orale hanno un diverso modo di combinare gli elementi. La lingua orale attua la selezione e la combinazione con una coerenza inferiore rispetto a quella scritta, come dimostra la presenza, nel parlato, di approssimazioni lessicali e sintattiche. Saussure, inoltre, distingue nello studio della lingua due livelli di analisi: un’analisi sincronica (che prescinde dal fattore tempo) e un’analisi diacronica (in base alle variazioni che riguardano il tempo e l’evoluzione linguistica lungo l’asse temporale).

  • Inserite il concetto di stile all'interno della dicotomia saussuriana fra langue e parole Saussure distingue tra lingua e parole. Il linguaggio è un atto di fonazione e dunque si configura come processo fonetico e articolatorio individuale (parole). A partire dalle singole scelte del parlante, le parole, si innescano i cambiamenti lungo l’asse diacronico. La funzione di quell’atto individuale deve essere condiviso nella lingua. La lingua è necessaria perché la parola sia intellegibile e produca i suoi effetti così come la parola è indispensabile perché la lingua si definisca. Con lingua si intende tutto il “repertorio” fonetico, morfologico, sintattico e lessicale che la costituisce. A questo repertorio attinge ogni parlante che, effettuando una serie di scelte, produce “atti linguistici”, traducendo in forme concrete le potenzialità del repertorio. La lingua di un autore è anch’essa un atto di parole. L’autore come ogni altro parlante si inserisce nella dicotomia tra standard e idioletto, fra adesione alla lingua d’uso ed elaborazione di un linguaggio personale. Di solito chi si prefigge di scrivere un testo letterario fa ricorso a un sistema altamente formalizzato, nel quale non è più sufficiente ricorrere unicamente all’idioletto e alla lingua d’uso. Lo stile di un autore può essere considerato il risultato di un processo di selezione (inclusione o esclusione di forme) all’interno della varietà linguistica che gli è propria e in base al registro adottato. Lo stile letterario deve misurarsi con una serie di generi, forme e paradigmi retorici e stilistici del passato, inserendosi all’interno di una tradizione di altri autori verso i quali lo scrittore potrà avere un atteggiamento di adesione o di rifiuto.

  • I testi analizzati dal punto di vista linguistico durante il corso sono testi scritti di carattere letterario: in che modo questa scelta condiziona l'analisi linguistica? I testi scritti di carattere letterario in prosa dal Duecento alla prima metà dell’Ottocento, analizzati dal punto di vista linguistico durante il corso fanno parte di un’ ampia tipologia di testi che segue l’asse diacronico. Esistono differenti strategie testuali che includono testi di carattere precettistico e didascalico, o narrativo, o argomentativo e scientifico, o epistolare e così via, ciascuno dei quali è inseribile in "generi" letterari che man mano vanno tipizzandosi all’interno dell’evoluzione della storia letteraria italiana. Quanto più i testi saranno recenti tanto più avanzeranno lungo l’evoluzione storica della lingua e della letteratura italiana, cioè quanto più la tradizione prenderà corpo e autonomia nazionale, i condizionamenti letterari si faranno più forti tanto da avere riflessi specifici su registri e scelte ormai non più imputabili esclusivamente all’autonoma scelta dell’autore, perché sempre più condizionata dal ‘genere’ letterario e dal canone di testi che in quel "genere" sono stati redatti fino ad allora.

  • Lingua orale/lingua scritta, scritti di carattere pratico/ scritti letterari

Viene definito "scritto di carattere pratico" il testo che esaurisce la sua funzione nel momento e nel luogo della sua redazione e si rivolge ad uno o ad una pluralità. Nello scritto letterario il destinatario è sfuggente e l'emittente può aver individuato un destinatario diretto o immaginare un destinatario più generico.

  • Livelli di analisi linguistica (assi di variazione) nella teoria di Coseriu

La variazione, spesso ignorata dalle correnti teoriche precedenti (formalista e strutturalista) che non la consideravano rilevante nello studio del funzionamento e della struttura di una lingua, diventa adesso di grande importanza sia sul piano interlinguistico (variazioni tra le lingue) che intra-linguistico (variazioni all’interno di una stessa lingua). Per Coseriu un qualunque messaggio linguistico è sempre prodotto in una determinata varietà di lingua e ha una sua collocazione in ognuna di queste dimenzioni.

  • Sintassi e stile: illustrarne il rapporto all'interno di uno dei testi analizzati durante il corso Con il termine stile si intende lo scarto con cui un autore utilizza in maniera personale lo strumento sociale della lingua. è un uso particolare da parte dell'autore ed è per lo più ricercato, individuale, con l'introduzione consapevole di elementi e definibile per via di comparazione (secondo Elisabetta Saletti) come uno scarto, una selezione dello scrivente o parlante tra una varietà linguistica. La sintassi si occupa della combinazione di parole in frasi o della struttura delle frasi stesse. Tramite un'analisi sintattica è possibile identificare le novità stilistiche, nelle forme diverse dall'usuale, nei costrutti arcaici, dialettali, stranieri o ripresi dalla lingua viva.

  • Paratassi e ipotassi nella prosa letteraria del Duecento Lo stile di un autore o di un opera dipende dal modo in cui sono costruite le frasi. Se la sintassi è breve, semplice e preferisce frasi brevi, indipendenti l’una dall’altra, unite tra loro da una virgola o da una congiunzione allora si ha una coordinazione o paratassi. Questa modalità espressiva è tipica della lingua parlata e, sulla pagina di narrativa, risulta particolarmente accessibile al lettore perché frutto di un meticoloso lavoro di ricerca e correzione da parte dell’autore. Questo tipo di struttura contribuisce anche a determinare un ritmo narrativo veloce e conciso. Si ha, invece, la subordinazione o ipotassi quando la sintassi è elaborata e presenta frasi lunghe e complesse, costituite da proposizioni principali dalle quali dipendono le subordinate unite tramite congiunzioni. Questa modalità espressiva, ereditata dalla prosa latina, è tipica dell’espressione colta e letteraria e comporta quindi un maggior impegno da parte del lettore per la sua piena comprensione. Questa struttura sintattica, contribuisce inoltre, ha determinare un ritmo narrativo più lento perché comporta riflessione analitica e ragionamenti più profondi.

  • Illustrate e semplificate i seguenti a)chiusura delle vocali toniche in fenomeni fonetici: iato; b)evoluzione della labiovelare sorda latina La chiusura delle vocali toniche in iato segue la regola in virtù della quale la -e- e la -o- toniche davanti ad un'altra vocale appartenente ad altra sillaba si sono chiuse in i ed u, dando luogo a forme come mio, tuo, suo, Dio. La labiovelare sorda iniziale di una parola si riduce ad occlusiva velare se davanti a vocale diversa da -a- ( a parte i casi di conservazione per latinismo) è secondaria: quello< ECCU(M)ILLUM.

  • Lingua e letteratura del Duecento

La letteratura italiana nasce solo nel XIII sec., in forte ritardo sulle altre letterature europee, per la forza di conservazione del latino. Punto di partenza è la fondazione della Scuola poetica siciliana, fiorita tra il 1230 e il 1270 ca. alla corte di Federico II. I testi arcaici della fine del XII sec. e il Cantico delle creature di s. Francesco (1224) sono già componimenti letterari, ma la loro apparizione come fenomeni poetici è episodica. L'iniziativa della Scuola siciliana è invece unitaria: propone l'adozione di una lingua d'arte italiana (il volgare siciliano colto); elabora quelli che saranno i metri principali della lirica posteriore: la canzone e il sonetto, ispirandosi ai modelli provenzali. La sconfitta di Benevento, con la morte di re Manfredi (1266), disperde la Scuola. Ma il suo ricupero era già avvenuto in Toscana: i testi siciliani vi si diffondono, linguisticamente toscanizzati, mentre i rimatori delle varie province della regione (Guittone d'Arezzo, Chiaro Davanzati) ne assimilano temi, schemi e linguaggio arricchendoli di un fervore speculativo più vivacemente interessato ai tradizionali temi provenzali dell'amore, della cortesia e della virtù. Nasce la prosa in volgare nella quale elementi culturali diversi sono ancora confusi: Guittone d'Arezzo, Brunetto Latini, i vari 'fiori' (raccolte di prov 555i83f erbi, sentenze di filosofi, aneddoti con finalità morali), i volgarizzamenti del francese e del latino, le raccolte di novelle come il Novellino. L'uso del volgare subisce tuttavia ancora la concorrenza di altre lingue più autorevoli: il latino, che è pur sempre la lingua dei dotti, e il francese, che sembra preferibile per la sua larga diffusione (il Tresor di Brunetto Latini e il Milione di Marco Polo). Nel Veneto e in Italia settentrionale fioriscono, sin dalla fine del XIII sec., i poemi cavallereschi detti franco- veneti e una più originale produzione religiosa, sociale e moraleggiante, collegata al movimento ereticale lombardo della pataria (Girardo Patecchio, Uguccione da Lodi, Bonvesin de la Riva, Giacomino da Verona). In Umbria, la poesia religiosa ispirata a s. Francesco trova la sua espressione collettiva nella lauda, destinata a evolversi in primitiva rappresentazione drammatica (sacra rappresentazione): di essa si servì il più grande poeta religioso del tempo, Iacopone da Todi. La poesia religiosa ha il suo corrispettivo gioioso e terreno nell'ispirazione popolareggiante dei poeti comico-realistici o giocosi della Toscana (Rustico di Filippo, Cecco Angiolieri, Folgore da San Gimignano): malgrado l'apparente antiletterarietà dell'espressione, anche questa è poesia dotta. Lo stesso fenomeno si verifica con le tipiche forme popolari dell'alba e della ballata, che sono elevate a raffinato motivo lirico dai poeti del dolce stil novo. La poetica del bolognese Guido Guinizelli, estrema spiritualizzazione della concezione dell'amor cortese, è arricchita di toni personali, oltre che psicologicamente approfondita, nei poeti toscani (Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi, Cino da Pistoia e, soprattutto, Dante Alighieri).

  • La sintassi e lo stile di Passavanti

Nella sintassi del Passavanti qualsiasi regola relativa all'enclisi del pronome atono in rispetto della legge Tobler-Mussafia è scomparsa, lasciando posto a preferenze di tipo stilistico o prosodico che non sintattico a tutti gli effetti. La posizione preferenziale dei clitici è quella proclitica, anche quando l'antica regola prevedeva l'enclisi. quest'ultima è limitata alle condizioni moderne: dopo infinito, più frequente ma sempre dopo imperativo o modo non finito. Al di fuori di questi casi, che avvicinano la prosa del Quattrocento alle condizioni che sono anche della lingua moderna, compaiono due casi di enclisi che rispondono ad esigenze di tipo stilistico: acquistonne e partorissi. Entrambi i casi sono finali di periodo e perciò pare opportuno interpretare l'enclisi come volontario adeguamento ad un'esigenza prosodica che sa da un lato vuole evitare che il periodo si concluda su un elemento ossitono, dall'altro vuole adeguarsi al cursus, un modello di clausola catalogato secondo l'andamento ritmico ottenuto mediante l'alternanza di parole piane e sdrucciole.

  • Illustrate le dinamiche intercorrenti fra latino e volgare nel Quattrocento

Nei primi decenni del Quattrocento gli umanisti, identificandosi nella tradizione culturale classica, considerano il latino, da loro recuperato a una nuova regolarità e dignità, come sola lingua elevata, adatta a scopi d'arte; e manifestano un atteggiamento di disprezzo e di rifiuto nei confronti del volgare, ritenuto lingua inferiore, corrotta, da impiegarsi solo per usi pratici e per scrivere. La mescolanza latino-volgare è anche la base di alcune di sperimentazioni letterarie, di linguaggi ibridi, costruiti artificialmente; ha fini comici o parodistici e gioca sul contrasto alto/basso: metrica e tessuto linguistico sono latini, ma in essi vengono inseriti elementi lessicali volgari, parole e sintagmi bassi e plebei a cui vengono date desinenze latine.

  • Machiavelli: prassi e teoria linguistiche

All'interno della tradizione letteraria italiana, la prosa politica di Machiavelli fa storia a sé, o meglio avvia una storia a sé stante. Se l’assetto fonomorfologico la avvicina al secolo e alla geografia linguistica e culturale di una parte della prosa che la precede (il Quattrocento fiorentino di Leon Battista Alberti), la sintassi e lo stile la proiettano senz'altro verso il secolo e la geografia linguistica e culturale di una parte della prosa che la segue (il Seicento già italiano di Galileo Galilei). La straordinaria novità della lingua e dello stile del Principe fu colta a suo tempo da un grande poeta, scrittore e critico italiano dell’Ottocento, Ugo Foscolo (1778-1827). In una sua opera questi affermò che nessuno, in Italia, aveva scritto mai «né con più forza né con più evidenza né con più brevità del Machiavelli». A parere di Foscolo, l’unico difetto della lingua e dello stile dell’autore del Principe derivava dalla «barbarie del dialetto materno», cioè dalla condizione rozza e disordinata in cui egli aveva trovato il fiorentino dei suoi tempi. A due secoli di distanza, e no-nostante l'improprietà di quest'ultima affermazione, le parole di Foscolo descrivono in modo molto efficace le caratteristiche più importanti della prosa politica di Machiavelli: le categorie della forza, dell’evidenza e della brevità possono essere riferite alle strategie generali di organizzazione del testo e alle strutture della sintassi, mentre la presunta barbarie del dialetto materno è riferibile all'aspetto grafico-fonetico e morfologico. •La Crusca fra adesioni e reazioni dal Seicento al Settecento

Il dizionario moderno, redatto dagli Accademici della Crusca, risulta il frutto di aggiustamenti successivi che gli diedero forma definitiva solo nel XVI secolo, se non all’inizio del XVII [e che] il dizionario potrebbe essere visto come uno dei risultati della regolamentazione delle lingue nazionali, anzi l’espressione compiuta del raggiungimento del loro equilibrio normativo. Con l’impresa del Vocabolario Firenze recuperava davvero un ’primato’, che non poteva più essergli disconosciuto né da quanti aderivano al modello linguistico che lo ispirava, sia da quanti in quel modello non si riconoscevano; come è dimostrato nei fatti dalla rapida diffusione e smercio di quella prima edizione, che, di poco mutata, fu ristampata di lì a un decennio, nel 1623. Paolo Beni ([1552 circa-1625], autore dell’ Anticrusca [1612] e de Il Cavalcanti [1614]) e di Alessandro Tassoni [1565-1635]) con le loro critiche indussero gli Accademici nella terza edizione (nel 1691) a rendere meno rigido il paradigma di autori spogliati, che accoglieva ora, oltre agli autori del Trecento, anche le opere di scrittori del Cinquecento e, fra queste, con particolare riguardo alle opere tecniche e scientifiche; e, a ridimensionare la prospettiva arcaizzante originaria, il Vocabolario del 1691 segnalava come V( oce ) A( ntiquata ) le parole uscite dall’uso, registrate non più per essere riusate, ma quale documento per la lettura degli antichi scrittori.

  • Quali sono i piani linguistici più permeabili ai francesismi introdotti nel Settecento?

A partire dagli anni Trenta del Settecento, dunque, si vengono man mano stabilendo su territorio italiano dinastie francofone o francofile. Già nel secondo Seicento si era andata sempre più concretizzando una apertura internazionale (cosmopolita) dell’Italia nei confronti della cultura europea con particolare riguardo alle letterature francese, inglese e, seppure in minor misura, tedesca. Il “frazionamento politico-culturale” da sempre lamentato per l’Italia e ricordato sopra per l’Italia del Settecento risulta agli uomini di quel secolo e del precedente ancora più grave e manifesto se posto in confronto alla situazione delle grandi organizzazioni statali inglese e soprattutto francese. La “gallomania” si esercitò tanto a livello letterario e linguistico, quanto a livello del costume, della moda, dei comportamenti. Il fenomeno gallicizzante dunque che, a partire dalla seconda metà del Seicento, interesserà con sempre maggiore forza l’intero secolo XVIII, non è esclusivamente linguistico, né linguistico-letterario. È infatti impossibile decidere se, a determinare la scelta del francese come lingua della conversazione delle classi colte per esempio a Milano (dove si parlava francese anche in contesti familiari, come avviene nella famiglia Verri nell’avanzato XVIII secolo), sia stata la penetrazione della cultura letteraria della Francia (il teatro tragico del Seicento di Jean Racine [1639-1699] e Pierre Corneille [1606-1684] o il teatro comico di Molière [1622-1673] o, più tardi, le idee dei philosophes illuministi), o se, viceversa, il fatto che il francese sia divenuto una sorta di lingua franca dell’Europa abbia facilitato la fortuna e la diffusione della letteratura di quel paese.

  • Il genio delle lingue: sintassi e ordine inverso nel Settecento

La lingua postulata da illuministi e riformatori era una lingua «comune» regolata dai dotti, cioè dagli scrittori, non fissata al passato e neppure a una regione, propria pertanto di tutti gli italiani e ragionevolmente aperta ai neologismi e ai regionalismi. Un apporto importante alla questione è quello di Cesarotti col Saggio sulla filosofia delle lingue: partendo dal presupposto che non ci sono lingue superiori e perfette, Cesarotti stabilisce il moderno principio della variazione per cui ogni lingua varia a seconda delle situazioni e dei luoghi («niuna lingua è parlata uniformemente dalla nazione»), e a seconda dei registri e degli strati e gruppi sociali («le diverse classi degli artefici si formano il loro gergo: i nobili hanno anche senza volerlo un dialetto diverso da quello del volgo») (Cesarotti 1969: 25-27). La lingua scritta è più stabile, regolata dagli scrittori, che possono introdurre parole e significati nuovi purché inseriti secondo le regole proprie della lingua. A spiegare tale regime di variazione e innovazione Cesarotti ricorre ai concetti di «genio grammaticale» e «genio retorico», il primo corrispondente alla struttura profonda della lingua, il secondo mutevole, disponibile alle variazioni legate alla storia; al genio retorico poi pertengono il lessico, sempre aumentabile, aperto quindi ai neologismi, ai dialettalismi, ai forestierismi, e la costruzione con le sue possibilità di marcatezza espressiva in cui rientrano le inversioni.

  • La posizione linguistica di Bembo e il ciceronianesimo

Tra il 1510 e il '30 trionfa a Roma il ciceronianesimo, l'imitazione del sonoro periodo del grande modello, che ebbe sanzione ufficiale quando Leone X elesse suoi segretari due eleganti ciceronianisti: Pietro Bembo e Jacopo Sadoleto. Classicismo, imitazione della lingua e dello stile degli antichi diventano canoni in tutti i generi letterari per ottenere risultati artistici universali e perenni. Predomina con l'opera del Bembo la forza istituzionale ed esemplare dell'imitazione dei grandi modelli. Anche in questa direzione la scelta del Bembo è contraria all'arricchimento linguistico mediante l'uso quotidiano. La lingua letteraria non deve accostarsi a quella del popolo ma «discostare se ne dee e dilungare, quanto le basta a mantenersi in vago et in gentile stato» Quando l'affermazione del volgare è definitiva e lo sviluppo della stampa crea un pubblico più vasto Bembo accentua la frattura fra lingua letteraria e lingua parlata per favorire la produzione aristocratica – produzione di classe – gradita ai signori dai quali umanisti e letterati dipendevano.

  • Alessandro Verri milanese e romano

La posizione di Alessandro Verri (come dell’ambiente illuminista di cui è espressione), riesce nei fatti a rompere i lacci che la tradizione aveva rappresentato, senza però rinnegare la propria cultura per adottarne passivamente un’altra. Il francese lingua della conversazione è per il Verri e per i suoi amici non una moda ma uno strumento (più adatto della prosa boccacciana) alla circolazione delle idee; quanto questo sia vero lo si può toccare con mano nella rifunzionalizzazione dello style coupé alla forma stessa della Rinunzia , organizzata e frammentata in capitoletti che parafrasano la suddivisione in articoli e commi di una legge. In effetti le “parole” corrispondono alle idee: perché la storia continui basterà che le idee cambino e di conseguenza cambino le parole. Il che avverrà tanto a livello biografico quanto a livello storiografico. Il trasferimento di lì a qualche anno di Alessandro Verri da Milano alla Roma papalina, dalla città degli uffici e dei commerci alla città delle rovine e delle testimonianze storiche, corrisponderà ad un cambio di posizione ideologica ed estetica in senso archeologico se non addirittura reazionario; e il cambio di posizionamento culturale porterà con sé il ritorno della prosa verriana alla tradizione: ispirata ai miti della Grecia e della Roma antiche, la prosa dei romanzi di Alessandro Verri recupererà nel lessico e nella sintassi la tradizione italiana antica. E di lì a poco, il romanticismo italiano si intersecherà con il neoclassicismo perché il sentimento e la passione si sostituiscano alla razionalità settecentesca.

  • L'ottocento: l'unificazione e la scuola

Unificata politicamente l’Italia occorreva anche impostare una scuola unitaria nei programmi e negli obiettivi e si poneva il problema di utilizzare una lingua unica per tutto il territorio che sviluppasse anche il senso di appartenenza. La legge Casati venne elusa e così le percentuali parlano del 43% di studenti frequentanti, rispettivamente 47% per i maschi, 39% per le femmine nell’anno scolastico 1863-64 a causa della pratica del lavoro minorile nel settore agricolo. I livelli di analfabetismo nel 1861 erano spaventosi: il 75% degli uomini era analfabeta, l’analfabetismo femminile raggiungeva l’84%, dati più impressionanti al Sud con il 95%. La Legge Coppino produsse effetti positivi con una media nel 1911 del 40% di analfabeti, percentuale variabile da regione a regione. Il problema principale segnalato dagli ispettori era il dialetto, con maestri costretti ad usarlo per farsi comprendere dagli alunni, a cui seguiva il problema dei numerosi errori di ortografia e le differenze in Toscana della lingua più pura nelle campagne piuttosto che in città e, quindi la necessità di non inviare insegnanti di città nei paesini di montagna e campagna per non contaminare la lingua piu’ pura con errori di pronuncia tipici degli abitanti di città.

  • L'Ottocento: le condizioni linguistiche dell'Italia pre-unitaria

L’Italia pre-unitaria mostrava condizioni linguistiche per il cittadino legate all’ambiente circoscritto al piccolo spazio regionale in cui viveva. La scolarizzazione scarsa e l’analfabetismo marcato influivano notevolmente e comportavano la dinamica tra dialetto e lingua corrispondente ad una dinamica tra parlato e scritto. Il parlato corrispondeva al dialetto locale o del piccolo spazio regionale, lo scritto alla lingua italiana. La dicotomia dialetto/italiano è evidente in alcune opere letterarie ad esempio in Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo si segnala la dicotomia tra veneziano / Italiano. E’ presente ancora il cosmopolitismo che la prima metà del XIX secolo eredita dal XVIII ossia l’influsso delle lingue straniere, in particolare il francese e, in subordine l’inglese.

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paradigmatico / asse sintagmatico
Saussure introdusse la distinzione tra asse sintagmatico e asse paradigmatico della lingua.
Sul primo il parlante o lo scrivente sceglie tra elementi linguistici legati tra loro da un
rapporto associativo, disponendo, poi, gli elementi prescelti sull’asse sintagmatico in
una sequenza condizionata dalle scelte operate. La lingua scritta e quella orale hanno un
diverso modo di combinare gli elementi. La lingua orale attua la selezione e la
combinazione con una coerenza inferiore rispetto a quella scritta, come dimostra la
presenza, nel parlato, di approssimazioni lessicali e sintattiche. Saussure, inoltre,
distingue nello studio della lingua due livelli di analisi: un’analisi sincronica (che
prescinde dal fattore tempo) e un’analisi diacronica (in base alle variazioni che riguardano
il tempo e l’evoluzione linguistica lungo l’asse temporale).
Inserite il concetto di stile all'interno della dicotomia saussuriana fra
langue e parole
Saussure distingue tra lingua e parole. Il linguaggio è un atto di fonazione e dunque si
configura come processo fonetico e articolatorio individuale (parole). A partire dalle
singole scelte del parlante, le parole, si innescano i cambiamenti lungo l’asse
diacronico. La funzione di quell’atto individuale deve essere condiviso nella lingua.
La lingua è necessaria perché la parola sia intellegibile e produca i suoi effetti così
come la parola è indispensabile perché la lingua si definisca. Con lingua si intende
tutto il “repertorio” fonetico, morfologico, sintattico e lessicale che la costituisce. A questo
repertorio attinge ogni parlante che, effettuando una serie di scelte, produce “atti
linguistici”, traducendo in forme concrete le potenzialità del repertorio. La lingua di un
autore è anch’essa un atto di parole. L’autore come ogni altro parlante si inserisce
nella dicotomia tra standard e idioletto, fra adesione alla lingua d’uso ed elaborazione di
un linguaggio personale. Di solito chi si prefigge di scrivere un testo letterario fa ricorso
a un sistema altamente formalizzato, nel quale non è più sufficiente ricorrere unicamente
all’idioletto e alla lingua d’uso. Lo stile di un autore può essere considerato il risultato di
un processo di selezione (inclusione o esclusione di forme) all’interno della varietà
linguistica che gli è propria e in base al registro adottato. Lo stile letterario deve
misurarsi con una serie di generi, forme e paradigmi retorici e stilistici del passato,
inserendosi all’interno di una tradizione di altri autori verso i quali lo scrittore potrà
avere un atteggiamento di adesione o di rifiuto.