Michelangelo Vood, significato delle canzoni di "Non c'è più tempo"
Michelangelo Vood

Il significato di tutte le canzoni che compongono Non c’è più tempo, il nuovo album di Michelangelo Vood. (Qui la videointervista).

Michelangelo Vood, il significato delle canzoni dell’album “Non c’è più tempo”

“NON C’È PIÙ TEMPO” racconta il fallimento della mia generazione.

È un disco che parla di incertezze, futuro, solitudine, malinconia, rassegnazione e speranza. È un disco che parla soprattutto di amore, inteso come l’unica forza capace di sconfiggere la paura.

MILLENNIUM BUG (M. Vood, G. Lerna)

Il racconto della mia rivoluzione, della rivoluzione di tanti ragazzi che dalla provincia hanno scelto di costruirsi un futuro al nord. Lasciarsi alle spalle una madre, con la consapevolezza che invecchierà da sola, è il pensiero più straziante che assedia la mia mente tutte le volte che mi chiedo se sia davvero questa la vita che desideravo. È una ballad al pianoforte, molto malinconica e profonda. 

Dai non c’è bisogno di girarci troppo intorno. Siamo nomadi, figli dei dollari, del Millennium Bug, di una madre in provincia sola.
Chissà se è questo che volevo quel giorno di novembre solo dentro a un treno, che corre verso nord.

DEBOLE (M. Vood, Baltimora, Machweo)

Ammettere di aver fallito, di essere dei deboli, è il primo passo per accogliere la speranza.

È una canzone che gioca a carte scoperte, evidenziando uno stato d’animo comune alla mia generazione.  Sebbene la società ci abbia inculcato l’idea che la vulnerabilità non si addica ad un uomo, io la canto in maniera diretta. Il brano racchiude una promessa di cambiamento, è una spinta a credere che da domani smetteremo di essere un ostacolo per chi ci vuole bene. La scrittura del brano si ispira a grandi classici pop dei primi anni 2000, epoca musicale ingiustamente sottovalutata ma a cui sono molto affezionato.

Non ho più forze per darti un addio, non ho più lacrime. Non ho una casa né fede in un Dio, io sono un debole.
Resta qui con me anche se fa male, anche se fallirò.

LUNA ELETTRICA (M. Vood, M. Guazzone)

Di notte la solitudine pesa di più, le cicatrici bruciano e tutti i demoni tornano a bussare alla porta. Di cosa ho bisogno per capire chi sono?

La canzone raccoglie pensieri sparsi che affollano una notte insonne, nella quale resta forte il desiderio di leggermi dentro e di interpretare i miei sentimenti, pur avendo la certezza di non riuscirci mai veramente.

A lenire il dolore c’è una luna così brillante al punto da sembrare irreale, una luna elettrica. 

Ho bisogno di Rionero per ricordarmi di chi ero. Ho anche bisogno di Milano per ricongiungermi allo stormo, seguire il mio sogno.

SCEMO (M. Vood, G. Lerna, Kyv)

“Scemo” è la dedica per quella persona di cui vorremmo liberarci per sempre, un vecchio amore che ritorna, un vicino di casa antipatico, un amico che ci ha deluso profondamente, un capo troppo esigente.

Dietro l’atmosfera apparentemente leggera del brano, provo a esplorare tematiche come l’accettazione della solitudine, le pressioni derivanti dalla paura del giudizio altrui e l’istinto di sopravvivenza in una metropoli mangia-sogni.

Ma mi credi scemo?
Non do peso a foto e like, dormo male lo stesso.
Tutti i miei sogni son morti già

CONTAVO SU DI TE (M. Vood)

La fine di un lungo amore e la paura di restare soli, con una grande metropoli sullo sfondo. Come si fa a trovare la forza di dirsi addio quando il cuore non si rassegna? 

È una ballad d’amore alla chitarra, giocata su pochi elementi per dare maggior risalto al racconto. L’ispirazione musicale del brano è il folk americano, fino all’inaspettata sezione finale che deraglia in sonorità indie rock.

Contavo su di te per dividerci un affitto e una poesia. L’hai già buttata via…
Non siamo più quei ragazzini troppo distratti per esser felici.

SANGUE E SUDORE (M. Vood)

Quando un amore finisce dopo tanto tempo cancella tutti i piani per il futuro, da quelli più grandi a quelli più semplici, come un viaggio insieme prenotato da tempo. La mente si proietta in avanti per configurare “un’altra vita senza di te”, anche se i ricordi sono impossibili da soffocare. Col passare del tempo l’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento e ci si rende conto che forse quel dolore che ieri ci sembrava insormontabile oggi è più leggero. Il sound del brano prova a mediare tra due mondi solo apparentemente inconciliabili, Lucio Battisti e i Phoenix.

Per me è stato facile innamorarmi di te. Io ti vidi arrivare e di colpo l’inverno finì.
Sarà come sempre sarà l’inizio della primavera, un filo d’erba da una crepa, l’ipotesi di un’altra vita senza di te.

2000 ANNI (M. Vood, A. Bonomo, G. Colombo)

Il brano descrive l’incontro fortuito tra due sconosciuti che, dopo poche parole, instaurano tra di loro una complicità tale che hanno l’impressione di conoscersi da sempre. La canzone parla di destino e anime gemelle, parla di multiversi, di amori che hanno bruciato fortissimo “altrove” (in un altro spazio-tempo) e che si manifestano anche a noi, in maniera inaspettata e fortuita. Il racconto del brano si sviluppa su una strumentale semplice, che esplode in uno special dagli echi brit rock.

Chissà dove ti nascondevi, magari proprio sotto casa mia. Non andare via, non andare via.
Per altri 2000 anni raccontami tutto di te

DUE MORSI (M. Vood, Gobbi, Dema, G. Colombo)

Gli strascichi di un amore finito e il sentimento di abbandono che attanaglia il cuore. Lo sconforto si trasforma in una preghiera, in una disperata fuga notturna alla ricerca dell’altra persona. Ma lì fuori non c’è nessuno, torna la luna a farci compagnia. È un brano dalle sonorità indie, che si muove in un contesto urbano costellato di immagini quotidiane.

Mi scordi tra gli avanzi di due giorni fa.
Non basta un “ti amo” per non lasciarsi mai.

CINEMA PARADISO (M. Vood, G. Lerna, A. Bonomo, G. Colombo)

Prendendo in prestito il titolo da un grande classico del cinema italiano, la canzone parla del profondo senso di smarrimento causato dalla fine di un rapporto. L’orgoglio iniziale si trasforma in amarezza e, in momenti così, persino il cielo, simbolo di libertà e sconfinatezza, può sembrarci una gabbia da cui è impossibile spiccare il volo.

Il cielo è una gabbia in cui non volo più.

NON C’È PIÙ TEMPO (M. Vood, D. Cardone)

Canzone che dà il titolo al disco, si sviluppa come un grande elenco di cose per cui oggi non c’è più tempo. L’amara consapevolezza che il tempo non ci aspetta conduce al ritornello, grido di dolore e, al contempo, richiesta di aiuto rivolta all’esterno. 

Non c’è più tempo per risalire, cambiare strada e poi sparire.
Insegnami a domare la paura, a restare in bilico. È solo una questione di stabilità…tu corri, ma io resto qua.

Foto di Alessandro Treves