Abigail Recensione

Abigail: la recensione del film horror diretto dagli autori di Scream

13 maggio 2024
3.5 di 5
2

Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett confermano le cose buone fatte vedere negli ultimi due Scream e in Finché morte non ci separi in questo divertente, gustoso e sanguinoso nuovo film. La recensione di Abigail di Federico Gironi.

Abigail: la recensione del film horror diretto dagli autori di Scream

Non serve aver visto il trailer del film, o aver letto la trama, o sapere che il copione è ispirato - molto liberamente - a quello di La figlia di Dracula, per sapere che quella bambina che viene rapita all’inizio del film, non è una bambina come le altre, e che riserverà alcune brutte sorprese per i nostri rapitori.
Non serve perché è ovvio da subito, ma quest’ovvietà non va a affatto a discapito del divertimento e della tensione: al contrario. Perché il gioco di Abigail è proprio questo: lavorare sull’attesa dell’inevitabile, e sulla creatività con la quale si mettono in scena situazioni attese e stereotipate, sulle modalità con le quali con la banda di rapitori inizia a perdere, inevitabilmente, un pezzo dopo l’altro.

Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, nuove star dell’horror mainstream made in Hollywood, hanno fatto tesoro dell’esperienza accumulata nei due Scream firmati da loro, così come di quella di Finché morte non ci separi (del quale riprendono l’ambientazione e ribaltano le dinamiche), e confermano di avere un’idea molto precisa del genere all’interno del quale lavorano senza velleità rivoluzionarie.
Un’idea molto ludica, sia nelle dinamiche che nei toni, e che al tempo stesso non ha paura della violenza, per ammantata di ironia, e ancor meno ne ha del gore.
Abigail, infatti, parte con dinamiche da I ottimamente gestite, per tramutarsi poi un una sorta di “Dieci piccoli indiani” (citato, non a caso, nel nome dell’esplicitazione costante di tutte le carte in tavola), e finisce in un tripudio di sangue succhiato, vomitato, esploso, centrifugato, spruzzato.

Tra le citazioni sparse, in Abigail, c’è spazio anche, implicitamente, per Le iene di Quentin Tarantino (nelle dinamiche tra i rapitori, e nel loro anonimato coperto da pseudonimi), mentre quando alcuni dei protagonisti, avendo capito di avere a che fare con un vampiro, si chiedono come procedere, una di loro si domanda apertamente: “ma di che tipo di vampiri parliamo? Vampiri alla Anne Rice o alla True Blood?”. Non si tratta di nomi o titoli a caso, ma di chiari esempi di attualizzazione contemporanea del mito eterno del vampiro, che in Abigail viene compiuta senza troppe ambizioni ma con quel tanto che basta di personalità.
Inutile girarci intorno: Abigail è un film molto divertente, estremamente godibile, nel quale la risata, spesso, vince sul brivido, ma per precisa volontà dei suoi autori. Autori che comunque, quando le cose si fanno un po’ serie, non hanno alcun problema a mettere in scena la giusta quantità di pathos.

A Bettinelli-Olpis e Gillett, così come accaduto negli altri loro film, va anche il merito di aver compiuto scelte di casting decisamente azzeccate, e di aver dedicato la giusta attenzione a una dimensione - la qualità della recitazione - spesso trascurata in questo genere di film.
Alisha Weir è notevolissima nei panni della 12enne ballerina dagli appetiti diabolici, Melissa Barrera una piacevole conferma, Dan Stevens fa Dan Stevens (e ci basta), e gli altri membri della banda di rapitori che finiscono per essere topolini (sono o non sono un nuovo Rat-Pack, dal quale hanno preso gli pseudonimi)  con cui il gatto Abigail gioca sadicamente sono tutti azzeccaati.
Menzione speciale per un Giancarlo Esposito davvero inedito.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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