Quanto può essere profondo il malessere interiore di un essere umano? Quel fardello emotivo che può essere tanto gravoso quanto dannoso. In tempi oserei dire bui, la psicosi era approcciata in maniera radicale, spesso estrema. Si conduceva il paziente alla sofferenza fisica, che montava su quella psichica. Oggi, fortunatamente, la scienza e la morale hanno riconosciuto il violento dolore interiore che le patologie mentali causano a colei o colui che ne soffre, proponendo cure e percorsi che se non guariscono, quantomeno leniscono. Spesso, molto spesso a dire il vero, si svilisce la gravità del sintomo o, peggio ancora, lo s’ignora. Questo perché non tutti sanno e non tutti fortunatamente sapranno cosa vuol dire convivere con le voci, le visioni e le infinità di turbamenti che posso abitare un singolo individuo.

A tal proposito, Senua’s Saga: Hellblade II dei Ninja Theory si prefigge il compito di mostrare proprio questo: il torbido dolore interiore che l’essere umano cova, narrando il tutto attraverso una meravigliosa allegoria fatta di epica e mitologia.

Come affrontato nel precedente capitolo, il viaggio di Senua altro non è che una profonda riflessione su sé stessi e sui propri malesseri, che turbinano costantemente fino a riaffiorare nelle scelte della vita. La nostra guerriera è frastornata – e lo saremo anche noi – da quelle voci che la giudicano, la spronano, l’avviliscono, l’ammoniscono, la confondono e, talvolta, la guidano. La magia, questa intesa come forza sovrannaturale, dietro il racconto folkloristico è sì presente, connotando in chiave fantasy il racconto, ma è meravigliosamente marginale. Dico “meravigliosamente” perché Hellblade II non propone nulla di vagamente riconducibile all’uso muscolare della magia. Questa può essere tradotta come una delle molte elucubrazioni della psiche di Senua, costantemente in bilico fra la sanità e l’insania, braccata e a volte dominata dai traumi del suo passato violento; della sua oscurità.

Proprio il suo passato può e deve essere ricordato dal videogiocatore, utile senz’altro per comprendere la brutalità di quei tempi, dove razzie e scorribande squartavano la vita, spesso pacifica, di chi la subiva. Il canovaccio narrativo del gioco prende atto proprio laddove il ricordo più duro di Senua emerge: il suo villaggio arso e depredato da violenti razziatori, giunti da lontane coste per accaparrarsi una delle valute più rilevanti di quei tempi, gli schiavi.

Risorta dalla catabasi del primo viaggio, quello a Hel del primo capitolo, Senua si imbarca in quella che soltanto in un primo istante sarà una storia di vendetta. Tagliare la testa all’idra, il vertice di quei schiavisti; così da porvi definitivamente la parola fine. Eppure il viaggio, a tratti omerico, tramuta in qualcos’altro. Le gelide coste scandinave traspaiono fra nebbia, piogge e sangue. Un dilagare maligno che fagocita qualsiasi cosa come un gorgo.

La trama mitologica è senza dubbio incalzante: un evento ha infranto il labile confine fra Midgard e Jotunheim, riversando nella terra degli uomini orde di giganti. Questa volta però, il cammino di Senua non sarà solitario. La vedremo scortata da comprimari definiti quanto basta per darle un po’ di calore e fiducia. Volti alla quale lei dovrà legarsi, anche solo per fronteggiare quelle voci ansiogene e tremolanti che la farebbero desistere da ogni contatto umano.

Stessa sostanza ma…

Definire Hellblade II sul piano ludico è semplice quanto intricato. In buona sostanza il gameplay fonde componenti action a elementi puzzle, come nel caso del predecessore, innescando i combattimenti in frangenti ben precisi dove il giocatore non possiede facoltà di scelta. Le fasi in cui si solleva la spada le ho trovate magnifiche nella regia; dirette con una sequenzialità non propriamente tipica del medium videoludico. Quest’ultima caratteristica potrebbe risultare ostica, o meglio dire, non preferibile, a tutti coloro che sono soliti concepire i combattimenti in maniera totalmente arbitraria, dove le proprie abilità vengono poste alla base dell’intero schema. In Hellblade II l’arma di Senua, così come i combattimenti, mi hanno dato l’impressione di essere un’estensione dell’interiorità della donna, alle prese con il suo lato più crudo e impetuoso, in bilico fra il calore e l’emotività della madre e l’intransigente furia del padre. I due volti emotivi di Senua.

L’ambiente svolge un ruolo di primissimo rilievo nel computo totale dell’esperienza. Non solo per via di un Unreal Engine 5 che agguanta il fotorealismo concedendo al giocatore scorci di rarissima bellezza – il valore estetico di Hellblade II potrebbe stabilire un nuovo standard – ma risulta fondamentale anche per la gestione del ritmo. Nel gioco sono presenti sequenze che sfiorano l’orrorifico, portando la tensione su vette assai prominenti. Un cardiopalma gestito ad arte anche da un uso magistrale del sonoro, viscerale in ogni suo aspetto, capace di riverberare sin nelle ossa. Meravigliose anche le musiche, siano esse battiti furiosi di tamburi, o sottili canti femminili. La presenza del gruppo neo-folk Heilung – ormai marchio di fabbrica della produzione – aiuta senz’altro nella discesa sensoriale dell’opera.

Infine un plauso va a Melina Juergens, colei che interpreta la nostra Senua. Non mi resta difficile comprendere il motivo della sua scelta: ogni tratto, ogni rilievo e ogni singola espressione di Melina calca in maniera perfetta la stratificazione di Senua; l’interpretazione del suo dolore, della sua foga.

Senua’s Saga Hellblade II è un’opera che nella sua unicità riesce a generare forti vortici emotivi, calando il giocatore in un’esperienza mai banale, incalzante nelle fasi più concitate, e febbrile nei momenti più topici. Personalmente l’ho adorato.

Consiglio a chiunque affronterà Hellblade II (terminato il gioco) di gettare uno sguardo agli extra, anche soltanto per provare – distaccatamente – a comprendere il filtro che la psicosi, quella vera, genera attorno alla vita.

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