Diritto alla riparazione, l’Europa cambia tutto: dalla tv agli smartphone, ecco come funziona - Il Secolo XIX
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Diritto alla riparazione, l’Europa cambia tutto: dalla tv agli smartphone, ecco come funziona

Le regole attuali e la nuova direttiva europea, che obbliga i produttori e non più i venditori a intervenire. Ecco quando scattano le novità e le regole per tutelarsi

francesco margiocco
Aggiornato alle 7 minuti di lettura

La riparazione di un apparecchio (foto d'archivio)

 (reuters)

Genova – Una nuova direttiva dell’Unione europea riconosce il diritto del consumatore alla riparazione dei prodotti e cambia le regole in vigore. L’ha approvata il Parlamento di Strasburgo, ora sarà la volta del Consiglio, poi i Paesi membri avranno 24 mesi di tempo per recepirla nel diritto nazionale.

La direttiva muove dalla necessità di ridurre gli sprechi. Un rapporto delle Nazioni Unite, il “2024 Global E-Waste Monitor”, afferma che l’annuale produzione di Raee, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, cioè funzionanti grazie a una spina o a una o più batterie, cresce ogni anno al ritmo di 2,6 milioni di tonnellate metriche, 2,6 miliardi di chili, e raggiungerà 82 milioni di tonnellate nel 2030, dai 62 milioni di tonnellate del 2022. Il riciclo non cresce allo stesso ritmo: crea benessere, come i 23 miliardi di dollari stimati dall’Onu in termini di minori emissioni di gas serra, e i 28 miliardi di dollari associati al trattamento dell’e-waste e al suo indotto, ma crea anche costi, 10 miliardi per il trattamento, 78 miliardi per le ricadute sull’ambiente e le persone. I 62 milioni di tonnellate di Raee del 2022 riempirebbero 1,55 milioni di camion da 40 tonnellate l’uno, abbastanza da circondare l’Equatore se, dopo avere pavimentato gli oceani, li parcheggiassimo in fila indiana.

Come funziona oggi

La garanzia legale, o garanzia di conformità, ha la durata di due anni. In caso di guasto o malfunzionamento accertato entro quel termine, spetterà al venditore riparare o sostituire il prodotto. Si applica anche sui beni usati, nel cui caso dura un anno più i due mesi necessari per la denuncia del difetto, ma solo a condizione che il venditore svolga un’attività commerciale. Non si applica invece ai beni usati oggetto di un contratto tra consumatori privati: per fare un esempio, un’auto, acquistata direttamente da un privato, non ha la copertura contro eventuali problemi che insorgano dopo la conclusione della compravendita. Le estensioni di garanzia, invece, sono facoltative e a pagamento. Coprono un ventaglio di prodotti, dai veicoli agli smartphone. Per le auto e le moto possono essere comprese nel prezzo di vendita, o vendute a parte, e garantire danni alla carrozzeria o al motore da subito o solo dopo un certo chilometraggio (fanno fede le clausole di esclusione, ad esempio varie polizze estensive non prevedono la copertura per guasti agli alzacristalli elettrici). Per i prodotti saltuari e di valore non troppo elevato, come un phon o un rasoio elettrico, l’estensione ha poco senso nel rapporto tra il costo del bene e la spesa per estendere la tutela. Per gli oggetti che valgono di più, è un modo, economicamente accessibile, di allungare i termini della garanzia.

Gli esperti individuano due criteri per scegliere se estendere la copertura: il valore del prodotto e la probabilità che si rompa. Alcune estensioni tutelano dai danni che si verificano dopo lo scadere della garanzia legale, altre offrono prestazioni aggiuntive. I contratti sono molto diversi tra loro: possono somigliare alle assicurazioni, che intervengono anche in caso di rottura accidentale, o coprire solo la riparazione per i guasti non provocati dal cliente. Ma, come detto, bisogna prestare la massima attenzione alle clausole di esclusione: prima della sottoscrizione, sempre meglio una domanda in più per togliersi eventuali dubbi.

La novità in arrivo

La nuova direttiva, invece, obbliga i produttori, non i venditori, a fornire servizi di riparazione «tempestivi ed economici» e a informare i consumatori sul loro diritto alla riparazione. In sintesi, il produttore è tenuto a intervenire sul prodotto anche se questo non è più in garanzia. Essendo una direttiva, non ha efficacia immediata negli Stati membri dell’Ue, che devono attuarla con leggi nazionali. Gli Stati hanno due anni di tempo per adeguarsi a questa come a ogni direttiva e in genere ne approfittano. Le nuove norme, si prevede, saranno in vigore in Italia nella primavera del 2026.

Quali prodotti riguarda

Una volta scaduta la garanzia legale, il produttore è tenuto a intervenire sugli elettrodomestici più comuni. Al momento, rientrano in questa categoria lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi, aspirapolveri, display elettronici (leggi: monitor e televisori), telefoni cordless e smartphone. Non gli stereo, né i lettori cd, né le videocamere o le macchine fotografiche. Se il bene è ancora in garanzia legale, beneficerà di un’ulteriore estensione di un anno, così da incentivare la riparazione e non la sostituzione. Le pratiche scorrette

La direttiva sul diritto alla riparazione non affronta nel dettaglio i requisiti che i produttori dovranno rispettare per consentire a più professionisti di effettuare riparazioni. Ma lo fanno altri regolamenti, approvati a partire dal 2021, stabilendo criteri specifici per la riparazione (i regolamenti sono immediatamente efficaci negli Stati membri). Quello sull’eco-design per smartphone e tablet, ad esempio, è stato approvato alla fine del 2023 ed entrerà in vigore nel giugno del 2025. “Tra un anno ci aspettiamo di vedere cambiamenti significativi nel mercato, sull'accesso ai pezzi di ricambio originali, ai manuali e alle istruzioni, oltre a un prolungamento del supporto per il sistema operativo su dispositivi più vecchi”, dice Claire Darmon, responsabile affari pubblici di Swappie, la società finlandese che vende iPhone rigenerati, cioè usati ma rimessi a nuovo In generale, sono regolamenti che obbligano i produttori a rispettare determinati criteri di progettazione e realizzazione: l’obbligo di rendere disponibili i pezzi di ricambio e le relative istruzioni per la riparazione, nonché di prevedere una serie di pezzi di ricambio vendibili direttamente al consumatore perché provveda da sé alla riparazione, il divieto di usare hardware e software che possano ostacolare le riparazioni, come ad esempio parti che non possono essere smontate o codici di accesso proprietari per diagnosticare i guasti.

Sono validi solo nell’Unione europea, ma poiché il mercato dell’Unione europea è il secondo mercato al mondo secondo la Banca mondiale, in termini di spesa in beni e servizi di ogni nucleo familiare, i regolamenti di Bruxelles finiscono per produrre effetti anche al di fuori dei confini dell’Unione e per dettare la loro condizione alla produzione mondiale di elettrodomestici. È un caso tipico di globalizzazione noto come “Brussels effect”: per vendere nell’Unione, anche i produttori extra-Ue devono conformarsi.

Il prestito sostitutivo

Una volta scaduta la garanzia, i consumatori potranno rivolgersi direttamente ai produttori per la riparazione. Durante la riparazione, avranno diritto al prestito di un elettrodomestico sostitutivo. Ogni produttore dovrà pubblicare, con regolarità, informazioni sui propri servizi di riparazione che contengano anche i prezzi indicativi delle riparazioni più comuni. In caso di prodotti che non possono essere riparati, i produttori dovranno poter offrire un apparecchio ricondizionato.

La piattaforma internet

Una piattaforma online europea riunirà queste informazioni in uno spazio che aiuti i cittadini a trovare i centri di riparazione e i negozi di articoli ricondizionati più vicini. Ogni Stato dovrà allestire su questa piattaforma la propria parte. Il sito dovrà informare anche sui tempi di riparazione, sulla disponibilità di beni sostitutivi e in generale sulle condizioni.

L’usato sicuro

La direttiva vuole anche promuovere l’uso di beni ricondizionati, o rigenerati, rinnovati e riportati allo stato iniziale. L’articolo 7, paragrafo 2, “obbliga gli Stati membri a garantire che la piattaforma online

includa anche una funzione di ricerca per individuare i venditori di beni soggetti a ricondizionamento e gli acquirenti di beni difettosi a fini di ricondizionamento”.

I pezzi di ricambio

I produttori non potranno impedire l’uso di pezzi di ricambio di seconda mano o stampati in 3D da parte di riparatori indipendenti. Né potranno rifiutarsi di riparare un prodotto solo per motivi economici o perché è stato precedentemente riparato da qualcun altro. “L’obiettivo è rafforzare il mercato delle riparazioni dell’Unione europea e ridurne i costi”, spiega Antonietta Agostinelli, dell’ufficio studi economico-giuridici di Altroconsumo. “I produttori dovranno fornire pezzi di ricambio e strumenti a un prezzo ragionevole e non potranno ricorrere a clausole contrattuali che ostacolino le riparazioni”, dice Agostinelli. Per Ugo Vallauri, co-direttore di The Restart Project, charity londinese che promuove la riparazione, e membro del direttivo di Right to Repair Europe, una coalizione di oltre 100 organizzazioni pro-riparazione, tra cui gli stessi Restart Project e Swappie, è “la misura più importante della direttiva, anche se lascia spazio a possibili eccezioni perché ci sono casi in cui i pezzi di ricambio sono coperti da copyright”. Secondo l’associazione nazionale di artigiani, e anche di tecnici-riparatori, Confartigianato, il testo della direttiva «non è chiaro su questo punto».

All’articolo 5, spiega il presidente di Confartigianato, Marco Granelli, «non è presente un chiaro obbligo dei fabbricanti di mettere a disposizione dei riparatori i pezzi di ricambio» e il limitato accesso ai pezzi di ricambio «rende di fatto vano il tentativo di promuovere la riparazione»; la speranza è che «in fase di recepimento (della direttiva con legge dello Stato italiano, ndr) questo passaggio venga chiarito». Oggi un’impresa può rifiutarsi di riparare un prodotto che, sebbene ancora in garanzia, sia stato in precedenza riparato da un tecnico indipendente. Addirittura, dice Darmon, «molti produttori rifiutano di riparare dispositivi che sono stati precedentemente aperti e diagnosticati, senza essere stati riparati, da terze parti, invalidando la garanzia. È difficile prevedere se questa pratica continuerà in futuro. Dipenderà da diversi fattori, come l’evoluzione delle politiche aziendali, la pressione dei consumatori ed eventuali cambiamenti normativi. Con la direttiva sul diritto alla riparazione, questa pratica sarà vietata per le “riparazioni fuori garanzia”, ma rimarrà possibile se il problema è coperto da una garanzia legale».

Il rebus della “convenienza”

La riparazione deve avvenire a un prezzo “conveniente”, aggettivo un po’ vago. “In una prima versione della direttiva si parlava di gratuità, concetto poi scomparso”, racconta Agostinelli, che, con Altroconsumo, ha partecipato insieme ad altre associazioni di consumatori dell’Unione europea alle consultazioni dell’Europarlamento per redigere la direttiva. Secondo Vallauri, il concetto di prezzo “conveniente” è di per sé una “prima vittoria dei consumatori”, ma sarebbe stata preferibile una indicazione più precisa, “è ragionevole un prezzo fino al 30% o al 40% del costo del prodotto nuovo”, anche perché l’imprecisione “temiamo che darà il via a cause legali su cosa voglia dire davvero la parola conveniente”. Il concetto di “conveniente” non è definito nel testo, perché le autorità di regolamentazione non hanno il potere di fissare i prezzi: il mercato è libero. “Tuttavia, auspichiamo che vengano stabilite linee guida a livello europeo per prevenire l’adozione di prezzi proibitivi da parte dei produttori”, dice Darmon. La direttiva introduce anche l’obbligo per i riparatori di elaborare, su richiesta, un preventivo con i prezzi e le condizioni per la riparazione e la facoltà per i riparatori di chiedere il pagamento del preventivo. “Questo, se da un lato è comprensibile, perché il preventivo è lavoro, dall’altro potrebbe disincentivare le riparazioni”, commenta Agostinelli.

La trasparenza

Prima dell’intervento, il consumatore avrà il diritto di richiedere un “modulo europeo di informazioni sulla riparazione” per capire se convenga far riparare il prodotto. Il modulo contiene informazioni come: la determinazione del difetto, il tipo di riparazione consigliata, la disponibilità di un prodotto

sostitutivo temporaneo e il suo eventuale costo, il prezzo e il tempo massimo previsti per la riparazione. Il modulo ha una validità di 30 giorni, per consentire al consumatore di confrontarlo con altre offerte.

I tecnici volontari

La direttiva promuove anche le iniziative di riparazione a livello di comunità, come i “repair café”, luoghi dove i residenti possono portare i propri oggetti rotti per farli aggiustare da tecnici volontari, un’invenzione dell’ambientalista olandese Martine Postma che nel 2009, ad Amsterdam, ha creato il primo “repair café” mettendo insieme un gruppo di appassionati. Oggi, secondo il sito della Repair Café International Foundation, esistono al mondo più di 2.500 “repair café”. “Sono realtà dove i consumatori trovano assistenza per imparare a riparare da soli gli oggetti, con l’aiuto di tecnici-volontari. In Italia sono poco diffusi, la direttiva dovrebbe diffonderli”, dice Agostinelli.

Gli incentivi

Ogni Stato dovrà approvare almeno una misura che incentivi i consumatori a riparare o a fare riparare gli elettrodomestici anche oltre la scadenza della garanzia di conformità. Incentivi fiscali, ad esempio, o corsi di formazione nei “repair café”. L’Austria, ricorda Vallauri, “ha un bonus che copre fino al 50% dei costi di riparazione, attualmente finanziato con la versione austriaca del Pnrr”, mentre in Francia la misura “copre una cifra più bassa, ma è finanziata con una parte del fondo delle case produttrici per lo smaltimento dei rifiuti, e quindi ha un carattere più duraturo”. L’Italia è indietro: i “repair café” sono pochi e gli incentivi vanno nella direzione, opposta, di promuovere l’acquisto di nuovi elettrodomestici, con detrazioni fiscali su un importo massimo di 5 mila euro per chi acquista lavatrici, lavasciugatrici, lavastoviglie, forni, frigoriferi e congelatori fino al 31 dicembre 2024.

Ma chi ripara?

Dopo anni di obsolescenza programmata, cioè di prodotti nati per vivere un numero molto limitato di anni, e di cultura dell’usa e getta, il mestiere del tecnico-riparatore è entrato in crisi. Una crisi mondiale, spiega Vallauri, “anche se per fortuna in Italia un tessuto di piccole-micro imprese ancora resiste”. Secondo Confartigianato, oggi in Italia operano 3.900 imprese di riparazione di elettrodomestici. “L’applicazione delle nuove regole che arrivano dall’Europa, soprattutto garantendo che i riparatori indipendenti possano operare senza barriere all’accesso e alle stesse condizioni dei riparatori autorizzati, potrà dare impulso al settore”, conclude Granelli.

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