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Gli attori: Vittorio Gassman

1964 07 11 Tempo Evi Marandi f0

1957 12 15 Cinema Nuovo Vittorio Gassman intro

Il cinema è servito a Gassman, — come anch’egli ha più volte dichiarato— soprattutto per i notevoli benefici finanziari e per soddisfare la sua ambizione d’essere conosciuto dal maggior numero di persone

Vittorio Gassman, nato a Genova il 1° settembre 1922, da padre tedesco, di professione ingegnere e da madre toscana, attrice, in gioventù, e nel 1952-53 in Tre quarti di luna. Studente universitario, giocatore nazionale di pallacanestro, allievo dell'Accademia nazionale d'arte drammatica, sotto la guida di Silvio D'Amico. Ha sposato Nora Ricci, figlia di Renzo Ricci, e Shelley Winters.

Film. 1946: Preludio d'amore di Giovanni Paolucci, Daniele Cortis di Mario Soldati; 1947: La figlia del capitano di Mario Camerini, Le avventure di Pinocchio di Giovanni Guardone; 1948: L'ebreo errante di Goffredo Alessandrini, Il cavaliere misterioso di Riccardo Freda, Riso amaro di Giuseppe De Santis; -1949: Il lupo della Sila di Duilio Coletti, Una voce nel tuo cuore di Alberto D'Aversa, Ho sognato il Paradiso di Giorgio Pastina; 1950: Lo sparviero del Nilo di Giacomo Gentilomo, / fuorilegge di Aldo Vergano, Il leone di Amalfi di Pietro Francisci; 1951: La corona nerq di Luis Saslavski, Il tradimento di Riccardo Freda, Anna di Alberto Lattuada; 1952: Il sogno di Zorro di Mario Soldati, La tratta delle bianche di Luigi Comencini. Nel 1953 si reca a Hollywood dove interpreta: The glass vrall (all muro di vetro») di Maxwell Shane, Sombrero di Norman Foster, Cry of thè hunted (a L'urlo dell'inseguito») di Joseph H. Lewis, Rhapsodie (a Rapsodia») di Charles Vidor. 1954: Mambo di Robert Rossen; 1955: La donna più bella del mondo di Robert Z. Léonard; 1956: Difendo il mio amore di Vincent Sherman, Guerra e pace di King Vidor, Giovanni dalle bande nere di Sergio Grieco, Kean, genio e sregolatezza, che è anche la sua prima regia cinematografica; 1957: La ragazza del Palio di Luigi Zampa. Nel luglio 1957 a Saint Vincent, gli è stata assegnata Ja Grolla d'oro quale miglior interprete maschile, per Kean, genio e sregolatezza.

Teatro: esordisce a Milano al Teatro Odeon nel 1943 con la compagnia di Alda Borelli in La nemica. Recita poi con le compagnie di Elsa Merlini, di Laura Adani, con Tino Carrarò ed Ernesto Calindri, nella Morelli-Stoppa, diretta da Luchino Visconti, nel Teatro Nazionale diretto da Guido Salvini, nel Teatro d'arte italiano e con compagnia propria. Regie teatrali. 1950: Peer Gynt; 1951: Il giocatore; 1952-53: (per il Teatro d'arte italiano) Amleto, Tieste, Tre quarti di luna; 1953-54: (Teatro d'arte italiano) I persiani, La fuggitiva, Leonora; 1954-55; Sangue. verde, Kean; genio e sregolatezza, Edipo re, 1956-57: Otello, Ornifle, Oreste. Ha lavorato anche per la radio e la televisione.

1957 12 15 Cinema Nuovo Vittorio Gassman f1E' evidente e scontato, a proposito di Vittorio Gassman, il contrasto di rendimento fra il lavoro teatrale e quello cinematografico. Nel primo caso, infatti, pur prestandosi sia quale attore sia quale regista à numerose discussioni, Gassman è, comunque, su un piano di rendimento notevole e ricco di interesse; nel secondo, le sue prove d’attore sono per lo più al di sotto del medio livello comune, e il suo recente esordio alla regia risulta, prima di ogni altra considerazione, molto limitato. Su Gassman, più che su altri che si cimentano parimenti sulla scena e sullo schermo, influiscono, in realtà, tre motivi di fondo, comuni e particolari: le sostanziali differenze fra cinema e teatro, tanto più vive quanto meno evidenti e conclamate, nettissime anche (e forse soprattutto) proprio nella tecnica della recitazione; il diverso e quasi opposto giudizio oggettivo nei confronti del teatro e nei confronti del cinema, ritenuto infatti un mezzo dotato a priori di una inferiore possibilità di- resa I artistica; il contrastante atteggiamento personale e soggettivo riguardo alle due forme, derivante in primo luogo dall’opinione di cui s'è detto, per giungere - poi, alla fine, - a proposito del cinema, alla carenza tanto di una adesione volontaria e concrèta, quanto della necessaria e fondamentale umiltà.

Togliere all’attore l’animo e la sostanza della sua interpretazione, ridurre la recitazione a uno scarno esercizio, senza nessuna ragione, nessun sentimento, neppure nessun "divertimento" personale, anche soltanto momentaneo e ristretto, è come privare un uomo dell’intelligenza, del controllo, della sensibilità, o vedere funzionare e recitare un robot. Rimangono lo scheletro della mimica espressiva, l'elasticità degli atteggiamenti e delle parole, ma predomina il senso del falso e del casuale, e i modi e gli atteggiamenti non sono quelli di un attore, ma di un manichino che finge di recitare, di un imbonitore, quasi, che su un mercato di provincia tenti di vendere i prodotti famosi della città. Questo discorso, fondamentale per chi voglia intendere esattamente quale sia la posizione di Vittorio Gassman nel cinema, è soprattutto provato dai film — numerosi esempi a portata di mano, — prima ancora che sia necessario metterlo a confronto con le dichiarazioni e il pensiero dell’interessato. Non tutti, certamente, possono essere dei Jouvet, dei Barrault, degli Olivier, dei Fonda, ma, più che la differenza di rendimento, è proprio la profonda e constatabile e palese diversità di impegno che richiede, dei motivi e delle spiegazioni intrinseci e di sostanza.

E’ cosi, ora, che si può parlare della "maschera” e del "personaggio" Gassman, in cinema, protagonista di storie d’amore e di morte o di film di cappa e spada, inadatti alle prime visioni e senza difese di fronte a un esame" appena appena severo. Il viso e l’espressione "da cattivo”, la figura alta e agile (egli vanta spesso, nelle più varie occasioni, un glorioso passato di giocatore di pallacanestro), una voce forte e caratteristica (che a volte, tuttavia, gli viene doppiata) sono alla base di avventure che piacciono in provincia e in periferia, dove, poi, a sua volta, il nome di Gassman è soltanto di riflesso quello di un attore famoso, e dove giungono più facilmente gli echi delle vicende amorose, dei voli transoceanici, delle interpretazioni televisive. La galleria cinematografica di Gassman è tutta popolata di figure scontate e standardizzate, rese in modo costantemente uguale e freddo, uniforme e privo di convincimento. Il cinema è servito a Gassman, come anch’egli ha più vòlte dichiarato, solamente per i suoi notevoli benefici finanziari e, diciamolo, per soddisfare la sua ambizione — del resto non sottaciuta — di essere conosciuto e acclamato dal maggior numerò di persone.

Esordi a vent'anni sulla scena fece un intenso tirocinio fra la fine della guerra e gli anni immediatamente successivi, passò il periodo più importante della sua formazione in una scuola come la compagnia Morelli-Stoppa, sotto la direzione di una personalità quale Luchino Visconti; ai risultati notevolissimi, da attore in piena ascesa, frutti di questa collaborazione (Un tram che si chiama desiderio e Oreste, ad esempio) corrispondono, sullo schermo, in quegli anni, Il cavaliere misterioso o Una voce nei tuo cuore o Lo sparviero del Nilo. Lasciò poi la Morelli-Stoppa, per ima compagnia in cui far risaltare maggiormente il proprio temperamento, che si andava formando. Fu cosi nel Teatro Nazionale diretto da Guido Salvini, per cui pure allestì la sua prima regia teatrale, il Peer Gynt di Henrik Ibsen, e quindi fondò, nel 1952, con Luigi Squarzina, il Teatro d’arte italiano, raggiungendo finalmente il capocomicato. Dopo la quasi inevitabile esperienza americana — Hollywood aveva tentato con quattro film, uno meno significativo dell’altro, di fare di Gassman un’attrazione internazionale, ma in realtà non riuscì a porlo né fra gli "amanti latini” di grande successo (quelli casalinghi godevano là di assai maggiore popolarità), né fra i cosiddetti caratteristi o fra i cattivi più efficaci — il contratto fu risolto di comune accordo e Gassman, ritornato in Italia, si dedicò — se cosi sì può dire — al consolidamento di un divismo teatrale di nuovo genere, man mano alimentandolo e accrescendolo.

Si inseriscono in questo piano una vicenda sentimentale che ebbe molto posto nelle cronache mondane e d’attualità e che forse non a caso accadde poco tempo prima del viaggio in America; l’interpretazione, anche se in maniera per lo meno banale, di grossi film come Mambo e La donna più bella del mondo, in cui egli fu, naturalmente, il cinico duro e cattivo; e infine, il distacco dalla collaborazione con Squarzina. Contemporaneamente, nuove avventure amorose si sovrapponevano a quelle teatrali; Gassman scriveva sui settimanali articoli su Gassman o diari di viaggi; i nomi dei compagni di scena, al di fuori di poche eccezioni, sono sempre più andati diventando di medio e non eccezionale livello, a fare maggiormente risaltare quello sonoro del capocomico, protagonista, regista (il nome che si leggeva fino a tre o quattro volte nella stessa locandina), e, nello stesso tempo, la sua peraltro indubbia personalità. Egli, cosi si pose veramente, a un certo punto, quasi come un sopravvissuto di nuovo genere, un grande attore dell’800 anacronisticamente sulla breccia.

Non si possono dimenticare, in proposito, le fondamentali considerazioni avanzate da Renzo Renzi (Cinema Nuovo n. 36 - 1 giugno 1954, Al cinema Cyrano diventa Don Chisciotte): «II guaio è che alla fine ci si dovrà forse accorgere che quella tradizione (teatrale) ha dato a Gassman i difetti anziché i pregi: il narcisismo violento, la sprezzante autocontemplazione, il dannunzianesimo, al posto dell’umiltà davanti alla varietà dei personaggi, l’autorità che nasce da una sicurezza d’autentica indagine critica, il sentirsi protagonista in un coro di personalità invece che despota con la missione di distruggere gli altri. Resta, per ora, una constatazione; da fare: che, fino, a oggi, quello del cinema non è un Gassman minore e diverso, ma è forse il vero Gassman. Il cinema, cioè, ancora una volta, ci ha dato la autentica misura dell’uomo e dell’attore». Non c’è nulla da aggiungere: la varietà dei personaggi era infatti per lo più solo apparente; la scelta delle opere sempre fondamentalmente in funzione del rendimento del medesimo attore, del medesimo e unico personaggio costante, degli stessi toni, della uniformità dei modi. Per avanzare un paragone, si può dire; che la strada scelta da Gassman è proprio l’opposto di quella percorsa da un altro attore della sua generazione, dalla stessa origine teatrale, dalla stessa attività teatrale e cinematografica.

Marcello Mastroianni, infatti, non si è mai illuso di essere un "arrivato" fuori programma, s’è sempre giovato della guida capace e severa di Visconti, che non l’ha privato di una sua precisa posizione, ma anzi l’ha portato, pure con doti forse per natura minori di quelle dell’altro, a interpretazioni di alto rilievo, come quelle del Commesso viaggiatore o di Zio Vania; e Mastroianni, ancora una volta, ci ha dato la autentica misura dell’uomo e dell’attore». Non c’è nulla da aggiungere: la varietà dei personaggi era infatti per lo più solo apparente; la scelta delle opere sempre fondamentalmente in funzione del rendimento del medesimo attore, del medesimo e unico personaggio costante, degli stessi toni, della uniformità dei modi. Per avanzare un paragone, si può dire; che la strada scelta da Gassman è proprio l’opposto di quella percorsa da un altro attore della sua generazione, dalla stessa origine teatrale, dalla stessa attività teatrale e cinematografica. Marcello Mastroianni, infatti, non si è mai illuso di essere un "arrivato" fuori programma, s’è sempre giovato della guida capace e severa di Visconti, che non l’ha privato di una sua precisa posizione, ma anzi l’ha portato, pure con doti forse per natura minori di quelle dell’altro, a interpretazioni di alto rilievo, come quelle del Commesso viaggiatore o di Zio Vania; e Mastroianni, Otello, con una progressiva maturazione, una susseguente e necessaria presa di coscienza e, quasi, di consapevolezza critica. Da un lato, infatti, la scelta del Kean dumasiano, nell’adattamento — o rifacimento, assai meglio — di Jean-Paul Sartre, avvenne, in realtà, più che per la conclamata polemica intrinseca, per una adesione più intima e connaturata di quanto non si volesse dire. «Mai, sino a ora, avevo interpretato un personaggio tanto simpatico e cosi aderente al mio temperamento»: questa non è soltanto una boutade o una frase pubblicitaria, ma soprattutto una considerazione sincera e verissima.

L’edizione di Kean messa in scena appositamente per la televisione, è, al riguardo, assai indicativa: a contatto immediato col pubblico, senza nessun diaframma di spazio e d’atmosfera, lo spettacolo era del tutto spoglio di ogni sostrato e di ogni seconda sostanza, di ogni osservazione critica, ma tale qual è veramente, e Edmund Kean era proprio il D’Artagnan e il Cyrano della scena, come ha scritto Ermanno Contini, il grande attore che non seppe distinguere il melodramma della vita da quello' del teatro. Non è certamente un caso, in tal modo, che per il proprio esordio quale regista cinematografico Gassman abbia scelto, naturalmente interpretandolo quale attore, il Kean; è stata comunque, come autore, una prova del tutto comune (quale interprete certamente la sua migliore, per le molte comprensibili ragioni, ' ma, considerando il livello delle altre, questo non è certo un gran merito); una prova, in ultima analisi, sul piano risaputo di ima trasposizione non certo valida a ricreare nulla, che si segnala principalmente per la tecnica del brevissimo tempo effettivo di ripresa e di lavorazione, in una sala teatrale romana, dopo tutto un periodo di prove complete.

S’è parlato di nuovo atteggiamento: forse è più esatto riferirsi a imo stato di transizione e di alternativa, da cui Gassman dovrà uscire per scegliere se accontentarsi di un successo più popolare ma più effimero, o più severo e duraturo. Da una parte, prima ancora , di girare il Kean, egli aveva infatti addirittura l’intenzione (alla fine del '55 ne era anzi già pronta la sceneggiatura) di realizzare, quale regista e quale interprete, un Beatrice Cenci con Sofia Loren per protagonista. Dall’altra, il progetto di un teatro stabile con repertorio esclusivamente italiano, progetto utile anche alla scoperta di nuovi scrittori per la scena, e infine il coraggio e la consapevolezza di una prova quale l'Otello, a fianco e a confronto di un attore come Salvo Randone, dalla grande bravura e dall’indole opposta all’altra, naturale, sofferta, quotidiana, semplice, sono indici che non possono essere sottovalutati. Se dunque anche un "fenomeno e un (prodotto dei tempi" rientrerà fra le cose terrene, il teatro e forse anche il cinema potranno avere una personalità di più, positiva e degna di essere seguita.

Crediamo tuttavia che non sia proprio l’assegnazione della Grolla d’oro di St. Vincent di quest’anno ad aiutare Gassman su questa via. Nell’occasione infatti di tale premio, egli si è dedicato a dichiarazioni televisive — poi, naturalmente, quasi del tutto ritrattate — che erano tutto un inno alla sua "personalità di attore cinematografico”, finalmente riconosciuta nella pienezza dei propri meriti. Certamente il cinema italiano non aveva, nella scorsa stagione, che pochissimi attori degni di un riconoscimento ufficiale. Sarebbe -stato a ogni modo un atto di sincerità e di coraggio —, infine non certamente nuovo e non certamente sovrumano, — non assegnare il premio, piuttosto che fraintendere in maniera cosi evidente il senso della recitazione cinematografica e creare pericolosi precedenti e, soprattutto, dannose illusioni.

Giacomo Gambetti, «Cinema Nuovo», 15 dicembre 1957


Cinema Nuovo
Giacomo Gambetti, «Cinema Nuovo», 15 dicembre 1957