Toti e i dati Covid

Da quanto si è appreso dagli organi di stampa il presidente della Regione Liguria – oltre alle già note vicende giudiziarie che lo stanno riguardando – sarebbe al centro di indagini anche per aver falsificato i dati sul Covid – in piena emergenza nell’inverno del 2021 – al fine di ottenere più vaccini. Posto che – come già detto da queste pagine – si deve rispettare il principio della presunzione d’innocenza fino a quando le vicende processuali si concludono con una sentenza definitiva, alcune considerazioni sono comunque possibili, specialmente se l’ipotesi accusatoria un giorno dovesse essere dimostrata come vera. In primo luogo: la pandemia ha instaurato una nuova forma di linguaggio politico che utilizza metodi antichi come l’arte di manovrare le masse, ma su presupposti nuovi, come appunto la salvaguardia del diritto alla salute o alla vita di tutti e di ciascuno. Se in passato, per mobilitare le masse, indirizzarne gli impeti, controllarne i timori, aizzarne le passioni, scatenarne la ferocia, si ricorreva a motivi di ordine ideologico, politico, razziale, economico, sociale o religioso, dall’epoca pandemica si è fatto leva sull’horror mortis che non soltanto gli ipocondriaci, i fissati o i malati immaginari possono provare, ma che – come si è ampiamente dimostrato – possono provare anche i comuni cittadini di una qualunque democrazia occidentale sol che siano debitamente stimolati in tal senso.

Il cittadino italiano medio, infatti, durante la pandemia ha accettato restrizioni e imposizioni di ogni tipo terrorizzato dall’eventualità di perdere più che la vita in sé la possibilità (chiamarla libertà è eccessivo) di bere uno spritz il venerdì sera, di transumare nei centri commerciali il sabato pomeriggio e di riempire gli stadi la domenica. Facendo leva su questo si sono rese accettabili per decine di milioni di italiani misure che altrimenti non sarebbero state passivamente e placidamente accettate da nessuno. Chi ancora non ha colto queste dinamiche non soltanto dimostra di essere ancora ostaggio della mentalità pandemistica, ma soprattutto rivela di non essere in grado di “leggere” i linguaggi politici e i loro mutamenti, grande risorsa, questa incapacità, per ogni logica totalitaristica, come la storia ha dimostrato. I regimi totalitari del XX secolo, infatti, sono stati catalizzati più che dal favore dalle poche migliaia di cittadini che ne hanno sposato direttamente o indirettamente la causa, specialmente dalla incapacità di comprensione del loro linguaggio politico – e dei fini cui esso era preordinato – da parte dei restanti milioni di uomini e donne che poi ne hanno subito gli effetti pagando il prezzo della loro impotentia cogitandi.

In secondo luogo: bisognerebbe chiedersi – al di là della mera e singola vicenda penale di Toti – se è possibile che in uno Stato di diritto la menzogna assurga a strumento di Governo, anche se in un contesto emergenziale, e anche se in tale contesto a fin di bene, cioè per il bene dei propri cittadini, come la tutela della loro salute. Secondo un’ottica ingenuamente utilitaristica la risposta non può che essere affermativa, potendosi e anzi, dovendosi, mentire per il raggiungimento dello scopo prefissato, qualunque esso sia e specialmente se esso consiste nella tutela del bene della salute pubblica. Secondo un’ottica autenticamente razionale invece la risposta non può che essere negativa, poiché la negazione della verità è negazione dello Stato di diritto in almeno una duplice accezione.

Nel primo senso poiché l’esperienza storica dimostra come la menzogna sia lo strumento principale dei sistemi tirannici, dispotici, assolutistici e soprattutto di quelli totalitari, per cui essa appare inconciliabile con un sistema democratico e con lo Stato di diritto. Nel secondo senso poiché il primo diritto di cui gode ogni essere umano – specialmente nella cornice giuridica e politica offerta e garantita da ciò che comunemente viene definito come Stato di diritto – è proprio il diritto alla verità, senza il quale tutti gli altri diritti vengono esposti al rischio di essere violati dall’arbitrarietà di chi detiene il potere. Dove c’è menzogna non c’è diritto, e dove c’è diritto non può esservi menzogna. Se durante la pandemia qualcuno ha mentito, e ha mentito utilizzando il proprio ruolo e il proprio potere istituzionale, vuol dire che la gestione pandemica non è stata diretta dai principi del diritto e dello Stato di diritto, ma da quelli della violenza tipici di un sistema totalitario. Non comprendere queste dinamiche, ancora una volta, è proprio il sintomo più diretto del fatto di esserne vittime. In terzo luogo: al di là di come si concludano le specifiche vicende processuali di Toti, non possono che sorgere alcuni interrogativi di più ampio respiro.

Se i dati sono stati alterati per ottenere più vaccini, si sono potuti alterare anche per altri scopi (durata dei lockdown, motivi delle autocertificazioni, applicazione e durata del green pass)? Chi assicura che siano stati alterati soltanto a fin di bene? Il caso di Toti non dimostra che la gestione della pandemia è stata quanto mai problematica e per questo bisognosa di indagini più approfondite su tutti i versanti? La possibilità di alterare i dati per rendere un’emergenza ancor più emergenziale non dimostra la pericolosità della logica emergenzialista che sostituisce quella giuridica? Non si dovrebbero accertare anche altri casi palesi di radicale difformità tra la realtà e quanto dichiarato dalle pubbliche autorità, come nel caso mastodontico delle dichiarazioni del presidente del Consiglio dell’epoca, Mario Draghi, secondo il quale il green pass avrebbe evitato i contagi nonostante la sua infondatezza scientifica e giuridica e nonostante la stessa Pfizer abbia ammesso che neanche il vaccino è stato pensato a questo scopo?

Infine, emerge il ruolo dello statuto etico della politica, anche e soprattutto in un contesto emergenziale. Occorre cioè chiedersi se la politica sia difesa degli interessi dei pochi o tutela del bene comune, se la politica sia manipolazione della pubblica opinione o servizio pubblico, se la politica sia uso e abuso degli strumenti legali o un modo di portare la giustizia tra gli esseri umani. Nel primo caso, la menzogna rientra tra gli strumenti legittimi che possono essere adottati; nel secondo caso, invece, la menzogna diventa mezzo di scardinamento del rapporto fiduciario che dovrebbe legare tutti i consociati e specialmente governanti e governati. In conclusione, allora, tornano alla mente proprio le parole di chi ha dedicato tempo e riflessione ai rapporti tra menzogna e politica, cioè Alexandre Koyre secondo il quale “l’uomo moderno – ancora una volta è all’uomo totalitario che pensiamo – è immerso nella menzogna, respira menzogna, è sottomesso alla menzogna ogni istante della sua vita (…). La menzogna moderna è fabbricata in serie e si rivolge alla massa”.

Aggiornato il 14 maggio 2024 alle ore 16:22