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Troppe automobili europee costruite in Cina e vendute nelle Ue. Ecco perché le case tedesche non vogliono i dazi

Sempre più numerosi i modelli di case occidentali costruiti in Cina

di Mario Cianflone e Simonluca Pini

Cupra. La Tavascan elettrica costruita in Cina mantiene il Dna del brand spagnolo

5' di lettura

Il made in China che non ti aspetti. Qualcuno può, certamente, trasalire all’idea che un’auto inglese come la Mini sia costruita in Cina, ma poi, a mente fredda, si può anche comprendere che è un’automobile tedesca (i padroni sono Bmw) viene assemblata dove più conviene produrre. L’iPhone è un super cool telefonino americano? Bene: è fatto in Cina. Il Samsung top di gamma S24? Costruito in Vietnam. Nessuno si scandalizza.

È la globalizzazione che non stupisce più di tanto quando si parla di device digitali culturalmente e ingegneristicamente connessi al manufacturing cinese. Ma quando si parla di auto scatta il legame territoriale, che ahimè non esiste più e forse non ha senso di esistere perché se compri un’Audi fatta a Barcellona, un’Alfa costruita in Polonia o una Seat costruita a Bratislava è solo una questione di logica industriale e non di qualità e identità del prodotto, non stiamo parlando di oggetti artigianali.

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Auto europee made in China, alcuni esempi

E che dire di Cupra, brand spagnolo nato da una costola di Seat e quindi del tedeschissimo gruppo Vw che costruisce il modello della sfida elettrica, la Tavascan, in Cina e la porta in Europa? Per non parlare delle Tesla cinesi Model 3 e Y che invadono le strade del vecchio continente perché alla fine dei conti se devi comprare un’auto elettrica la scelta più logica resta quale di mettersi in box una Tesla, americana ma made in China. La globalizzazione ha cambiato la logica geografica di appartenenza nell’automotive e questo ha scollegato il legame tra brand e luogo di origine.

Una Mini, da anni, è più tedesca che inglese dal punto di vista industriale, ma non lo è da quello culturale anche se adesso è fatta in Cina su una piattfforma sviluppata con Great Wall, mentre una cinese BYD è forse più tedesca di quello che uno potrebbe aspettarsi: le vetture della casa cinese che ha battuto Tesla sui volumi delle cosiddette auto a nuova energia sono disegnate da un team internazionale diretto da Wolfgang Egger, il designer-star tedesco, allievo di Walter de Silva che ha creato Alfa Romeo da sogno come la 8C Competizione e, soprattutto, Audi che hanno fatto la storia e sono state, all’avanguardia della tecnica, anzi, per dirla come lo slogan dei Quattro anelli “Vorsprung durch Technik”. E per fare qualche altro esempio non va dimenticato che le molisane DR, sono delle 100% cinesi Chery modificate in qualche modo a Macchia di Isernia e che un brand inglese come MG è della cinese Saic. E lo stesso discorso vale per Polestar e alcune Volvo (gruppo Geely) made in China e per le Smart prodotte in Cina in Jv tra Daimler e Geely.

Auto cinesi, una invasione elettrica che cambia la geografia dell'automotive

Insomma nell’auto globale si stanno mischiando le carte, e non da oggi. Nonostante questo, e non considerando le logiche industriali e di allocazione degli stabilimenti, non si può non rimanere perplessi quando Honda, orgogliosamente giapponese, forse più di Toyota e Mazda per il legame che quest’ultima ha con Hiroshima e la Bomba, costruisce auto in Cina e, questo è il punto, le importa in Europa: non sono destinate al mercato locale, ampio e ricco. E viene importata l’intera gamma dei nuovi modelli della Grande H.

Auto cinesi e joint venture

La delocalizzazione in Cina gioca dunque un ruolo chiave nell’offerta di vetture soprattutto elettriche, ed è per anche per questo che i vertici di alcune case sono contrari a eventuali dazi . Tutto questo però non vuol dire che bisogna dare campo libero ai cinesi e alla loro esuberanza industriale. Forse andavano contenuti prima, forse il gruppo Volkswagen quando conquistò (per poi perderlo) il mercato cinese con il taxi Vw Santana avrebbe dovuto guardare in avanti. E quasi certamente le joint venture produttive al 51% con partner locali che negli scorsi anni erano obbligatorie per vendere in Cina sono stati un terribile cavallo di Troia e ora il sistema automobilistico cinese forte di know-how assorbito dai gruppi europee e di una filiera hi-tech è in prima fila nelle tecnologie e nelle frontiere della guida autonoma e del software design vehicle.

Il nodo dei dazi in Europa: chi li vuole?

A questo punto ovvio che questa delocalizzazione in Cina sia protetta dai Ceo delle case europee che si oppongono ad dazi dalla Cina.

I dazi sulle auto cinesi sarebbero però una buona idea secondo l’Unione Europea, pessima idea secondo i costruttori automobilistici tedeschi. Nessun refuso ma un messaggio chiaro da parte dei principali car maker teutonici, fortemente contrari all’introduzione di limitazioni commerciali alle vetture prodotte nella nazione diretta da Xi Jinping. Perché se da una parte la Ue è prossima all’introduzione di dazi, dall’altra i ceo dei vari marchi premium tedeschi sono stati chiari al riguardo: «Non pensiamo che il nostro settore abbia bisogno di protezionismo», citando l’amministratore delegato di Bmw, Oliver Zipse. Proprio il gruppo di Monaco di Baviera ha forti interessi in Cina. Perché oltre a costruirci modelli come iX3 o la nuova Mini elettrica, la Cina genera oltre un terzo delle vendite. «Non ci sarà una sola auto nell’Unione senza componenti provenienti dalla Cina», ha sottolineato Zipse, secondo cui «non c’è Green Deal in Europa senza risorse cinesi».

Anche da parte di Volkswagen i commenti sono assolutamente contrari ai limiti imposti dalla Ue: «Con i dazi c’è sempre il rischio di una sorta di ritorsione», come sottolineato dal ceo del brand, Thomas Schäfer. Concetto identico da parte di Ola Källenius, ceo di Mercedes-Benz in occasione di un’intervista al Financial Times: «Non bisogna aumentare le tariffe. Io sono contrario ai dazi e penso che si debba fare l’opposto, ovvero ridurli. Le aziende cinesi che desiderano esportare in Europa rappresentano uno sviluppo naturale della concorrenza e devono essere affrontate con prodotti e tecnologie migliori e maggiore agilità. Questa è l’economia di mercato. Lasciamo che la concorrenza si esprima».

«Come aziende, non chiediamo protezione e credo che le migliori società cinesi non la chiedano. Vogliono competere nel mondo come tutti gli altri. Se crediamo che il protezionismo sia ciò che ci garantisce il successo a lungo termine, credo che la storia ci dica che non è così».

Nell’attesa dei dazi al 102,5% imposti dagli Stati Uniti, dall’Italia arriva un pensiero totalmente diverso rispetto ai costruttori tedeschi.

«Più gli Stati Uniti alzano le barriere, come ha ipotizzato di fare il presidente Biden, più i prodotti realizzati dalla grande macchina produttiva cinese, non potendo entrare nel mercato Usa, entrano sul mercato Ue con prezzi di dumping. Per questo penso che l’indagine indagine avviata dalla Commissione europea sulle auto elettriche cinesi si concluderà entro giugno con l’introduzione di dazi sull’import». Lo ha detto il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, intervenendo recentemente all’assemblea di Federalimentare in corso al Cibus di Parma.

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