Contratti

Contratto di agenzia: le indennità di fine rapporto tra normativa interna e diritto europeo

L'indennità suppletiva, a differenza di quella di fine rapporto, spetta a prescindere dalla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 1751, primo comma, c.c. (Cassazione n. 12113/2024)

Con l’ordinanza 6 maggio 2024, n. 12113 (testo in calcela Sezione Lavoro della Corte di Cassazione fa il punto sul contratto di agenzia, chiarendo i presupposti per l’erogazione dell’indennità a favore dell’agente, in caso di conclusione del rapporto a lui non imputabile.

Muovendo dal disposto normativo dell’art. 1751 c.c., la Corte sottolinea come l’indennità di fine rapporto sia ancorata alla provvista di nuovi clienti e al sensibile incremento degli affari da parte dell’agente, nonchè al perdurare di vantaggi al proponente, pur alla cessazione del rapporto, in ragione dei nuovi clienti procurati dall'agente o dall'incremento di affari con quelli esistenti.

Diverso è invece il caso dell’indennità suppletiva di clientela, introdotta dalla contrattazione collettiva nel 1974 per ragioni di equità e conservata anche negli accordi successivi, che viene riconosciuta ed erogata all'agente se il contratto si scioglie ad iniziativa della mandante o comunque per fatto non imputabile all'agente, prescindendo quindi dalla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 1751 primo comma c.c.

Nella disamina sul punto, la Corte ricorda infine l’apporto di normativa e giurisprudenza europee, che lasciano ampio spazio agli Stati membri nel determinare la misura dell’indennità in chiave equitativa, valorizzando le circostanze concrete.

Sommario

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Il caso

Un agente di commercio, monomandatario per una S.p.a., la conveniva in giudizio chiedendone la condanna al pagamento delle provvigioni maturate e non riscosse e di una serie di indennità conseguenti alla fine del rapporto.

Chiedeva inoltre il risarcimento del danno sofferto per esser stato costretto a lavorare in condizioni non conformi rispetto a quanto previsto dalle disposizioni contrattuali.

II Tribunale di Lecce accoglieva parzialmente la domanda e condannava la società al pagamento di oltre 37.000 euro, compensando le spese di lite tra le parti.

In parziale accoglimento del gravame proposto dall'agente, la pronuncia veniva parzialmente riformata, condannando la S.p.a. al pagamento di un terzo delle spese, per il resto compensate.

La posizione della Corte di merito

Per quanto qui d’interesse, la Corte d’Appello muoveva dal novellato art. 1751 comma 1 c.c., ricordando che per accedere alle indennità richieste, l’agente avrebbe dovuto provare di aver procurato nuovi clienti al preponente o comunque incrementato sensibilmente gli affari esistenti, apportando vantaggi sostanziali e provando anche la disciplina di maggior favore applicabile, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

L’agente ricorreva per cassazione sulla base di tre motivi.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo, il ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avrebbe dovuto riconoscere l’indennità di risoluzione del rapporto e quella suppletiva, anche in difetto di un incremento della clientela o del fatturato e pure se le provvigioni non erano state interamente corrisposte al momento della conclusione del rapporto.

Con il secondo motivo ribadiva invece di aver allegato tutti gli elementi necessari per valutare e ritenere dimostrato l'apporto della propria attività in termini di progressivo incremento delle provvigioni, di un aumento della clientela e la sua fidelizzazione. Aggiungeva inoltre che sarebbe spettato al giudice comparare i due sistemi, individuando quello più favorevole.

Con il terzo motivo di ricorso contestava infine la motivazione della sentenza, tanto succinta, a suo dire, da essere apparente.

Indennità suppletiva e Accordi Economici Collettivi

Secondo la Corte il primo motivo di ricorso è parzialmente fondato.

A norma dell' art. 1751 c.c., in caso di cessazione del rapporto di agenzia il preponente deve infatti corrispondere all'agente - che abbia procurato nuovi clienti o sensibilmente sviluppato gli affari con quelli esistenti, dai quali il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi – un'indennità che va calcolata in base ai criteri dettati dal secondo comma della norma citata.

La disposizione, inderogabile a svantaggio dell'agente, è però suscettibile di previsioni migliorative da parte degli Accordi Economici Collettivi (A.E.C.).

E proprio la contrattazione collettiva ha introdotto, nel dicembre del ‘74, l'indennità suppletiva di clientela, conservata negli accordi successivi, tant’è che l’A.E.C. applicabile al rapporto prevede che l’indennità vada calcolata sull'ammontare globale delle provvigioni per cui è sorto il diritto al pagamento per tutta la durata del rapporto, anche se le somme non sono state interamente corrisposte al momento della sua cessazione.

Si tratta di un emolumento - precisa la Corte – introdotto in risposta al principio di equità, che non necessita, per la sua erogazione, della sussistenza della prima condizione indicata nell'art. 1751 primo comma c.c. ma che è riconosciuta ed erogata se il contratto si scioglie ad iniziativa della casa mandante o comunque per fatto non imputabile all'agente.

I Contratti, Direzione scientifica: Breccia Umberto, Carnevali Ugo, D'Amico Giovanni, Macario Francesco, Granelli Carlo, Ed. IPSOA, Periodico. Rivista di dottrina, giurisprudenza e pratiche contrattuali nazionali e internazionali, arbitrato e mediazione.
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Indennità suppletiva e presupposti ex art. 1751 c.c.

Nel caso in esame - afferma la Cassazione - è stato appurato che il recesso era stato disposto per iniziativa della preponente.

La Corte d’appello ha invece rigettato la domanda di indennità suppletiva ritenendo indimostrato dall’agente l'apporto di nuovi clienti o lo sviluppo sensibile degli affari con persistenza dei vantaggi. Con ciò trascurando che, come detto, l'A.E.C. non condiziona il diritto alla prestazione alla sussistenza della prima condizione indicata nell'art. 1751 primo comma c.c., requisito invece necessario per conseguire l'indennità meritocratica, che appunto è stata negata, avendo la Corte accertato la mancata prova della persistenza dei vantaggi in capo al preponente ed anzi essendovi stata prova di un decremento di fatturazione.

L’influenza europea e i poteri di valutazione del giudice

Quanto al secondo motivo di ricorso, la Corte precisa che, ai fini della quantificazione dell'indennità dovuta all'agente in caso di cessazione del rapporto, l'art. 1751 c.c. si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all'agente il miglior risultato, alla luce delle vicende del rapporto concluso. La prevista inderogabilità a svantaggio dell'agente comporta infatti che l'importo, determinato dal giudice ai sensi della normativa legale, debba prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, anche collettive.

Questa è l'interpretazione data dalla Corte di giustizia agli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653 (sentenza 23 marzo 2006, in causa C-465/04) che tuttavia non impone il calcolo dell'indennità in maniera analitica, lasciando agli Stati membri il potere di fissare discrezionalmente metodi di calcolo diversi, in chiave equitativa, tenendo conto delle circostanze del caso concreto e in particolare delle provvigioni perse dall'agente (si vedano, tra le tante, Cass., Sez. lav., 3 ottobre 2006, n. 21301; Cass., Sez. lav., 23 aprile 2007, n. 9538).

Spetta quindi al giudice di merito verificare se - fermi i limiti posti dall'art. 1751 comma 3, c.c. - l'indennità determinata secondo l'accordo collettivo sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato: in difetto dovrà riconoscersi la differenza necessaria per ricondurla ad equità (così Cass., Sez. lav., 19 febbraio 2008, n. 4056).

Conclusioni

Proprio a tali ultimi principi si è correttamente attenuta la Corte territoriale, che neppure ha peccato per apparenza della motivazione in quanto questa, seppur succinta, lascia emergere il fondamento della decisione, recando argomentazioni idonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.

Per le ragioni esposte, il ricorso è stato quindi parzialmente accolto nel primo motivo e rigettato nel resto.

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