Non ci inganni l’aria del mastodonte finto malvagio da cartoon (la somiglianza impressionante con il tenerone Gru di “Cattivissimo me”): Guido Crosetto è un vero mannaro cattivissimo, almeno quanto la bulletta sua capa. E nonostante la condiscendenza bipartisan che lo circonda, pronta a spendersi nell’omaggio a prescindere rivolto alle sue “ben note” qualità umane (tipiche del mercante d’armi?).

Soltanto che, da bravo piemontese della Provincia Granda, ammanta l’innata ferocia svicolando nel falso cortese e cela le zanne del predatore nel benevolo sorriso di maniera. Ne sa qualcosa la sempre più irritata Lilli Gruber, che ieri sera ha continuato a inseguirlo per tutta la trasmissione di Otto e mezzo senza mai riuscire ad afferrarlo. Missione impossibile, se si spera di fare abbassare la guardia a questo politico nato democristiano (come responsabile piemontese degli under 30 DC). Dunque geneticamente portato alla doppiezza. Che può essere arpionato (e smascherato) soltanto facendo ricorso alla cosiddetta “ermeneutica del sospetto”: l’utilizzo di un metodo indiziario per cogliere il significato del non detto. Un po’ oscuro? Chiariamoci con qualche esempio.

Il nostro Gru alla bagna cauda difende “la madre di tutte le riforme” della sodale Meloni minimizzandone i rischi (il premierato sarebbe solo un modo per favorire l’efficienza di governo senza marginalizzare il Parlamento – ma figuriamoci! – e tantomeno il ruolo del Presidente della Repubblica. E poi in giro c’è pieno di esempi siffatti: balla mostruosa!). E allora come si spiega l’impegno spasmodico per promuovere questa confusa riforma? Semplicemente perché l’efficienza non frega a nessuno, quanto interessa è blindare un potere congiunturale (il risultato miracoloso delle ultime elezioni politiche grazie alla dabbenaggine della concorrenza, Enrico Letta in testa) con un meccanismo che concentri il comando in una persona sola. Quella Meloni che ancora fruisce di una primazia per distacco sugli altri leader. Finché dura. Ma se passa il premierato poi si potranno sterilizzare le future competizioni elettorali, come avviene nelle democrature dell’Est europeo.

Insiste Crosetto, sullo spartito di un buon senso stonato: la magistratura è ormai un potere senza controllo (naturalmente massimo rispetto dell’istituzione, ma se improvvisamente un giudice diventasse matto?). In effetti il potere che si intende sottrarre al controllo è l’esecutivo. O meglio ancora, la casta di partito, che recalcitra alla sola idea di dover subire ispezioni da parte del giudiziario. Da disinnescare invertendo la destinazione dell’ispezionabilità. Il tutto ispirato dal forte istinto di sopravvivenza della corporazione politicante, ancora sotto choc dell’immenso rischio corso al tempo di Tangentopoli. Da cui fu salvata dalle intuizioni volpine di Marco Pannella (virare la questione morale in questione istituzionale: vulgo il depistaggio del maggioritario e dell’elezione diretta come rigenerazione della politica) e dalla potenza di fuoco mediatica di Silvio Berlusconi. Non a caso santificato dai politicanti riconoscenti.

Ma è lo stesso abito mentale che spinge Crosetto a dribblare la questione “dimissioni o meno di Toti dalla presidenza di Regione Liguria” con il ricorso al mellifluo del garantismo. A parte il fatto che ormai garantista è diventato sinonimo di paraculo, l’argomentazione ancora una volta gioca sull’equivoco: qui non si tratta di emettere sentenze in punta di diritto, che spettano alla magistratura.

La faccenda è un’altra: quella di esprimere o meno un giudizio politico su comportamenti ormai riconosciuti incontrovertibili. Certamente illegittimi (la concussione gabellata per corruzione); la cui ulteriore definizione di illegalità, nella procedura (questa sì garantista) dei tre livelli di giudizio, compete al corpo giudicante. Che comunque i tipi alla Crosetto lavorano a pieno regime per mettere fuori gioco. E poi si potrebbe proseguire, come quando nei primi mesi del 2023, l’ormai ministro della Difesa lanciava l’allarme per l’aumento dell’immigrazione clandestina nel Mediterraneo, come opera di una strategia di guerra ibrida promossa dal Cremlino attraverso il gruppo paramilitare Wagner. Altra frase incomprensibile, se non si fa riferimento a materialissimi interessi legati alle forniture di armi per il fronte ucraino.

Quindi, un insieme di fili che convergono nella tessitura del profilo di un personaggio di potere, membro di quel ristretto club che sta promuovendo l’occupazione delle istituzioni democratiche, grazie anche alla condiscendenza delle controparti politiche; che si ritrovano in sintonia con l’operazione per la comune appartenenza alla corporazione dei fruitori della rendita di posizione elettiva. Inutile tentare di farlo ammettere a un coriaceo proconsole come Crosetto. Più utile spiegarlo agli elettori.

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