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L'INTERVISTA DELLA SETTIMANA

Dentro il Centro di simulazione della Scuola di medicina: «Qui si allenano a salvare vite»

La dottoressa Papotti ci guida all'interno della "palestra" dove medici e infermieri testano le procedure e acquisiscono sicurezza

La dottoressa Grazia Papotti

La dottoressa Grazia Papotti

Improvvisamente la pressione sanguigna crolla. Il corpo inizia a tremare. Gli occhi si chiudono. La sudorazione aumenta. Potrebbe essere l’inizio di uno shock settico. A scoprire cosa sta succedendo nel corpo del paziente e come intervenire per curarlo sono gli specializzandi del Centro di Simulazione Medica Avanzata, SimTo, della Scuola di Medicina di Torino. Al di là del monitor, una squadra di formatori controlla l’azione e i parametri vitali del manichino-paziente. A osservare la scena c’è anche la dottoressa Grazia Papotti, che si occupa del coordinamento e della direzione scientifica del Centro. Sdraiato sul lettino, intanto, Hal continua a tremare.
Dottoressa Papotti, chi è Hal?
«Hal è uno dei manichini ad alta fedeltà che utilizziamo nel nostro Centro. Ci permette di esercitarci sia sulle abilità tecniche, che nel lavoro di squadra e nella comunicazione. Si dice che la maggior parte degli errori in medicina non derivi da una reale mancanza di abilità pratiche, ma da una carenza di soft skills. In molti casi equivale a una mancanza di comunicazione. Ecco, qui alleniamo sia le abilità pratiche, che le soft skills dei futuri operatori sanitari».


Gli studenti lo chiamano “la stella luminosa dell’Università”. Che cos’è in realtà il Centro di simulazione?
«Diciamo che è un luogo privilegiato per l’apprendimento pratico. Qui si può sbagliare. Tutti mettono le mani in pasta e provano a fare le cose. La struttura è stata aperta nel 2019, grazie a un importante contributo della Compagnia San Paolo e all’impegno del professor Franco Veglio, oggi direttore responsabile. Per sfruttare al meglio il tempo che gli studenti trascorrono qui dentro abbiamo ideato il metodo delle “classi rovesciate”»
In che cosa consiste?
«Sono dei video mirati da guardare prima dell’inizio del tirocinio. In questo modo abbiamo notato che si riducono di molto i tempi delle spiegazioni in classe e si può dare più spazio alla pratica».
Il tempo per la formazione è poco e gli studenti sono tanti. In questo contesto lei che posizione ha rispetto alla proposta di abolire il numero chiuso alla facoltà di medicina?
«Mi preoccupa. Non so come potremmo riuscire a garantire un’adeguata formazione agli studenti dal punto di vista pratico, con le risorse attuali, in assenza del numero chiuso. Già oggi siamo stati costretti ad aumentare il numero dei partecipanti ai tirocini».
Possiamo dire, in senso lato, che qui si “allenano” i medici di domani. Quali benefici porta la simulazione alla loro formazione?
«Sicuramente aumenta la sicurezza sia del paziente - che non sarà il primo a essere toccato dal medico - che la sicurezza dell’operazione sanitario. Ogni studente di medicina viene qui minimo quattro volte a fare attività nel corso dei sei anni di studio. Dovremmo fare molto di più. La prima regola della simulazione è: mai la prima volta sul paziente».


Ci spiega come funziona una simulazione sul campo?
«Attualmente abbiamo due sale di simulazione attive. Nella prima, la Code Blue, si possono tenere modalità avanzate di simulazione. Un gruppo - anche multi professionale - affronta una situazione in modo realistico. Attraverso una sala di regia poi gestiamo il controllo della simulazione. Di solito ci sono quattro persone tra istruttori e tecnici. Ci si allena su sindromi cliniche come lo scompenso cardiaco, l’appendicite acuta, la bronchite cronica... Qui abbiamo anche Sam, per lavorare sulla auscultazione cardiaca e polmonare».
Sam?
(ndr mostra il manichino).


Tutti i manichini hanno un nome? Si respira un ambiente piuttosto giocoso, nonostante la serietà della materia.
«Abbiamo un approccio scherzoso, ma anche attraverso il gioco miriamo ad aumentare la sicurezza e degli studenti. Lo scopo è quello di farli immedesimare completamente nella situazione simulata. Un giorno una studentessa mi ha confessato di essersi dimenticata che il paziente fosse di plastica. Al termine delle simulazioni abbiamo un momento de debriefing per scaricare le emozioni e condividere i contenuti appresi. Abbiamo scelto di adottare un registro informale. I ragazzi la definiscono “confidenza rispettosa”».
All’ingresso ci sono i pupazzi di Kong Fu panda e Maga Magò. A cosa servono?
(ride) «Maga Magò sono io. Si chiama “gamification” e serve a coinvolgere maggiormente e a creare un ambiente di lavoro sereno. Favorisce la didattica. Dà molti benefici».
Gli studenti quando parlano di lei la chiamano “la voce narrante”. Le fa piacere?
«Sì. E’ per via dei corsi che registro. Loro hanno bisogno di acquistare fiducia in sé stessi durante un percorso che è già di per sé molto difficile. Devono capire che tutti sbagliamo e qui possono farlo traendone un insegnamento costruttivo».


Lei trasmette grande tranquillità. Da quanto tempo si occupa di formazione?
«Sono un medico internista, ma faccio formazione all’emergenza da ormai 24 anni. Per coordinare le attività qui ho dovuto lasciare la parte clinica. È stata una grande rinuncia, ma è funzionale a costruire buoni medici».
La mancano i pazienti?
Sì, ma mi consolano studenti e tutor. E poi c’è Tommy (altro manichino ndr). È con me da 15 anni. Ormai lo considero un compagno fidato».

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