James Ellroy al Salone del Libro: «L'Italia per me? Antonioni e Borsalino. Gli americani, stupidi che non leggono» | Corriere.it

James Ellroy al Salone del Libro: «L'Italia per me? Antonioni e Borsalino. Gli americani, stupidi che non leggono»

diAlessandro Martini e Maurizio Francesconi

Il genio del Thriller presenta Gli incantatori, ambientato a Los Angeles nei giorni del suicidio di Marilyn: «Storia e realtà mi interessano soltanto finché soddisfano le mie necessità di scrittore»

«Sono pessimista, certamente. Non ho alcuna visione positiva del mondo, e tantomeno del futuro. Non c’è speranza per questo mondo dominato dal digitale e non vedo alcuna soluzione. Ma viste da qui, in Europa, molte cose sembrano migliori...». James Ellroy, 76 anni, è una star mondiale con i suoi romanzi crime (da L.A. Confidential a Dalia nera fino ad American Tabloid), capaci di raccontare, con straordinario acume e originalissime intuizioni, l’America del recente passato, e la sua storia sociale, culturale, politica. Al Salone del libro presenta Gli incantatori (Einaudi Stile Libero, traduzione di Alfredo Colitto), ambientato a Los Angeles, la sua città natale, scenario di molti dei suoi precedenti romanzi. È una notte afosa del 1962, la notte della morte di Marilyn Monroe, ma anche della liberazione di una starlette precedentemente rapita. C’è un collegamento? È la teoria di un detective corrotto, ricattatore seriale e vittima di ogni droga. Il suo nome è Freddy Otash, personaggio realmente esistito ma che, come sempre nei suoi romanzi, Ellroy trasfigura e ridefinisce completamente. «Non sono interessato a raccontare la realtà e odio l’ossessione di lettori e giornalisti a chiedermi: ma è vero quel che scrivi? Certo che non lo è, sono un romanziere!».

Ma i suoi romanzi sono sempre capaci di raccontare porzioni di realtà. Quale realtà?
«La storia e la realtà mi interessano soltanto finché soddisfano le mie necessità di scrittore e gli obiettivi della storia che racconto. C’è sempre una versione ufficiale di ogni vicenda e poi una seconda inevitabilmente diversa. A me interessa metterle insieme. Non credo nelle teorie cospirative, trovo noiosissimo il dibattito su chi abbia sparato davvero a Jfk... Piuttosto credo ci siano differenti livelli di collusione all’interno di ogni fatto: la collusione della polizia, quella dei malviventi e persino della politica. Quindi questo mio romanzo è fondamentalmente una storia di Los Angeles nel 1962. Certo, dai miei libri è possibile immaginare una storia degli Stati Uniti ma rimane pur sempre una storia “letteraria”, la storia che io voglio raccontare: il 95 per cento è immaginazione, la mia».

Un’immaginazione profondamente radicata negli Stati Uniti. Quali altre influenze sente?
«Gli Stati Uniti sono da tempo i maggiori produttori di immaginario culturale al mondo, ma alcune delle mie maggiori influenze sono italiane. Su tutti i film di Antonioni. Nulla nella vita mi ha colpito più di Vanessa Redgrave in Blow Up, o dell’amore inevitabile tra Monica Vitti e Gabriele Ferzetti nel film L’avventura. Che dire poi della Dolce Vita di Fellini? Lui già nel 1960 ha capito e anticipato l’intera cultura dei media di oggi. E il mio libro, forse non a caso, parla proprio di quegli anni. Senza contare che amo i cappelli Borsalino, e sono qui anche per comprarmene un paio e proteggere la mia testa senza capelli».

Il suo è anche un rifiuto della contemporaneità?
«Non ho alcun rapporto con l’oggi e odio il dominio del digitale, che considero insano e distruttivo. Non sono sui social, non ho il cellulare, neppure il computer, e scrivo a mano ogni mio romanzo. Non mi interessa il mondo di oggi. Non saprei neanche dire se la Los Angeles degli anni 60 fosse più o meno violenta di quella attuale. Ma non rifiuto per nulla il modernismo nella sua componente estetica. Amo il design “space age” degli anni 50 e 60, e ho la casa arredata di mobili di Charles e Ray Eames. Questo mio romanzo, poi, è un romanzo “modernista” in senso generale e assoluto, per ragioni strutturali e di montaggio. Spero che i lettori apprezzeranno».

Che cosa prova a essere uno scrittore di successo in Europa?
«Sento soprattutto l’enorme differenza rispetto al mio paese, pieno di ignoranti che non leggono. L’Europa è interessata alla cultura. Qui la gente legge, anche i giovani! Gli americani sono stupidi perché non leggono abbastanza. Non so se oggi sia peggio del passato e se le cose vadano a peggiorare. Ma so che è tutto molto triste».

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12 maggio 2024