Il gusto delle cose, recensione del film con Juliette Binoche
sabato, Maggio 18, 2024
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Il gusto delle cose, recensione del film con Juliette Binoche

Diretto da Trần Anh Hùng e interpretato anche da Benoît Magimel, Il gusto delle cose è al cinema dal 9 maggio.

Viviamo in una società per certi versi ossessionata dal cibo: ci piace spiare dal buco della serratura delle cucine televisive, tra competizioni accese e fuochi roventi; osserviamo eccentrici chef mentre umiliano – o compatiscono – concorrenti pronti a tutto pur di salire in sella all’onda dell’Alta Cucina, finché non finiamo (sfiniti) a postare su Instagram ciò che abbiamo nel piatto. “Siamo quello che mangiamo” sosteneva il filosofo Feuerbach, allora perché non recuperare anche per il cibo una dimensione più… lenta, all’insegna quindi dello slow food e della qualità, piuttosto che della quantità?

E il film scritto e diretto da Trần Anh Hùng sembra procedere proprio lungo questa direzione, restituendo alla cucina la sua dignità quasi nobiliare, trasformando un pasto in un’esperienza filosofica e poetica, sull’onda di un radicale recupero delle tradizioni. Il gusto delle cose (in originale, La Passion de Dodin Bouffant), dopo l’anteprima mondiale – in concorso – al 76° Festival di Cannes (dove ha vinto per la miglior regia) e un passaggio all’interno della sezione “Best of 2023” dell’ultima Festa del Cinema di Roma, è ora pronto ad approdare nelle sale italiane dal 9 maggio.

Ambientato nella Francia nel XIX Secolo ed ispirato al personaggio creato dallo scrittore svizzero Marcel Rouff nel romanzo del 1920 La vie et la Passion de Dodin-Bouffant, Gourmet (a sua volta basato sulla figura del francese Jean Anthelme Brillat-Savarin), il film vede protagonisti Eugénie (Juliette Binoche) e il rinomato gastronomo e chef Dodin Bouffant (Benoît Magimel): i due lavorano fianco a fianco da ormai oltre vent’anni, e la cucina di Bouffant è di altissimo livello, visto che viene chiamato il “Napoleone della gastronomia” e i suoi piatti sono considerati tra i più gustosi e raffinati del paese.

La collaborazione con Eugénie è stata fondamentale in tutti questi anni per costruire l’eccellenza che tutti gli riconoscono. La loro grande complicità ai fornelli è anche alla base di un forte sentimento amoroso e passionale, soprattutto da parte di Dodin. L’uomo decide così di arrendersi all’evidenza e chiede più volte alla sua socia di sposarlo, ma Eugénie è una donna molto indipendente e rifiuta costantemente le proposte di Dodin perché vede nel matrimonio una minaccia per la sua libertà. Innamorato e spaventato all’idea di perderla, Dodin decide di farla capitolare facendo una cosa che non ha mai fatto prima: cucinare per lei.

Una sinfonia di sapori suonata in cucina

Il gusto delle cose ha un titolo alternativo, per il mercato internazionale, solo in apparenza molto criptico: Pot au feu, che si riferisce al tipico bollito di carne francese, una delle ricette della tradizione. Non una scelta casuale, perché in realtà questo piatto povero e rustico – ma ricco di ingredienti – è un potente correlativo oggettivo che racchiude una buona parte del senso di un film che non parla solo di cibo, ma di gastronomia, della poesia che si cela dietro ogni piatto che si configura come una sinfonia di sapori suonata in una cavea particolare: la cucina.

L’opera di Anh Hùng è completamente priva di una colonna sonora, preferendo i rumori dei fornelli alle note di una composizione: fuochi accesi, soffritti, tagli di carne battuti, creme preparate ad arte per guarnire preziose Baked Alaska costituiscono il solo e unico tappeto sonoro necessario, un’overture dei sensi per appagare lo sguardo, colmando il piacere retinico di colori e odori che non possiamo sentire, ma riusciamo benissimo ad immaginare. Come la vita di Dodin ruota intorno all’arte della buona cucina, così anche il film si dipana – prendendosi il tempo necessario – per spiegare la filosofia che si annida dietro la passione di Dodin, che forse non è però l’unica ad emergere nel corso della storia.

Il cibo diventa sì protagonista di dialoghi filosofici, tanto che il piacere della tavola finisce per coincidere con quello nutrito verso la vita stessa; ma si capisce fin da subito che Dodin non può scindere l’amore per la gastronomia da quello che prova verso la cuoca Eugénie, suo prezioso braccio destro, colonna portante capace di realizzare le sue fantasie culinarie, complice e amante sfuggente: un amore totale, che trasforma l’arte in vita sparigliando le carte dell’esistenza.

La ballata romantica di due anime affini

In un mondo del cinema dove spesso si sceglie di sposare storytelling incentrati su specifici (e singoli) punti di vista, Il gusto delle cose opta per il passo a due, la ballata romantica – e carnale – di due anime che si sono incontrate per un’inestinguibile affinità elettiva. Ed ecco quindi che il film sulla cucina (anche se d’alta classe, come in questo caso) che rischia di seguire un copione già visto invece si rivela qualcosa di completamente diverso, perché usa il cibo come un grimaldello per scavare nel cuore di un sentimento dirompente, una passione atipica e moderna se immaginata nel cuore del XIX Secolo.

La Binoche e Magimel si ritrovano ancora una volta al centro degli eventi e della Storia, coinvolti in una storia d’amore totalizzante: era già accaduto nel 1999 con il film I figli del Secolo e succede di nuovo qui. A cambiare, questa volta, sono le stagioni attraversate. Giovani e scapigliati, avevano dato volto, corpo – e sofferenza – a George Sand e Alfred de Musset; adesso sono invece due innamorati adulti e consapevoli, che si sono incontrati nell’autunno (biologico) delle rispettive esistenze, ma non per questo si sentono meno pronti a vivere una calda estate di passione e amore. La cucina diventa un mezzo per parlare d’amore, così come le stagioni, che scandiscono inesorabili non solo il ciclo della natura ma anche quello dell’umana esistenza, consegnando gli amanti all’eternità della memoria, fermando l’attimo nella perfezione di un piatto gourmet.

Un’elegia intima dei sentimenti più crepuscolari

Se in apparenza Il gusto delle cose può sembrare semplicemente un opulento affresco storico, fatto di ricchi dettagli e precise ricostruzioni che inneggiano allo stile francese dei melodrammi ambientati nel passato, in realtà solo dopo la visione si comprende la grazia del film, il quale sceglie scientemente di prendersi il proprio tempo per raccontare una non-storia, una piccola vicenda personale che diventa un’elegia intima e delicata dei sentimenti più crepuscolari, sostenuti dalla vibrante interpretazione della ritrovata (solo sul grande schermo) coppia Binochet-Magimel.

Ed entrambi gli attori tratteggiano due personaggi atipici, che si muovono in uno scenario impressionista (sembra di essere in un quadro di Renoir o Manet in più di un momento) pur ostentando un’impressionante modernità contemporanea, che li vede liberi da schemi borghesi e stretti rituali sociali, semplicemente pronti ad amarsi nonostante le rispettive paure. Una dichiarazione forte che passa per un mezzo pop(ular) come il cinema, che ci ricorda quanto alle volte l’amore serpeggi per vie non convenzionali, con i più coraggiosi che scelgono di viverlo lontani dalle consuetudini e dai luoghi comuni, trasformando una passione in un sentimento totalizzante che investe tutto e nella quale è necessario perdersi.

Guarda il trailer ufficiale de Il gusto delle cose

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Se in apparenza Il gusto delle cose può sembrare semplicemente un opulento affresco storico, fatto di ricchi dettagli e precise ricostruzioni che inneggiano allo stile francese dei melodrammi ambientati nel passato, in realtà solo dopo la visione si comprende la grazia del film, il quale sceglie scientemente di prendersi il proprio tempo per raccontare una non-storia, una piccola vicenda personale che diventa un’elegia intima e delicata dei sentimenti più crepuscolari, sostenuti dalla vibrante interpretazione della ritrovata (solo sul grande schermo) coppia Binochet-Magimel.
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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Se in apparenza Il gusto delle cose può sembrare semplicemente un opulento affresco storico, fatto di ricchi dettagli e precise ricostruzioni che inneggiano allo stile francese dei melodrammi ambientati nel passato, in realtà solo dopo la visione si comprende la grazia del film, il quale sceglie scientemente di prendersi il proprio tempo per raccontare una non-storia, una piccola vicenda personale che diventa un’elegia intima e delicata dei sentimenti più crepuscolari, sostenuti dalla vibrante interpretazione della ritrovata (solo sul grande schermo) coppia Binochet-Magimel.Il gusto delle cose, recensione del film con Juliette Binoche