Ron Howard a Cannes: “Non sarei qui senza George Lucas. Il cinema è rischio, mi sento giovane e raccontando il creatore dei Muppets sfido me stesso” - la Repubblica

Ron Howard a Cannes: “Non sarei qui senza George Lucas. Il cinema è rischio, mi sento giovane e raccontando il creatore dei Muppets sfido me stesso”

Ron Howard a Cannes: “Non sarei qui senza George Lucas. Il cinema è rischio, mi sento giovane e raccontando il creatore dei Muppets sfido me stesso”
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Il regista al Festival con il doc ‘Jim Henson: Idea man’, parla della sua ossessione per Kermit, del suo prossimo film ‘Eden’, del coraggio dei cineasti che condividono sogni e sperimentazioni: “Questo fa evolvere il cinema, lo fa cambiare e crescere”

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Ci voleva Ron Howard per rendere giustizia al genio di Jim Henson, non solo il creatore dei Muppets. Il regista Oscar porta al Festival Jim Henson: Idea man, un ritratto commovente, buffo, sorprendente in cui racconta di un genio in costante creazione, pieno di idee futuristiche. Un genio scomparso nel 1990, a soli 53 anni. Nel film, su Disney+ dal 31 maggio, lo seguiamo dall’infanzia, nel 1950 quando convince i genitori a investire nell’acquisto di uno dei primi televisori disponibili. Da adolescente risponde all’annuncio di un emittente di Washington che cerca un burattinaio. Inizia così un viaggio che ha portato alla creazione di Kermit la Rana, Miss Piggy, Gonzo, L'orso Fozzie, Bert ed Ernie, lo chef svedese.

Jim Henson: Idea man è un documentario biografico esaustivo e creativo, copre l'intera gamma della vita e della carriera del protagonista: educazione nel Mississippi, matrimonio con Jane Nebel, sua compagna artistica, la nascita di Kermit, il lavoro con il Children’s Television Workshop: Sesame Street, che ha fatto conoscere a milioni di persone i Muppets. E poi il grande schermo, Dark Crystal e Labyrinth. Ci sono ospiti speciali, da Orson Welles che lo intervista e definisce i Muppets “superstar, talmente popolari che uno trascura di notare che sono una forma d’arte”. E poi Luciano Pavarotti e i Beatles, Rita Moreno e Jennifer Connelly.

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Incontriamo Ron Howard all’hotel Carlton, berretto da baseball e scarpe da corsa consumate “cammino parecchio, mi fa bene”. Sorride.

Che significa portare un film qui a Cannes?

“Mi piace sempre venire, è un appuntamento fondamentale per il cinema, percepisci una vasta gamma di emozioni delle persone, chi inizia e cerca di realizzare un sogno, chi condivide con ansia l’ultimo lavoro sperando che sia accolto. Qui gli artisti condividono ciò che hanno sperimentato, con il pubblico più all’avanguardia, il più particolare, fatto da cinefili. C’è una grande pressione e questo fa evolvere il cinema, lo fa cambiare e crescere. Quindi è un regalo essere qui”.

Negli anni è venuto tante volte, dal 1988: Willow, Ed tv, Il codice da Vinci, Cuori ribelli, Apollo 13, Solo: a Star Wars story… I ricordi più forti?

“Sono legati ai primi film: Willow fu un’esperienza forte. E poi certo, Cuori ribelli: quello è stato un vero evento hollywoodiano, con la coppia di divi Tom Cruise e Nicole Kidman, eravamo letteralmente travolti dai fan. È un ottovolante emotivo, Cannes, ma è questo il senso. Certo quei primi due film furono speciali. Ma mi sto divertendo molto con questo documentario, molti sono cresciuti con i Muppets e ci si relazionano in modo personale”.

In cosa si sente connesso a Jim Henson?

"Nel suo amore così intenso per il lavoro, tale che non vuoi deludere il pubblico e allora ci consegni ogni frammento della vita, dell’energia. Jim era una eccezione creativa, ma molto sperimentale. Si è preso un sacco di rischi, si è esposto alle opinioni della gente, sai, come gli artisti qui a Cannes. Ho rivissuto le sue sperimentazioni, i successi e le grandi delusioni”.

Che rapporto aveva lei con i Muppets prima del doc?

"Da fan e genitore ho davvero apprezzato quel che il suo lavoro ha significato per i miei figli in Sesame Street, un vero strumento di apprendimento, perché ha trovato modi divertenti, la sua arguzia, l’umorismo, lo stile visivo ed estetico, per raggiungere i bambini. È stato il suo punto di forza. E al contempo, nello stesso periodo in cui io lavoravo a Willow, lui stava girando Dark Crystal e Labyrinth e spingendo i confini di ciò che le marionette potevano significare nel cinema. Lo ammiravo già da allora”.

Pensa che la sua grandezza non sia stata riconosciuta abbastanza?

“Beh è interessante che all’epoca Labyrinth fu considerato una delusione. E, nel corso degli anni, si è sviluppato invece un profondo apprezzamento da parte del grande pubblico. Jim era uno sperimentatore, correva rischi e - succede con la musica, la poesia, il teatro, il cinema - spesso la sperimentazione non è compresa al momento, ci vuole un po’ di prospettiva. Alcune delle idee più estreme di Jim ci parlano di più oggi. E quando mi sono rivisto The Muppet Show ho capito che se quegli episodi andassero in onda oggi, quella satira così tagliente sarebbe ancora attuale e ci colpirebbe come cittadini: l’ipocrisia, le manie dei personaggi. C’è qualcosa di fuori dal tempo in quella voce satirica, che Jim ha trovato attraverso i suoi pupazzi”.

Il suo personaggio preferito?

“Mi piacciono tutti ma mi affascina Kermit perché era davvero l'alter ego di Jim. Facendo questo doc sono diventato davvero ossessionato da Kermit, dalla relazione di Jim con Kermit, di come lo abbia realizzato con un pezzo del cappotto di sua madre e due palline da ping pong. Torniamo alla sua prima domanda: l’intuizione di usare la narrazione per esprimere chi sei e condividere le tue idee con il pubblico. Un processo in continua evoluzione, una vita sempre creativa. Di Jim ricordiamo una manciata di progetti ma ne aveva moltissimi. Sì, era un genio”.

George Lucas, che riceverà la Palma alla carriera, è stato un incontro importante per lei.

“Non sarei qui senza di lui. George ha riconosciuto e sostenuto la mia ambizione di diventare regista in un momento in cui era ridicolo pensare che qualcuno potesse passare dalle sitcom televisive americane alla regia. Non c’erano precedenti, non mi prendevano sul serio. Lui lo ha fatto”.

Coppola, Costner, Schrader. C’è una vecchia generazione che qui a Cannes si è presa i rischi più grandi.

“Non ho ancora visto Megalopolis ma rispetto e apprezzo gli artisti che prendono rischi così grandi, per se stessi ma anche per noi. Le loro carriere, le loro vite sono compiute. Amano il cinema e il pubblico abbastanza da dire ‘ecco, ho un’idea, lasciatemi condividere il mio punto di vista oggi, a questo punto della mia vita con voi, quando non devo preoccuparmi dell'ipoteca della mia casa, di mandare i figli all’università. Ci siamo solo io e te. Siamo solo noi: ecco il film, che ne dici?’. Penso che ci sia un grande coraggio in questo”.

Anche lei è pronto a prendersi rischi?

"Di certo questi cineasti sono fonte di ispirazione. Non sono un giovanotto, ma mi sento ancora più giovane di quei ragazzi che sono là fuori a sfidare se stessi. E cercare di offrire al pubblico qualcosa di fresco, innovativo. Sì, è quello che vorrei per me. Sono in postproduzione con il mio nuovo film, si chiama Eden ed è basato su eventi reali. È un thriller, una storia di sopravvivenza”.

Racconta di un gruppo di persone che abbandonano la società per trovare alle Galapagos il significato della vita.

“Sì, ed è diverso da qualsiasi cosa io abbia mai fatto. Ma avevo un cast straordinario: Sydney Sweeney, Vanessa Kirby, Jude Law e Daniel Bruhl. Grandi ruoli attoriali ma anche personaggi molto complicati. È una storia spigolosa, raccontata attraverso versioni differenti. Molto presto sarà il momento per noi di condividerlo e scoprire che cosa ne pensa il pubblico”.

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