10 dischi per capire cos’è stato il sophisti-pop anni ’80 | Rolling Stone Italia
Smooth Operators

10 dischi per capire cos’è stato il sophisti-pop anni ’80

Everything but the Girl, Sade, Matt Bianco, Style Council, Prefab Sprout e compagnia sciccosa: la rifondazione soul del pop britannico alternativa a post punk e new wave. Anche se non sembra, c’entra la politica

10 dischi per capire cos’è stato il sophisti-pop anni ’80

Paul Weller e Mick Talbot degli Style Council sul set del video di ‘Long Hot Summer’, 1983

Foto: Steve Rapport/Getty Images

In un periodo in cui si dà importanza a canzoni scritte da un’intelligenza artificiale e a chi, umano, le scrive sembrando un’AI, forse è il momento di tornare alla metà degli anni ’80, quando ci si opponeva alla disumanizzazione della musica con l’artigianato musicale, arrangiando le canzoni con un occhio alla grande tradizione della musica nera e soprattutto del soul. L’altro occhio guardava avanti, alle esperienze wave, elettroniche, rock, latine. E anche della politica: quei suoni suadenti nascondevano messaggi che spesso arrivavano più efficacemente che usando la distorsione.

Stiamo parlando del sophisti-pop, che dal 1982 al 1988 circa ha tenuto banco prima che un certo tipo di musica “tecnocrate” prendesse piede cambiando le carte in tavola del pop (a volte in meglio, a volte no). Siamo qui per ricordare alcuni progetti che forse ora come mai sono d’ispirazione per fare musica “altra” in cui il fattore umano è al primo posto. Per non dimenticarci che siamo carne sangue e soprattutto “anima”.

Boys and Girls

Bryan Ferry

1985

Iniziamo con un innovatore straimitato che tra le tante cose è anche il padrino del genere. Eh sì, perché Bryan Ferry coi Roxy Music non ha solo “reinventato” il glam, ma ha anche tenuto a battesimo il New Romantic e – appunto – inaugurato la grande stagione del sophisti-pop. L’ album spartiacque dei Roxy è l’ultimo Avalon del 1982, un disco di una raffinatezza esasperata, incredibilmente piena di fascino, che si pone come ponte perfetto tra il new romantic e la nuova tendenza che di fatto inaugurano. Ma è da solista che Ferry centra il bersaglio entrando a tutti gli effetti da re del sophisti-pop. Tre anni dopo lo scioglimento dei Roxy pubblica infatti Boys and Girls, che contiene due megasingoloni come Slave to Love e Don’t Stop the Dance e arriva al primo posto della classifica del Regno Unito con un perfetto insieme di elettronica leggera come una piuma, cadenze jazz, suggestioni latine e piacioneria da consumato crooner. Il tutto legato da una malinconia ereditata dalla wave che perde però i connotati aggressivi a favore di una seduzione a tutto tondo, quasi sognante. Nel successivo Bête Noir non riesce a rinnovare di molto il linguaggio e cade nel cliché. Boys and Girls rimane quindi la migliore espressione di Ferry nel campo sophisti, influenzando molti artisti contemporanei e successivi della scena.

Diamond Life

Sade

1984

Quando si parla di sophisti-pop è impossibile non pensare a Sade. Si badi bene, nonostante la leadership della cantante di origini nigeriane Sade Adu, non si tratta di un progetto solista ma di una band (cosa che ancora a molti non sembra chiara dato il carisma della frontwoman). È un aspetto fondamentale perché nella loro musica si sente l’apporto di diverse menti creative che vengono armonicamente a patti. Nel caso di Diamond Life, ogni attrito scompare magicamente. Non c’è una nota fuori posto, non c’è un arrangiamento improvvisato, non c’è un suono che non spacchi (tanto che è un disco spesso usato per testare gli impianti audio). Un picco inarrivabile del genere. Tra languido smooth jazz, morbidi passaggi lounge, ammalianti strutture funk-soul latine suonate in punta di dita e strizzate d’occhio tanto all’adult rock quanto a certo folk afro/asiatico, la voce suadente di Sade trascina l’ascoltatore verso paradisi urbani di un altro pianeta. Non è difficile perdersi nelle storie d’amore di Smooth Operator o di Hang On to Your Love, che oscillano tra il buio e la luce. Tutti i brani dell’album sono hit assolute (quattro finiranno su singolo ottenendo tutte grandissimo successo) e Diamond Life diventerà uno dei punti di riferimento per il movimento neo soul (per intenderci cose come Soul II Soul, Jamiroquai o Lisa Stansfield) ed esempio di come si dovrebbe fare un album.

Stars

Simply Red

1991

Forse non tutti sanno che i Simply Red (quelli del roscio Mick Hucknall) non hanno iniziato col sophisti-pop, ma con il punk. Coi Frantic Elevators, Hucknall ha registrato la Holding Back the Years poi ripresa dai Simply Red. E tra i membri fondatori ci sono Chris Joyce, già nei Durutti Column e nei Pink Military. Insomma, come nel caso di Paul Weller, il richiamo “street” e “socialista” del soul prende il posto della new wave e dal 1985 i Simply Red inanellano una serie di successi, trainati dalla notevole voce di Hucknall, rinnovando i linguaggi della Stax e della Motown nell’era digitale. Potremmo scegliere qualche loro album del periodo d’oro del sophisti-pop anni ’80, ma quello che ci interessa è il fatto che siano riusciti a trainare questo genere negli anni ’90, rinnovandolo senza venire presi a pedate dalla casa discografica (sorte che toccherà agli Style Council). Nel 1991 se ne escono con quello che potrebbe essere considerato il loro Sgt. Pepper’s, ovvero Stars, primo album senza neanche una cover (nelle quali erano in un certo senso specializzati) e caratterizzato da una ricchezza sonora nel quale la presenza del batterista e programmatore nipponico Gota è fondamentale (aveva lavorato coi Soul II Soul). L’album è un successo mondiale e diventa in qualche modo un riflettore per il neo soul. La band si fa anche dei nemici (Stars nel 1998 viene votato come secondo peggior disco di sempre da un sondaggio di Melody Maker, in maniera piuttosto arbitraria), ma nonostante il calo mediatico in classifica si comporta benissimo soprattutto in patria. È proprio il caso di dire che la classe del sophisti-pop non è acqua…

Whose Side Are You On?

Matt Bianco

1984

I Matt Bianco sono una delle band simbolo del sophisti-pop degli anni ’80. Nascono dalle ceneri dei Blue Rondo A La Turk, ensemble dalla spiccata attitudine cool jazz. L’insuccesso del primo album li porta a dividersi ed è così che Mark Reilly, Kito Poncioni e Danny White fondano i Matt Bianco, che con l’inserimento della cantante Basia diventano una macchina da hit. Il primo album Whose Side Are You On? (con Poncioni già fuori dai giochi) ne sforna ben cinque e non è difficile dire che la forza dei pezzi (a parte la miscela di jazz, latin e i sapienti innesti sintetici a puntellare) sta tutta nel botta e risposta tra la voce di Reilly e quella di Basia. Che infatti, dopo il primo album, lascerà la band portandosi dietro White, col quale avrà una relazione, per perseguire una carriera solista di grande successo negli Stati Uniti diventando una delle alfiere del sophisti-pop mondiale. Dopo questo album in stato di grazia per il perfetto equilibrio degli elementi, i Matt Bianco continueranno a bazzicare le classifiche ma perderanno la magia della loro formula, diventando più affini a un gusto latin stile Kid Creole. Nel 2004, ad ogni modo, la band si riforma con gli elementi originali del primo disco sfornando Matt’s Mood.

Our Favourite Shop

The Style Council

1985

I Simply Red non sono gli unici ad avere un passato punk. Vale la stessa cosa per gli Style Council di Paul Weller, ex Jam. Pare che il drastico cambio di direzione sia dovuto a un’improvvisa vampata d’odio nei confronti del rock, a suo dire intrappolato in schemi caricaturali. È anche vero che la fascinazione per il soul è coerente col suo passato di paladino del revival mod di fine anni ’70. Il passaggio al sophisti-pop è quasi naturale, e ancor di più il fatto che gli Style Council sono dei pionieri, essendosi formati nel 1982. Della loro discografia scegliamo il disco che mette d’accordo un po’ tutti, ovvero Our Favourite Shop, sia perché l’eclettismo di stili della band sembra maggiormente coeso (si frullano soul, rap, rock con proverbiale eleganza), sia per il fatto che è uno dei loro dischi più politici (si parla di razzismo, suicidi, consumismo, con varie stoccate alla Thatcher). Da questo punto di vista, i Jam erano delle educande. La fortunata parabola degli Style Council incomincia però a sgonfiarsi nel 1987. Il colpo di grazia lo dà l’idea di vedere nel garage e nell’acid house il nuovo soul. I due ci si buttano a pesce nel 1989 registrando Modernism: A New Decade. Alla Polydor prende un colpo: incapaci di capire la portata dell’operazione, rifiutano l’album che viene pubblicato solo nel 1998. La fine – suo malgrado – di una band che ha sempre guardato (troppo) avanti.

Steve McQueen

Prefab Sprout

1985

A proposito di wave, impossibile non pensare a quello che è uno dei vertici del sophisti-pop, ovvero Steve McQueen dei Prefab Sprout. Difficile credere che alla produzione ci sia quel geek dei sintetizzatori che è Thomas Dolby, e invece eccolo che riesce a catturare lo spirito della band, valorizzandone le canzoni. Band e produttore non si pestano mai i piedi concentrandosi sul risultato finale, che viene raggiunto alla grande. Steve McQueen è un insieme levigato di folk, funk, jazz, setacciato dalla wave e da trovate elettroniche ad effetto sparse qua e là. Ma è soprattutto un disco di grandi canzoni (il cantante e chitarrista Paddy McAloon è uno degli autori più fertili della sua generazione), intime, esistenziali, per cuori spezzati ma con un certo humor che ne stempera i temi. Per non farsi mancare nulla, una delle tracce è prodotta anche da Phil Thornalley, ricordato per essere stato produttore di Pornography dei Cure nonché loro terzo bassista, in qualche modo simboleggiando il passaggio di consegne dai primi anni ’80 cupi e introversi a un’attitudine più solare ma non per questo meno emotiva (non a caso Thornalley mette le mani sul singolone When Love Breaks Down).

Hats

The Blue Nile

1989

Da uno scalcagnato trio che suonava cover in giro per Glasgow usando una batteria elettronica da due lire che suonava solo ritmi ispanici – come dei Suicide al contrario – nasce una delle band più importanti del movimento. Molto limitati tecnicamente, i Blue Nile riescono a sfruttare la cosa a loro vantaggio buttandosi su uno stile sintetico e per l’appunto sobrio e sofisticato. Leggenda vuole che una azienda di hi-fi locale, la Linn, li metta sotto contratto allo scopo di produrre un disco per testare i propri prodotti. Così non è, ma A Walk Across the Rooftops del 1984 diventa un successo dovuto alla mistura di elettronica posata e di toccante soul, una delle pietre miliari del sophisti-pop. Il successivo Hats è il loro picco poetico, riesce a presagire l’HD nel pop e sposta la lancetta del sophisti-pop verso il post rock. Costretti dall’etichetta a tirare fuori un nuovo album al volo per bissare il successo del primo, i Blue Nile si infilano in studio cercando di scrivere qualcosa, ma vengono colpiti dal blocco dello scrittore e per tre anni si barricano nei Castelsound Studios senza riuscire a tirare fuori nulla. Sconfitti, senza una lira, umiliati e offesi, tornano a Glasgow ed è proprio nella quotidianità delle loro vite che le cose si sbloccano. Una volta pronti a ritornare in studio, il lavoro viene finito in una settimana. Hats è un disco a suo modo estremo nelle atmosfere fatte di elettronica cristallina e di canzoni di struggente romanticismo, il tutto in punta di piedi tanto da lasciare il critico Simon Reynolds quasi in lacrime. Il disco avrà un certo successo e un seguito di culto anche tra i colleghi: Annie Lennox farà una cover di The Downtown Lights, i Black Midi e i 1975 citano l’album come uno dei loro riferimenti assoluti.

Songs to Remember

Scritti Politti

1982

Che dire del gruppo preferito da Mark Fisher? Da progetto post punk nato nel 1977 con forti tendenze marxiste (il nome è preso dagli scritti politici di Antonio Gramsci) la band capitanata da Green Gartside si stanca del ghetto, del DIY e anche di certe rigide prese di posizione politiche e decide di buttarsi a capofitto nel pop. Ovviamente quello più sofisticato e laccato al limite dell’improbabile: quasi in un impeto proto-accelerazionista, Green costruisce una musica artificialmente perfetta, quasi uscita dalla fabbrica, giocando con il linguaggio del pop anni ’80 e portandolo alle estreme conseguenze, pensando di poter così usare il nemico capitalista dall’interno. Cupid & Psyche del 1985 rappresenta un picco di questo concetto, ma probabilmente il meglio degli Scritti Politti risiede nel primo album Songs to Remember, documento di un passaggio di stato che ancora permette cortocircuiti. Anche Green, come tanti colleghi della scena, si abbandona al culto della Stax e della Motown, affascinato dal reggae e con un pallino per Aretha Franklin e gli Chic (in Sex le influenze sono chiare). Tutto questo lo abbina a testi incredibili come quello del brano Jacques Derrida, in cui riesce a infilare il filosofo in una grandissima canzone d’amore, che sembra scritta da George Harrison ai tempi dei primi Beatles che si è appena postmodernizzato.

Eden

Everything but the Girl

1984

È una storia d’altri tempi quella degli Everything but the Girl, ovvero Tracey Thorn e Ben Watt. Il duo, che si forma per amore (sono ancora insieme e hanno tre figli), parte da un sophisti-pop a tutto tondo per toccare poi il jangle pop, l’elettronica, il folk e filtrando anche con il trip hop (la voce di Thorn è in primissimo piano in Protection dei Massive Attack). Galeotta è l’etichetta Cherry Red che li mette sotto contratto come cantanti solisti (Thorn in parallelo portava avanti il post punk della all female band Marine Girls, di cui Kurt Cobain era fan sfegatato e che ha condizionato il suo modo di scrivere). Nel 1984 firmano il debutto Eden, che è forse l’unico album in grado di competere con Diamond Life di Sade (anche perché il produttore, Robin Millar, è il medesimo). Non è solo un album di raffinatissimo jazz da camera, ma anche un ponte tra questo e l’indie degli Smiths (Johnny Marr non a caso fa un cameo all’armonica), trovando quindi una formula inedita che li rende unici. I testi non sono solo quadretti di amori turbolenti, ma anche di discorsi di genere e quindi di politica nel quotidiano (Thorn era chiaramente femminista), la stessa politica che è usata anche negli arrangiamenti dei brani. No al rullante che ricorda il rock, no al basso, no ai cori o al pianoforte, insomma no a cose che potrebbero rimandare a certi immaginari triti e ritriti. E in effetti anche nel look gli Everything but the Girl sono spiazzanti, indossando magliette dei Sex Pistols coi capelli sparati ma facendo una musica d’ascolto che – forse – era addirittura più radicale del punk.

The Falling

Carmel

1986

Altro gruppo di pregio, i Carmel sono uno dei migliori act del genere e uno dei meno ricordati. Attratti dal gospel e dal jazz blueseggiante con forti tinte soul, questi nativi di Manchester alzano l’asticella nel terzo album The Falling dando al loro stile swingato una patina digital pop, con atmosfere che anticipano in un certo senso l’acid jazz che verrà. Tra i produttori delle tracce troviamo – curiosamente, visto il genere – un Brian Eno che fa un lavoro egregio su Easy for You, reminescente delle cose più ambient e soul degli U2. Il disco andrà fortissimo in Francia, nei Paesi Bassi e in Germania, trainato dalla potente voce di Carmel McCourt, meno nel Galles da dove viene il gruppo. Da ricordare anche Set Me Free, disco del 1989 che vede ancora Brian Eno con Pete Wingfield e la partecipazione di Jimmy Sommerville, dalle tinte spiritual-epiche che in un certo senso è l’ultimo slancio veramente creativo di una band sulla strada del mestiere più che dell’innovazione: quella che in sostanza è il basso continuo di tutta l’esperienza sophisti-pop.