nove – capitage della ceramica – LA PORCELLANA

NOVE – CAPITALE DELLA CERAMICA

LA PORCELLANA

testo di  Paola Marini

in “La ceramica a Bassano e Nove dal XIII al XXI secolo”

ottimiizzazione di Vasco Bordignon

 I primi falliti tentativi di produrre la porcellana furono condotti da tecnici francesi e tedeschi, mentre determinante fu il contributo di Pietro Lorenzi, e soprattutto di Lorenzo Levantin , che Pasquale Antonibon aveva inviato nella fabbrica reale francese di Vincennes allo scopo di fargli apprende i segreti della porcellana. Proprio Vincennes risulta attivo dal 1749 al 1752 anche il modellatore Jean Pierre Varion, che nella primavera del 1758 è a Nove , dove rimarrà fino al 1765.

Nella prima metà del Settecento sull’esempio della manifattura di Meissen , avviata nel 1709 , rapidamente si aprono in tutta Europa per iniziativa dei sovrani , fabbriche di porcellane : a Vienna, Chantlly, Vincennes, Capodimonte, Pietroburgo, Berlino, Nvmdhenburg.

Le esperienze di Vezzi a Venezia nel 1720, di Ginori a Doccia nel 1735 e di Hewelcke a Venezia nel 1757 si segnalano per la loro tempestività e soprattutto per essere condotte da privati.

Lo stesso Antonibon nella supplica del 1762 al Senato veneziano pone l’accento sullo sforzo economico sostenuto nel tentativo di ottenere la porcellana.

In quella sede egli fa riferimento a “campioni” allegati, tra i quali si può ipotizzare vi fossero le teiere e i due piatti ora a Sèvres, uno dei quali presenta dipinta un’emblematica scena: Nove , accompagnata dal tempo e da una Città turrita (forse Marostica della cui podesteria Nove faceva parte ) offre le sue porcellane a Venezia.

Ma tra il 1763 e il 1765 un periodo di crisi, dovuto ad una lunga malattia di Pasquale Antonibon , arreca gravi danni al settore della maiolica e conduce quasi alla paralisi quello della porcellana. Molti operai cercano a Este e a Venezia quel lavoro che a Nnove si era ridotto.

Ed è proprio allora che Geminiano Cozzi dà vita alla sua manifattura. Fu necessario un processi, tenuto a Venezia tra il giugno e il luglio 1765, promosso dai Savi alla Mercanzia, per porre fine “ai disordini” delle maestranze; al termine l’attività della fabbrica riacquista i ritmi consueti anche nel comparto della porcellana.

A partire dal 1774 gli Antonibon affittano a Giovanni Maria Bacin per otto anni anche la fabbrica delle porcellane. Dal 1782 essa tornerà ad essere condotta da un Antonibon, Giovanni Battista, in società, sino al 1802, con il bassanese Francesco Parolin.

Negli ultimi decenni del Settecento la fabbrica era stimata 80.000 ducati. Le maestranze in continuo aumento raggiungono nel 1778 il ragguardevole numero di 150 addetti, 120 dei quali impiegati nel settore della maiolica.

II reddito delle due produzioni è pressoché equivalente. Per la maiolica, le vendite avvenivano, come s’è detto, nei negozi diffusi in molte città italiane e per il tramite dei colporteurs, diretti soprattutto in Tirolo, Austria, Veneto e Romagna; ingenti erano le spedizioni in Levante, in special modo a Costantinopoli. Venezia
assorbiva, nel suo duplice ruolo di piazza di smercio e di punto-base per l’esportazione, poco meno di 1/3 del prodotto, mentre le vendite al di fuori dello stato raggiungevano 1/3 del fatturato annuo.

La porcellana invece era destinata soprattutto a Venezia (42%) e le esportazioni erano in proporzione minori (17%), il che naturalmente si spiega con l’importanza delle manifatture estere, soprattutto tedesche, di porcellana.

L’intento primo della Serenissima nell’incentivare la manifattura di porcellana era quello di poter produrre in loco oggetti molto richiesti, che dovevano altrimenti essere importati dall’estero con spesa assai maggiore.

In tale ottica, il concetto di imitazione, rispondendo ad un intento programmatico, assume un valore positivo, mentre le fonti di ispirazione sono tutt’altro che dissimulare, come dichiara una perizia del 1768 : oltre a Nympheburgg per tazze, tazzine, zuccheriere e pezzi grandi non meglio precisati, Vienna e Dresda – secondo quanto sostiene lo stesso Antonibon – da cui derivano le teiere e Vincennes, donde è ripresa, forse per il tramite diretto del Varon, la forma delle giadiniere, prodotto in quella manifattura dal 1754.

E’ tuttavia di nuovo nel campo dei decori che meglio si esplica si esplica la caratteristica invenzione della fabbrica, sin dal punto di vista della scelta dei modelli , sia da quello della selezione e dell’accostamento dei colori.

Le testimonianze intorno alla produzione di cui disponiamo sono però  molto più tarde, risalendo alla fine del secolo. Vi compaiono chicchere da caffe, anche grandi per uso estero, da cioccolata e da tè, zuccheriere, proposte pure nella forma “a mastelletta”, “cantaretti”(tazzine senza manico) con piatto, piatelli da sorbetto, tazzine da rosolio, salarini da due con un puttino per manico, putti in fasce ad uso di pennarolo da custodiri aghi e sturzzicadenti e scararpette da diavolo, probabili contenitori per confetti. Le cogome da caffe vengono offerte grandi da12 chicchere e mezzane da 8, quelle da tè, bevanda più pregiata, solo da 3 chicchere.

La lista continua con tazze o scodelle da brodo con piatto (le cosiddette tazze della puerpera o della comare), vasi e vasetti da mostra o da fiori, eventualmente completati da naturalistici fiorellini di porcellana sorretti da steli metallici, con le celebri giardiniere vasetti da mostra o vasi da camin, in realtà vasi da bulbi, con calamai.

La sommaria elencazione desumibile dai documenti scritti o fittili può essere arricchita dalla citazione di tabacchiere, piastre a rilievo con soggetti sacri o rituali.

Vennero infine sicuramente realizzati anche quei pezzi da tavola, largamente prodotti da Cozzi e invece assai rari presso la fabbrica novese, che, per pezzi sciolti e servizi di quel tipo, dovette sempre privilegiare la maiolica .

Figure singole di pastori, maschere e amorini vengono proposte accanto a gruppi allegorici, mitologici e pastorali, che si ergono elegantemete su basi circolari con motivi a rilievo du festoni e mascheroni.

La produzione di piccola scultura in porcellana, tradizionalmente datata successivamente all’arrivo del veneziano Domenico Bosello nel 1776, è stata convincentemente anticipata di almeno un decennio da
Giuliana Ericani e collegata a precoci esperienze nel campo della maiolica.

Gli atti del processo del 1765 riportano infatti i nomi di uno “scultor celebre, il fiorentino Pietro Girari, di uno scultore già operoso presso Cozzi, Battistin Bertazzi, del modellatore veronese Sebastiano Lazzari.

Ii filone di gusto rococò, ispirato, con la mediazione delle incisioni veneziane e remondiniane, alla pittura contemporanea di idillio, nonché in qualche caso alla statuaria ceramica sassone, viene replicato con successo sino alla fine del secolo.

Ad esso segue quello di impronta più fortemente classicheggiante del periodo Antonibon-Parolin (1782-1802), dominato dalla personalità del Bosello, formatosi a contatto con il migliore modellatore neoclassico italiano, Filippo Tagliolini, e poi, forse, a Vienna.

Ma l’argomento – da affrontare in parallelo con la produzione di Cozzi e delle manifatture di Este – attende ancora di essere approfondito e la ricerca trarrebbe grande vantaggio dallo studio sistematico degli stampi ancora conservati presso la fabbrica Barettoni, erede della manifattura settecentesca.

Alla permanenza novese del Varion, tra il 1758 e il
1764, non è stata ad esempio attribuita con certezza nessuna opera.

I decori potevano essere cromatici o plastici, e questi furono tra i primi ad essere introdotti.

Riferibili alla produzione più antica sono soprattutto tazzine con motivi ornamentali in una gamma limitata di colori: rosso o rosso e blu.

Gradualmente la policromia si fa più ricca e aumentano i decori propsti: fori (a “groppetti sparsi”, a “terrapien”, a cadenella”). spighette, rametti, fruttini, cineserie, bambocciate, schemi geometrici, stemmi gentilizi, scene galanti, mitologiche, arcadiche, portuali, pastorali, architettoniche, venatorie e paesaggi, più spesso sviluppati liberamente sulla forma più raramente, soprattutto in cpoca posteriore, compresi entro cartelle
o riserve.

Frequente è poi l’uso del color “canna “metallizzato, per i piattini e la superficie esterna di tazze, il cui interno può presentare differenti disegni.

Accanto a pezzi unici, dal decoro eccezionale, veniva proposto quasi un centinaio di ornati più comuni, contrassegnati con numeri crescenti e riservati di nuovo prevalentemente a tazzine e piattini.

Ai due soli nomi di artefici sinora noti, il pittore Giovanni Marcon e il modellatore Domenico Bosello, il proseguire delle ricerche ha conentito di aggiungere quelli dei modellatori Giuseppe e Pietro Brunelo,
di Battistin Bertazzo, Pietro Girari , Sebastiano Larzari e dei pittori Federico Mazza, Paolo, Ludovico e Giovanni Ortolani e Gioachino Fabris, padre dello scultore Giuseppe De Fabris

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pubbicato 14 maggio 2024

NOVE – CITTA’ DELLA CERAMICA – 02 – LA MANIFATTURA ANTONIB0N – 01

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