Schlein-Gentiloni, idea diarchia per tenere insieme le due anime - La Nuova Venezia

Schlein-Gentiloni, idea diarchia per tenere insieme le due anime

Nel Pd si fa strada l’ipotesi del Commissario uscente Ue alla presidenza nel dopo-Bonaccini

Carlo Bertini
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Paolo Gentiloni 

 

Molto dipenderà dal voto delle Europee, ma anche se il Pd ne uscirà bene – i bookmakers dem prevedono addirittura un 22 per cento e passa grazie al traino della sfida a due Schlein-Meloni – la geografia del partito muterà e non poco dopo il 9 giugno. Presidenza, capigruppo e segreteria, ormai silenziata da mesi: tutti gli organismi saranno messi in discussione e una figura su tutte si staglierà all’orizzonte, quella dell’ex premier Paolo Gentiloni.

La segretaria Elly Schlein potrebbe infatti proporre in autunno all’ex premier Paolo Gentiloni di fare il presidente del Pd, al posto di Stefano Bonaccini, per ribilanciare i pesi interni e tenere insieme il diavolo e l’acqua santa: ovvero le due anime del partito, quella più radical e libertaria quella più governista e moderata. La fine del mandato da commissario europeo a novembre, consentirebbe infatti all’ex premier di assumere una carica politica, che fu di Romano Prodi e poi di Rosy Bindi. Una mossa del genere consentirebbe a Schlein di imbrigliare Gentiloni, che invece molti vorrebbero si impegnasse in un ruolo più cruciale, come federatore di un campo largo tutto da costruire e di eventuale candidato premier.

Ecco il braccio di ferro dei prossimi mesi nel Pd: tra chi vorrebbe infilare Gentiloni nella foto di famiglia del nuovo Pd a trazione Schlein, per non consentirgli di fare il controcanto alla segretaria; e chi invece vorrebbe conservargli le mani libere per giocare la partita da riserva della Repubblica (e del Pd) alla bisogna.

Quella di una diarchia al potere tra la segretaria Elly Schlein e Gentiloni, è un’idea che piace a molti riformisti dem: se Schlein gli offrisse questa carica, con una mossa a spariglio riuscirebbe dunque a spaccare la minoranza interna, visto che molti sono contrari “a incastrare Paolo nel ruolo di foglia di fico della segretaria”.

Lui guarda con fastidio a tutte queste indiscrezioni, che considera chiacchiere premature, ma coglie in pieno la portata della questione e non si fida delle sirene che già gli stanno lanciando. L’altro giorno si è espresso con chiarezza sul sostegno militare all’Ucraina e ha bacchettato chi ha votato contro il patto di stabilità Ue, da lui imbastito prima della stesura finale, “comunque migliorativa” rispetto alla versione di partenza. Un colpo alla destra e due al Pd.

In tutto questo, l’attuale presidente, Stefano Bonaccini, non ha al momento intenzione di farsi da parte, ma punta a vincere il derby con Nicola Zingaretti per la carica di capodelegazione Pd al Parlamento europeo. Il governatore emiliano ha un seggio assicurato a Bruxelles dalla sua posizione di capolista del Pd alle europee del 9 giugno nella circoscrizione Nord Est. La carica di capodelegazione gioco forza lo porterebbe lontano dai giochi italiani e fuori dalle manovre che dovranno prendere il via dopo l’estate: ovvero la costruzione di una tela che possa tenere insieme fili molto lontani tra loro, come quelli dei 5stelle e dei centristi vari, siano Matteo Renzi, Carlo Calenda o Emma Bonino, fino a quelli dei Verdi-Sinistra di Bonelli e Fratoianni. Un’operazione di difficile tessitura che si addice a un personaggio come Gentiloni (che nel 2020 fu nominato commissario proprio dal premier Giuseppe Conte) capace per temperamento e autorevolezza politica, a tenere insieme spinte e istanze diverse.

“Quando tornerò in Italia non andrò in pensione”, ha avuto l' accortezza di avvisare l’interessato, senza specificare altro, ma destando molte aspettative. Se fosse incaricato di fare il federatore diventerebbe di fatto il candidato premier alle prossime Politiche; se fosse solo incoronato al vertice del partito la sua sarebbe comunque una carica meno simbolica di quella ricoperta da Bonaccini fin qui. Il quale da mesi viene considerato ormai nelle chiacchiere di Transatlantico “il più fedele alleato di Elly”: la sua corrente, Energia Popolare, nata dalle ceneri della sconfitta alle primarie del febbraio 2023, non è mai sbocciata davvero, a riprova che la funzione di opposizione interna della minoranza sulla segretaria è venuta meno.

Le ultime vicende, come la firma al referendum contro il jobs act (varato dal Pd di Renzi e Gentiloni) o la proposta (avanzata proprio da Bonaccini) di mettere il nome di Schlein nel simbolo Pd per le europee, bocciata dai big del partito, hanno fatto il resto. Il malcontento verso segretaria e presidente sale. E neanche un buon esito delle europee riuscirà a placarlo.

Con questo articolo Carlo Bertini, notista politico, comincia la collaborazione con i giornali del gruppo Nem

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