"L'odio" al cinema 30 anni dopo: il cult è ancora attuale
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"L'odio" torna al cinema trent'anni dopo: il cult di Kassovitz è ancora attuale

Dal 13 maggio in versione restaurata in 4k il film con Vincent Cassel Palma d’Oro nel 1995 a Cannes

Ufficio stampa

Dal 13 maggio torna sul grande schermo "L’odio" di Mathieu Kassovitz, con Vincent Cassel, Hubert Kounde e Saïd Taghmaoui, che al Festival di Cannes nel 1995 aveva vinto la Palma d’Oro per la Miglior Regia.

Un cult cinematografico passato di generazione in generazione, un piccolo capolavoro della cultura street, emblematico e universale per il modo di Kassovitz di raccontare in modo crudo, potente, schietto, autentico le strade della banlieue, la complessità sociale e il filo teso quotidiano. Un film che contiene il futuro. Sono passati trent'anni e in questo lasso di tempo abbiamo capito quanto sia importante l'atterraggio rispetto alla caduta. Che non è ancora avvenuta.

 

Fotogallery - Le immagini del film "Lʼodio"

 

Tgcom24

 

La trama del film

  Ventiquattr'ore nella vita di Vinz (Vincent Cassel), Hubert (Hubert Koundé) e Saïd (Saïd Taghmaoui), tre amici della banlieue parigina all’indomani degli scontri tra forze dell’ordine e civili dopo i quali un ragazzo del quartiere, Abdel, si ritrova in fin di vita a causa dei soprusi violenti della polizia. I tre, carichi di rabbia e con una pistola tra le mani, meditano su come avere giustizia.

 

Tre protagonisti dai caratteri opposti, tre modi di affrontare la vita, tre modi di essere arrabbiati e una sempre personalissima idea di rivalsa. Una vicenda che ancora oggi è cronaca quasi quotidiana, raccontata in modo accattivante da diventare punto di riferimento della cultura urban da lì a venire. Percorrendo i contorni sfocati della giustizia ed esplorando le contraddizioni dei suoi protagonisti, il film è diventato un instant classic per tematiche e stile. "L’odio nasce con la morte di Makomè, vittima di un pestaggio in un commissariato parigino. Da allora mi sono chiesto come si sarebbe potuti entrare nel circolo vizioso dell’odio: i ragazzi che insultano gli sbirri che insultano i ragazzi che insultano gli sbirri. Tutto finisce sempre male, si trasforma in scontro. Il fatto è che è la polizia ad avere le armi addosso ed è solo la polizia a poter decidere quanto alzare l’asticella del conflitto. E' un film contro i poliziotti e volevo che fosse inteso come tale", aveva raccontato Mathieu Kassovitz, spiegando come era nata l'idea del film.

 

L'attualità de "L'odio"

  "L'odio" parla incredibilmente dell'oggi, di quello che siamo, di come stiamo vivendo e dove stiamo vivendo. La città. La città divisa in zone con il suo hic sunt leones. Lo sconfinamento, la terra dell'altro, lo straniero, il povero, il pericoloso, l'altro. Nella città ci sono muri invisibili che separano. Il classismo si riproduce sulla base del razzismo. L'odio parla di chi fa parte di un quartiere difficile. Il bianco e nero del film è una divisione netta. Una metafora della divisione. All'interno dello Stato. Da una parte chi mantiene lo status quo e dall'altra quelli che dovrebbero aver diritto di farne parte ma vengono allontanati. Quelli che stanno fuori dallo schema dominante. Quelli il cui destino è legato a doppia mandata alla propria provenienza. Ritrovarsi a vivere, anzi relegati a vivere, in una periferia, lontana, lontana dalla città, tanto da avere una propria lingua, un proprio codice. E la rabbia per queste condizioni, in cui si viene forzati a vivere, esplode e scoppia la guerra. Contro il rappresentante delle istituzioni che ti trovi davanti. La polizia. L’odio che dà il titolo al film è infatti il disprezzo per questo stato esistenziale che accomuna gli stranieri francesi, lo stesso che anima gli afroamericani nella loro recente lotta Black Lives Matter, e che si sublima nello scontro diretto con le forze dell’ordine.

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