Il recto e il verso di Jan van Eyck

18 Maggio 2024

Una piccola mostra di altissima qualità al Louvre permette di apprezzare uno dei capolavori assoluti della pittura in una luce completamente nuova. Il ritorno della celebre Vergine del Cancelliere Rolin di Jan van Eyck negli spazi del museo parigino dopo un lungo e minuzioso restauro rappresenta, in effetti, una triplice novità. 

La prima è frutto di una museografia intelligente e ricostruisce in modo comparatistico un contesto iconico-semantico che collega il dipinto con alcune opere particolarmente rilevanti di Van Eyck e di altri artisti coevi. Svariate miniature presenti nei libri d’ore esposti (compreso quella, eccezionale, del Libro d’ore di Torino-Milano con un formidabile battesimo di Cristo della mano dello stesso Van Eyck) fanno capire come un simile dipinto possa essere interpretato quale notevole amplificazione di ciò che, in un primo tempo, era sviluppato nello spazio sperimentale della singola pagina di un libro d’ore. Poiché il Cancelliere basa, per così dire, la sua visione del mondo sul libro che ha davanti a sé, il quadro può essere compreso come la memoria del lavorio artistico svolto all’interno del libro d’ore che conobbe una formidabile fortuna nel Quattrocento. 

La seconda novità riguarda l’accessibilità al quadro stesso. Lo stato attuale permette di osservarla in modo tanto dettagliato da ripristinarne lo stato originale, cosa essenziale in un dipinto che, in una delle sue parti, esibisce la ricchezza visiva dello spettacolo mondano. La supremazia centripeta della Vergine, che occupa giocoforza il primo piano, si misura ora con la varietà centrifugale di dettagli millimetrici, iscrivendosi in un elogio della visibilità del mondo profano.

La terza novità – gigantesca e sconvolgente – è quella del retro dell’opera. Girando intorno all’oggetto, che si rivela doppio, bicefalo, e non più come una monade, si scopre una realtà per la quale mancano le parole. Si è sorpresi da una pittura astratta che fa apparire Van Eyck come un fratello maggiore di Jackson Pollock, un denso magma verdegiallo, qualcosa fra la visione cosmica e la carta marmorizzata. L’insieme (difficilmente caratterizzabile) sembra carico di energia e materico come alcuni quadri tardivi di Claude Monet. Priva di segni semantici, la superficie del retro-dipinto, pesantemente impastata, dà una impressione di pienezza. Non ornamentale e non narrativo, e forse anche funzionando senza rappresentare alcunché, il retro del dipinto provoca nello spettatore una riflessione su ciò che sta vedendo. Dire in questo caso che non vediamo “niente”, sarebbe comunque sbagliato, dato che vediamo (e anche bene) esattamente ciò che si impone alla vista senza però poter stabilizzare in alcun modo quell’impressione. Una risposta possibile è che non vediamo altro che pigmenti disposti su di un supporto, e questo è già di per sé interessante, poiché, a ben pensarci, anche dall’altro lato, sul celebre verso, vi è un mero strato di pigmenti disposti dall’artista.  

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Confrontati con questo oggetto a due facce e più che sbalorditi da ciò che il lato nascosto dell’opera ha rivelato – cioè il fatto di non rivelare nulla in senso tradizionale – dobbiamo però tornare al lato ‘conosciuto’ della Vergine del Cancelliere Rolin. Il retro ci fa pensare che il tema principale della composizione frontale è proprio quello del vedere. La Vergine del Cancelliere Rolin è un vero e proprio teatro scopico: c’è, innanzitutto, ciò che vede Rolin, cioè la Vergine, Gesù e l’angelo. C’è poi, diametralmente opposto e appartenente a un’altra sfera, una terrazza che si affaccia sul mondo. Su quella piattaforma due figure minute stanno guardando: la figura a sinistra sembra dirigere lo sguardo dall’alto in basso, osservata a sua volta dalla figura con il turbante rosso. In quanto osservatori potenziali (soggetti prospettici) del mondo, o meglio di ciò che solo molto più tardi verrà identificato come un paesaggio, i due omini rappresentano un particolare modo di vedere. Seguendo un dualismo radicale, la visione del Cancelliere all’interno dell’edificio sacro e la percezione del mondo resa possibile da un punto di vista altolocato indicano due vie diverse: la prima, tradizionale se non addirittura obbligatoria, è quella della visione religiosa, cioè della traduzione del verbo (il Rolin idealizzato si lascia guidare dal libro sacro), l’altra, invece, è quella del desiderio peccaminoso di voler a tutti i costi conoscere il mondo, la concupiscentia oculorum di petrarchesca memoria. 

A questo aspetto di far vedere il vedere, già di per sé significativo (il quadro potrebbe infatti essere chiamato, riprendendo un titolo famoso di John Berger, Ways of Seeing), si aggiunge il fatto, e anche questo era una novità, che intorno al 1430 Van Eyck utilizzi già con maestria la prospettiva centrale. In una composizione che tratta, come si è detto, del vedere, la percezione di noi spettatori viene sapientemente condizionata da ciò che sarà definito alcuni decenni più tardi una “costruzione legittima”. Il triangolo prospettico iscritto nella totalità del dipinto ci spinge “fuori”, invitandoci a contemplare quel mondo variegato e affascinante che si nota dalla piattaforma posta a metà strada fra l’edificio (chiuso, sacro, protettivo: la sfera imposta dalla tradizione cosmologica) e un territorio che va dall’urbano fino all’orizzonte occupato da una catena di montagne. 

Questi aspetti (di per sé importanti ma conosciuti) richiedono però una considerazione ulteriore alla luce di ciò che si vede e non si vede sul retro del quadro. Ambedue i lati sono, in realtà, come già osservato, un insieme di macchie colorate, di materia chimica disposta sul supporto. In un caso, sul verso, tutto è zeppo di segni, mentre nell’altro caso, sul retro, tutto sembra privo di significato. Nel primo caso, quello che abbiamo guardato e ammirato da sempre, il tema è sì il vedere, ma anche il non saper vedere, una posizione incarnata dalle due figure piccole, incomplete, perse nella contemplazione prosaica del mondo. (Si tratta, ancora più in generale, del problema centrale della pittura tout court, ovvero la facoltà di rendere visibile, il “Sichtbarmachen” di Paul Klee.) 

Il Cancelliere (e noi grazie a lui) vede ciò che conta, almeno è questo quanto pensavamo fino a che “dietro il paesaggio” (per citare Zanzotto) che conoscevamo appare un altro dipinto che a sua volta esige una interrogazione più approfondita della visibilità iconica. Il Cancelliere vede qualcosa che non si può vedere, ma solo immaginare, qualcosa che rappresenta o la traduzione della parola sacra in immagine oppure che diventa epifanicamente visibile per grazia divina? Ciò avviene grazie al talento dell’autore stesso (di cui illustra pure la hybris), che si serve del personaggio con il turbante rosso per rappresentare se stesso e sorridere dalla piattaforma? Va rivisto in questa luce anche il magnifico paesaggio. L’artista fa vedere città, campagna, foresta, campi, fiume, montagne, cioè un ritaglio di natura controllata dall’uomo, ma lo fa a mo’ di composizione additiva in un senso non realistico. Anche il paesaggio è qui il risultato di un’invenzione artistica, come nella visione che rivela le figure sacre e come – pensiamo a ciò che succede sul retro – nell’amalgama illeggibile rivelato dalla mostra parigina. È quindi la separabilità radicale imposta dall’ideologia religiosa (quella del credente esemplare versus i due perdigiorno mondani) che comincia a vacillare se le due sfere, quella della visione silenziosa e quella del rumore del mondo, iniziano a intersecarsi. 

L’essere al contempo uno e diviso si ripercuote anche nella composizione frontale. Pur costruito in modo pionieristico secondo la razionalità della prospettiva centrale, ciò che si offre alla vista attraverso l’apertura trilobata non può essere percepito da chi scopre nello stesso momento le figure in primo piano. Si vedono o le figure sacre con Rolin, quasi da una posizione di sotto in su, oppure si vede il paesaggio, ma per farlo bisognerebbe occupare un posto simile a quello delle due figure minute e affrontare il mondo in vis-à-vis. Eppure, Van Eyck mette insieme tutto ciò, per poi aggiungere sul retro l’altro dipinto che complica la situazione, e bisogna ripartire da zero…

Le foto sono di Pino Musi. Copyright dell’autore

Revoir Van Eyck. La Vergine del Cancelliere Rolin, Salle de la Chapelle, Musée du Louvre
Dal 20 marzo al 17 giugno 2024.

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