«Hard Rain Falling», recensione del romanzo di Don Carpenter

Il sapore della vita ai margini

«Hard Rain Falling» di Don Carpenter

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«Hard Rain Falling» recensione libro Don Carpenter

Per Don Carpenter, la scrittura ha sempre rappresentato uno strumento per illuminare la complessità dell’esistenza. Nel corso della sua vita, non ha raggiunto né la fama internazionale né la ricchezza ambita da molti altri scrittori: non gli è mai interessato più di tanto. La sua ambizione era rivolta altrove, verso l’indagine delle varie sfaccettature dell’esperienza umana. «Sono ateo e non vedo alcuna superstruttura morale nell’universo», commenta in un’intervista del 1975, «considero il mio lavoro ottimista nel senso che le persone, nel momento in cui scrivo di loro, vivono emozioni intense. Sono convinto che questo sia tutto ciò che c’è. Non c’è null’altro.» Hard Rain Falling, sua opera d’esordio, ne è un esempio magistrale.

Pubblicato per la prima volta nel 1966, il romanzo cattura il sapore della vita ai margini della società nel racconto della vita di due ragazzi cresciuti per strada. «Hard Rain Falling è solo un buon libro», riflette lo scrittore George Pelecanos, «potrebbe essere semplicemente il romanzo americano più importante e meno pubblicizzato degli anni ’60.» Edizioni Clichy lo riporta finalmente tra gli scaffali italiani con la nuova traduzione di Fabio Cremonesi e Micaela Uzzielli.

Lo sporco delle strade

Oregon, 1923. Il giovane cowboy Harmon Wilder incontra la fuggitiva sedicenne Annemarie Levitt e la mette incinta. Non molto tempo dopo, lui viene preso a calci in testa da cavallo e lei mette fine alla sua vita con un fucile calibro 10. Nel 1947, il loro figlio dimenticato Jack Levitt, abbandonato in orfanotrofio e cresciuto all’odio per le istituzioni, decide di scappare. Nella strade di Portland diventa un piccolo criminale: gironzola tra le sale da biliardo e squallidi motel, nel tentativo di guadagnarsi da vivere con lavoretti occasionali o furti.

Voleva dei soldi. Voleva un pezzo di culo. Voleva una cena importante, con tutti i fiocchi. Voleva una bottiglia di whisky. Voleva un’auto con la quale potesse guidare a cento miglia all’ora… Voleva dei vestiti nuovi e delle scarpe da trenta dollari. Voleva una calibro 45 automatica. Voleva un giradischi nella grande stanza d’albergo che desiderava, così da potersi sdraiare a letto con il whisky e il pezzo di culo e ascoltare How High the Moon e Artistry Jumps… E sapeva che ogni suo desiderio poteva essere soddisfatto con il denaro. Quindi quello che voleva veramente erano tanti soldi.

Tra i tavoli da biliardo incontra Billy Lancing, un adolescente nero fuggiasco come lui, giocatore di biliardo geniale. Le loro strade si dividono quando Jack viene spedito in riformatorio. Lì, rinchiuso nell’oscurità soffocante dell’isolamento e costretto ad ingurgitare il sapone in polvere, perde ogni senso del tempo e di sé stesso.

Gli venne in mente che, dopo essere stato nell’oscurità senza fine, al di là di ogni questione di tempo, sarebbe morto lì, semplicemente morto di immensa solitudine, e che quando sarebbe morto nessuno ne avrebbe saputo nulla per giorni, e quando finalmente lo fecero se lo avessero scoperto, avrebbero aperto la porta, rimosso il suo corpo, messo in una bara di legno e seppellito da qualche parte, senza alcuna indicazione, e avrebbero messo agli atti che il suo caso era chiuso e che Jack Levitt non era più un problema amministrativo.

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La connessione

Sopravvissuto al riformatorio, non passa molto tempo che inciampa ancora una volta, come sospettava sarebbe successo. Affidandosi nelle mani sbagliate e non comprendendo appieno i meccanismi di un sistema che lo ha tenuto imprigionato per tutta la vita, viene sbattuto nel carcere di San Quentin in cui il destino lo riporta al suo amico Billy, suo nuovo compagno di cella. Tra le mura della prigione, confinati ancora una volta insieme nella «gabbia sociale», percorrono fianco fianco un percorso straziante, interiore e reale, fondendosi in un’intimità bruciante e una nuda vulnerabilità.

«Dunque, amico» proseguì Billy, «so quanto molte di queste cose possano suonare cretine, giusto? Una filosofia della sala da biliardo; ma cazzo, mi sono guardato intorno e mi sono chiesto: in fondo cos’è la mia vita, e la risposta e stata semplice e veloce, la mia vita è ciò che ho, e se non ci trovo niente di importante, sono morto. Ma hai presente quelle volte in cui sei fatto e tutto ti sembra importante? Be’, mi sento così. Se quello che provo con il biliardo non è importante, io cosa cazzo sono? Così mi sono messo a pensare a delle parole per questa cosa, e l’unica che sono riuscito a trovare è stata: connessione

Le costrizioni non si limitano finiscono al carcere. La vita di Jack è un contraccolpo dopo l’altro. Nel vano tentativo di incasellare la sua esistenza in uno schema di vita ordinario, sposa Sally, ritrovandosi in un matrimonio che cerca ostinatamente di far funzionare. 

Il disordine delle vite umane

In un pomeriggio trascorso alla Powell’s Books, una catena di librerie a Portland, lo scrittore Jonathan Raymond s’imbatte in una copia Hard Rain Falling (acquista) e rimane stregato dalla tenerezza con cui viene raccontato lo sporco delle strade. «Il materiale è hardboiled», commenta, «ma sento che c’è qualcosa di veramente softboiled nella sensibilità dell’autore che ho trovato davvero vincente».

Tra le pagine del romanzo, Carpenter tratteggia con uno stile brutalmente pulito il disordine delle vite umane e il marciume dell’esistenza quotidiana. Affida ai lettori un racconto severo, pungente, intensamente vivo su «scazzottata che dura tutta la vita» con la società e con l’esistenza stessa.

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Costanza Valdina

23 anni, nata a Perugia, studia letteratura americana all’Università Ca’ Foscari di Venezia. La descrivono come un’instancabile lettrice, un’incurabile cinefila e una viaggiatrice curiosa. Negli anni si è innamorata della scrittura e del giornalismo, ispirata dall’ideale che “pensieri e parole possono cambiare il mondo.”

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