Il crocifisso e le due sculture: «Così ho restaurato le opere a Cividale» - Messaggero Veneto
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Il crocifisso e le due sculture: «Così ho restaurato le opere a Cividale»

In scena una mostra di notevole spessore scientifico curata da Luca Mor a Palazzo De Nordis, incentrata proprio sul Crocifisso cividalese e altri esempi di scultura lignea realizzati nell’area geografica pertinente al Patriarcato di Aquileia

Melania Lunazzi
2 minuti di lettura

È una delle sopravvivenze più significative di scultura monumentale di epoca romanica in Italia e si può ammirare in tutta la sua bellezza nella navata di sinistra del Duomo di Cividale: ci riferiamo al gigantesco Crocifisso in legno di tiglio dorato e dipinto, scolpito nel primo decennio del XIII secolo da un affascinante e misterioso “Maestro di cultura sveva”.

Una straordinaria scultura alta due metri e cinquanta, che fu protagonista nel 2014, nella stessa cittadina, di una mostra di notevole spessore scientifico curata da Luca Mor a Palazzo De Nordis, incentrata proprio sul Crocifisso cividalese e altri esempi di scultura lignea realizzati nell’area geografica pertinente al Patriarcato di Aquileia.

I sei anni di restauro a cui era stato sottoposto il grandioso Crocifisso nei laboratori della Soprintendenza di Udine lo avevano “liberato” definitivamente dal camuffamento con cui era stato imbarocchito nel Settecento secondo il gusto dell’epoca, e ciò permise al pubblico e agli studiosi di leggerlo finalmente nella purezza delle sue forme originarie. Il crocifisso era rimasto per secoli dimenticato “sottoterra” nella cripta del Duomo, lì “nascosto, forse dai fedeli, per sottrarlo al furore degli Iconoclasti”, come documenta una fonte ottocentesca.

Durante la mostra, che fu una straordinaria occasione di riflessione su pezzi di rara bellezza, vennero esposte, a fianco del Cristo sofferente, due sculture di Dolenti, Maria e Giovanni Evangelista, coeve come stile e conservate nei depositi del Museo Archeologico Nazionale: quelle sculture provenivano dal Tempietto Longobardo, dove erano state impropriamente collocate fin dal Settecento, e a Palazzo De Nordis gli studiosi ebbero l’opportunità di fare importanti confronti di stile.

L’eccitante ipotesi emersa durante la mostra, allora suffragata solo dall’occhio esperto del connosseur, ovvero dagli studiosi specializzati in scultura medievale, era quella che i Dolenti, benché nessuna fonte lo documentasse, fossero nati assieme al Cristo monumentale formando un unico, rarissimo, gruppo scultoreo, dunque una Crocifissione tout court creata dalla mano di un solo artista. Un gruppo di simile valore e bellezza, di epoca romanica, sopravvissuto al cambiamento di gusto dei secoli, esiste solo nella Collegiata di San Candido, in Pusteria.

A confermare l’ipotesi della triade fu il restauro dei due Dolenti, concluso quattro anni dopo dallo stesso restauratore del Crocifisso, Angelo Pizzolongo. Maria e Giovanni furono liberati da ingessature e ridipinture posteriori, che avevano avuto, sì, lo scopo di riparare i danni del degrado e dei parassiti, ma che avevano celato importanti informazioni, specialmente sui volti: la rimozione delle superfetazioni riportò alla luce la linea originaria degli occhi, che nel restauro settecentesco era stata ribassata “all’egizia” e il rilievo del muscolo procero sulla fronte, aggrottata in segno di dolore allo stesso modo di quella del Cristo in croce. Entrambi segni di stile inequivocabili, assieme ad una miriade di altri elementi probatori svelati dal restauro, di appartenenza ad un’unica mano ed epoca. L’entusiasmo della scoperta portò tutti gli enti coinvolti - il Comune di Cividale, la Parrocchia, la Curia e la Soprintendenza - a concordare nel 2018 un ricongiungimento delle tre sculture in Duomo.

A tale scopo Angelo Pizzolongo realizzò due piedistalli, già installati ai lati del Cristo, per posizionare Maria e Giovanni alla giusta altezza dopo aver ricostruito le proporzioni originarie delle sculture, che oggi sono più basse di circa trenta centimetri dopo gli adattamenti subiti nei secoli.

«Quei due piedistalli sono ancora, dopo sei anni di attesa – così segnala Pizzolongo - vuoti”, come due orbite prive di occhi». I Dolenti giacciono ancora chiusi nei depositi del Museo Archeologico, lontani dall’apprezzamento di tutti, ma a cinquanta metri lineari di distanza dal Duomo.

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