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Dalla colpa alla moglie che nasconde di non essere illibata alla fedigrafa da mantenere

Nei verdetti della Suprema corte lo specchio dei cambiamenti sociali

di Patrizia Maciocchi

Divorzio

4' di lettura

“Il celamento del difetto di verginità da parte della sposa, costituisce normalmente un'ingiuria grave nei confronti del marito.” Con queste motivazioni la Cassazione (sentenza 2007/1973) cinquantuno anni fa, accoglieva il ricorso di uno sposo che chiedeva di addossare la colpa della separazione alla moglie, rea di avergli nascosto di essere arrivata all'altare non illibata.

L'addebito per la fine dell'unione

Oggi le cose sono cambiate. Per l'addebito non basta neppure l'infedeltà, sia dell'uomo sia della donna.

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Anche quando si tratta di tradimenti, infatti, la Suprema corte salva spesso dall'addebito, il fedigrafo o la fedigrafa, se gli amanti si sono inseriti in un rapporto che era già arrivato al capolinea. Portare ai giudici le prove che la relazione extraconiugale era iniziata quando la comunione spirituale e fisica con il legittimo marito o la legittima moglie era già in crisi, consente al traditore di prendere il largo in maniera soft. (Cassazione 15196/2023) Va ricordato che l'addebito ha conseguenze piuttosto pesanti sul piano economico perché cancella, di norma, il diritto al mantenimento e alla successione.

Un rischio che si può correre anche con l'infedeltà “virtuale”, data per presunta per il marito che naviga sui siti web, alla ricerca di compagnia, magari fingendosi anche single. Poi che il tradimento sia consumato o meno non importa, perché viene lesa la dignità della donna. (Cassazione, ordinanza 9384/2018).

Convivenza di fatto e assegno

Trovare il giusto equilibrio nei rapporti di coppia non è semplice neppure per la Suprema corte. La Cassazione si è divisa, ad esempio, sulle conseguenze di una nuova convivenza di fatto, ai fini del mantenimento. La sentenza 22604/2020 è stata accolta con gioia dagli uomini, tanto da essere ribattezzata “legge Salva Mariti”, per aver affermato la fine del diritto all'assegno divorzile per l'ex moglie che aveva instaurato una convivenza stabile e duratura con un altro uomo. Neppure il tempo di cantare vittoria che la Cassazione gela gli entusiasmi degli ex, visto che di solito sono le donne ad “incassare”, chiarendo che il contributo all'ex moglie è comunque dovuto se il nuovo compagno, non è proprio il principe azzurro: va forte nella dichiarazione d'amore ma zoppica su quella dei redditi. E lei da sola non ce la fa perché invalida. (Cassazione sentenza 15241/2022). Per quanto riguarda la perdita irreversibile del diritto all'assegno in caso di nuova convivenza more uxorio, la Suprema corte (sentenza 32871/2018) aveva affermato che con un nuovo nucleo familiare stabile sfumava per sempre il diritto al mantenimento. L'assegno è dunque perso anche se la nuova storia finisce. La soluzione era dunque scegliere la via dei flirt, tenendosi alla larga da chi ha intenzioni serie. A mettere il punto è arrivato il verdetto delle Sezioni unite (sentenza 32198/2021). Il Supremo consesso ha stabilito che la nuova famiglia di fatto non esclude il diritto all'assegno di divorzio per il coniuge economicamente più debole e privo di mezzi adeguati, cancellando così qualunque automatismo. I giudici chiariscono che il nuovo percorso di vita intrapreso con una terza persona, che sia accertato giudizialmente, incide sì sul diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio, sulla sua revisione o sulla sua quantificazione, ma non ne determina necessariamente la perdita integrale, c'è, infatti la possibilità di conservarlo in funzione compensativa.

Il tenore di vita va in soffitta

Storica ormai la decisione, presa sempre a Sezioni unite, con la quale i giudici hanno dato una delusione a chi si era sempre tenuto lontano dallo slogan “due cuori una capanna”, optando per soluzioni più spaziose, possibilmente da mantenere anche quando i cuori diventano tre. Con la sentenza 18287/2018, i giudici superano definitivamente il parametro del tenore di vita nella determinazione dell'assegno di divorzio, confermandone la finalità assistenziale e perequativa. Non vale più il conto in banca dell'ex, ma pesano le condizioni dei coniugi, le ragioni del divorzio, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla vita familiare, alla formazione del patrimonio condiviso e il reddito di entrambi. Fondamentale è valutare se la disparità economica tra gli ex coniugi dipende dalle scelte fatte durante il matrimonio, come nel caso di sacrifici professionali fatti in nome della famiglia.

Le condizioni per il mantenimento

Sacrifici che hanno il loro valore anche se fatti prima delle nozze. Con la sentenza 35385/2023 la Cassazione, ha stabilito che il giudice nel decidere sul diritto all'assegno di divorzio e nel quantificarlo deve tenere conto anche della convivenza prima del sì. Una decisione che tiene conto di un cambiamento dei costumi e registra l'esistenza di un fenomeno sempre più diffuso, ignorato invece dalla legge sul divorzio, n. 898 del 1970, promulgata in anni in cui la convivenza prematrimoniale era rara. Oggi se ne occupano le sezioni unite della Cassazione nella consapevolezza, scrivono i giudici, che «la convivenza prematrimoniale è ormai un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento – nei dati statistici e nella percezione delle persone – dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali».

Il divorzio istantaneo

Sempre alla Suprema corte si deve la sentenza sul divorzio istantaneo (Cassazione 28727/2023). Gli ermellini hanno dato ragione ai tribunali italiani che hanno aperto alla possibilità per i coniugi di depositare un solo atto con una domanda congiunta di separazione e scioglimento degli effetti civili del matrimonio. Un via libera al divorzio istantaneo senza attendere i sei mesi previsti dal divorzio breve.

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