Eni S.p.A.: Domande e risposte prima dell’Assemblea 2024 - MoneyController - (ID 2166503)

12/05/2024 - Eni S.p.A.: Domande e risposte prima dell’Assemblea 2024

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Domande e risposte prima dell’assemblea 2024

Assemblea Ordinaria e Straordinaria di Eni SpA

15 maggio 2024

Risposte a domande pervenute prima dell'Assemblea ai sensi dell'art. 127-ter del d.lgs. n. 58/1998

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Assemblea Ordinaria e Straordinaria di Eni SpA | 15 maggio 2024

Assemblea Ordinaria e Straordinaria di Eni SpA 15 maggio 2024 Risposte a domande pervenute prima dell'Assemblea

ai sensi dell'art. 127-ter del d.lgs. n. 58/1998

BAVA MARCO

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TITOLARE DI 1 AZIONE

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FONDAZIONE FINANZA ETICA

50

TITOLARE DI 80 AZIONI

50

RECOMMON APS

89

TITOLARE DI 5 AZIONI

89

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Azionista

Bava Marco

Titolare di 1 azione

1. Avete richiesto Voi l'art.11 del disegno di legge sulla competitività dei capitali (674-B) proposto da un governo che pare si ispiri all'epoca fascista, sfociato nel delitto Matteotti , che viola gli art.3-21-47 della Costituzione, che NEGANDO la libertà di discussione in assemblea, e che è stato approvato definitivamente dal Senato il 28 febbraio 2024, stabilendo la proroga delle stesse disposizioni originariamente previste per lo svolgimento dell'assemblea dall'art. 106 del Decreto Cura Italia al 31 dicembre 2024 (cfr. articolo 11, comma 2) ? Se no perché lo applicate?

Risposta

La Società non ha richiesto l'art. 11 del disegno di legge cd. Capitali. Con riferimento all'Assemblea 2024, la Società ha ritenuto di avvalersi di una facoltà espressamente prevista dalla legge.

2. Le pratiche aggressive delle società energetiche, con decine di migliaia di modifiche unilaterali dei contratti di fornitura di luce e gas ed aumenti vertiginosi delle bollette, nell'ultimo anno sono costate all'utenza almeno un miliardo di euro, ha stimato il Garante del mercato e della concorrenza Roberto Rustichelli nella sua relazione annuale. In tutto l'Antitrust ha avviato 11 procedimenti, denunciando pratiche scorrette: quelli che si sono chiusi con impegni hanno consentito il ripristino delle condizioni iniziali di contratto a favore di 500.000 consumatori ai quali sono stati restituiti oltre 115 milioni di euro. Le condotte oggetto di procedimenti chiusi con accertamento dell'illecito hanno invece interessato 4,5 milioni di consumatori e micro- imprese col miliardo e più di danni stimati in via prudenziale dall'Agcm. Il Garante ha infatti rilevato una serie di «condotte illegittime, che in una fase già segnata da importanti tensioni inflazionistiche, possono acuire la vulnerabilità economico finanziaria delle fasce più deboli». Sono state tantissime, infatti, le modifiche unilaterali delle condizioni economiche nei contratti di fornitura applicate nei mesi passati violando le norme. Su 11 istruttorie aperte 6 si sono concluse con un accertamento degli illeciti (e 15 milioni di euro di sanzioni) e 5 con accoglimento degli impegni. Nei confronti di Enel Energia, Eni Plenitude, Acea Energia, Dolomiti Energia, Edison Energia e Iberdrola Clienti Italia è stata accertata l'adozione di pratiche commerciali aggressive volte a condizionare i consumatori ad accettare modifiche unilaterali peggiorative dei prezzi di luce e gas. In particolare, è risultato che Enel Energia e Eni Plenitude hanno modificato unilateralmente i prezzi, sfruttando la clausola contrattuale secondo la quale, dopo la scadenza dell'offerta, avevano la facoltà di prorogare le tariffe «fino a nuova comunicazione». Come avete risarcito gli utenti danneggiati?

Risposta

In merito alle asserite pratiche commerciali scorrette in materia di variazione unilaterali delle condizioni economiche di fornitura nel periodo di vigenza dell'art. 3 del Decreto Aiuti bis, Plenitude ha provveduto al pagamento della sanzione

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amministrativa pecuniaria comminata dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ma ha contestualmente impugnato il provvedimento sanzionatorio dell'AGCM davanti ai Giudici Amministrativi poichè è convinta della correttezza e della legittimità del proprio operato.

3. L'Eni negli Stati Uniti a inizio 2030 prevede di realizzare la prima centrale nucleare a fusione. Un annuncio che è giunto da Francesca Ferrazza, responsabile dell'unità dedicata, durante un'audizione alla commissione Ambiente del Senato. Il percorso è chiaro. Eni sta partecipando negli Stati Uniti al progetto Commonwealth Fusion System (Cfs), spin-off del Mit di Boston, con la tecnica del confinamento magnetico. Il gruppo italiano prevede di contribuire a realizzare nel 2025 il primo impianto pilota Cfs-Sparc mentre per il 2030 è invece stimato al via il primo impianto industriale collegato alla rete, il Cfs-Arc, e nella seconda metà del prossimo decennio giungeranno le nuove centrali. Ferrazza ha spiegato che nel mondo ci sono 140 macchine sperimentali per la fusione, di queste 3/4 sono pubbliche e per 1/4 private. Esiste una Fusion industry association, con 80 membri, 43 dei quali industrie private. Gli investimenti mobilitati nel comparto sono al momento pari a oltre 6 miliardi di dollari. Quanti saranno investiti da ENI?

Risposta

Gli investimenti Eni nel settore della fusione saranno valutati in base alla maturità della tecnologia e all'avanzamento dei progetti verso il conseguimento delle milestone tecnologiche previste da Eni e dai partner in questo ambito.

4. La vendita dell'agenzia di stampa Agi sarà messa a bando di gara da Eni. La protesta dei giornalisti contro l'acquisizione da parte del gruppo Angelucci, proprietario di Libero, Il Tempo e Il Giornale ha portato alla decisione di seguire un percorso più trasparente da parte della partecipata di Stato. Angelucci è in conflitto di interesse perché parlamentare della Lega. Ed è leghista il ministro dell'Economia Giorgetti, che durante il question time la settimana scorsa aveva chiesto «la massimizzazione del profitto economico in caso di un'eventuale alienazione» dell'agenzia di stampa per soddisfare «i requisiti di trasparenza, competitività e garanzia dei livelli occupazionali». Se Antonio Angelucci comprerà l'Agi non si prenderà solo la seconda agenzia italiana, di proprietà dell'Eni, controllata dal ministero dell'Economia. L'imprenditore e deputato della Lega, dal governo di destra che lui sostiene in Parlamento e attraverso i suoi giornali, non acquisirà solo le strutture, i giornalisti, le competenze. Ma anche gli abbonati, i clienti, le cosiddette provvidenze. Una dote ricchissima che solo sul piano delle finanze pubbliche vale circa 15 milioni di euro. Vediamo perché. Angelucci ed Eni sono ormai alle fasi finali della due diligence. Stando alle cifre che circolano da giorni, e che trovano conferma da fonti vicine ad Angelucci, i suoi emissari avrebbero trovato una bella sorpresa nei bilanci dell'Agi. Circa 5 milioni di euro verrebbero garantiti dal bando di governo previsto per le agenzie, così suddivisi: poco più di 3 milioni di euro dalla presidenza del Consiglio, e 1,5 milioni di euro dal ministero degli Esteri. A questi vanno aggiunti poco meno di 10 milioni di euro che arrivano direttamente dalla proprietà, cioè da Eni, per la mole di servizi editoriali offerti alla multinazionale. Una clientela che, secondo gli accordi, resterebbe agganciata ad Agi anche con il passaggio ad Angelucci. Ogni calcolo va ovviamente tarato su variabili di imprevedibilità, perché non è detto che Eni, nel futuro anche più prossimo, non voglia

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diminuire le spese. Come non si sa, con il passaggio a un privato così marcato politicamente, cosa accadrà agli altri 4-5 milioni di euro che sono garantiti da contratti firmati con enti, pubblica amministrazione di livello minore e giornali (tra cui questo). Si tratta comunque di un tesoretto significativo, che rende molto appetibile l'acquisto. Tanto più se è vero, come anticipato da alcuni organi di stampa, che Eni nel pacchetto offre la certezza di 4,5 milioni di euro in tre anni di pubblicità sulle testate della galassia Angelucci. Se c'è una specialità in cui è campione l'imprenditore con un impero personale nella sanità privata è fare i giornali con i contributi pubblici. Solo Libero, il quotidiano della triade di destra che edita assieme a Il Giornale e Il Tempo, nel 2021 ha ricevuto 3,9 milioni di euro, qualcosa di meno nell'ultimo anno. Editoria di Stato, si direbbe, che con la vendita di Agi potrebbe fare un salto di livello, tornando comodo a Giorgia Meloni. Riassumendo: Eni, una multinazionale a controllo pubblico, partecipata dal Mef, si libererebbe della seconda agenzia di stampa, di sua proprietà dal 1965, per cederla a un parlamentare del centrodestra che è già padrone di una concentrazione editoriale della stessa area politica. Con un benefit ulteriore: perché riceverebbe il tutto coperto di soldi pubblici. Confermate?

Risposta

Rappresentando che la domanda non è pertinente all'ordine del giorno della Assemblea del 15 maggio p.v., rimandiamo a quanto già dichiarato sul tema dall'Amministratore Delegato lo scorso 27 aprile.

5. I certificatori di bilancio fanno anche una consulenza fiscale?

Risposta

No. Oltre alle limitazioni previste dalla normativa nazionale e statunitense ( Eni è quotata oltre che al FTSE MIB anche al NYSE) sullo svolgimento di attività su tematiche fiscali previste per le società di revisione rileva la circostanza che il Gruppo Eni, allo scopo di tutelare il requisito di indipendenza dei revisori, ha stabilito di non affidare alla società di revisione incaricata, nonché alle società del relativo network, incarichi di consulenza; sono previsti nei limiti delle previsioni delle normative applicabili incarichi per attività connesse con l'attività di revisione.

6. Un rapporto dell'associazione ambientalista europea Transport & Environment, in collaborazione con la testata panafricana The Continent, svela che gli ambiziosi piani di produzione di biocarburanti che ENI sta portando avanti in Africa non stanno per niente mantenendo le promesse. Il progetto in Kenya, inserito nel Piano Mattei, è tra i più discussi È stato esplicitamente menzionato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni nei (pochi) progetti alla base del Piano Mattei. Sarà realizzato in Kenya ed è "dedicato allo sviluppo della filiera dei biocarburanti". Se ne sta già "occupando" il nostro campione nazionale, ENI. Ma non tutto starebbe andando come previsto, a leggere il rapporto portata avanti dall'associazione ambientalista europea Transport & Environment in collaborazione con la testata panafricana The Continent. La ricerca si è basata su interviste sul campo con agricoltori e altre figure chiave sia in Kenya che nella Repubblica del Congo, altro Paese dove l'Eni è attivo nell'ambito dei biocarburanti. ENI ha promesso di creare un'intera filiera di "oli sostenibili" da colture agricole e ha strutturato accordi con sei paesi africani per sviluppare degli "agri-hub" che forniranno olio vegetale per le sue raffinerie italiane. La principale coltura su cui

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sta scommettendo, quella del ricino, è stata presentata come resistente alla siccità e adatta alla coltivazione su terreni di scarsa qualità. L'analisi dei dati in Kenya mostra che l'ENI non è riuscita a raggiungere nemmeno un quarto dei suoi obiettivi di produzione per il 2023. I dati doganali analizzati da T&E, che coprono il periodo gennaio-novembre 2023, indicano che sono state spedite dal Kenya in Italia 7.348 tonnellate di olio di ricino. Questo quantitativo si componeva di due spedizioni, una a luglio e una ad agosto 2023. Ma, stando all'agenzia di reporting dei prezzi delle materie prime Argus, nessuna ulteriore spedizione di olio di ricino è stata effettuata, tra settembre e novembre 2023; il che suggerisce che Eni avrebbe esportato appena il 24,5% delle 30mila tonnellate l'anno pianificate, cioè meno di un quarto del suo obiettivo iniziale fissato per il 2023, così come indicato nel suo paper "Seeds for Energy". Quello stesso obiettivo è stato successivamente rivisto al ribasso (20 mila tonnellate) nel report annuale dell'azienda del 2022. In risposta alle domande poste dal team investigativo di Transport & Environment, ENI ha rifiutato di fornire cifre sui volumi di produzione spediti dal Kenya in Italia nel 2023. Raggiungere l'obiettivo prefissato dalla multinazionale italiana di 200mila tonnellate entro il 2026 - così come pianificato dall'azienda - renderebbe necessario un aumento della produzione di 27 volte quella dello scorso anno. Le testimonianze degli agricoltori e delle cooperative keniote, raccolte da T&E, mostrano come questi non avrebbero ricevuto un supporto adeguato da parte di Eni e dei suoi agenti e come la peggiore siccità degli ultimi quarant'anni abbia gravemente colpito i raccolti. I contratti di cui T&E è entrata in possesso mostrano anche che un raccolto di 10 chili di semi di ricino sgusciati arriverebbe a fruttare agli agricoltori keniani meno di 1,50 €. Ma sono pochi gli agricoltori incontrati da T&E che sono riusciti a produrre questa pur modesta quantità di semi nel 2023. Nell'altro Paese in cui è attiva e che è finito sotto la lente dei ricercatori di T&E, la Repubblica del Congo, ENI sta adottando un approccio diverso rispetto al Kenya. Invece di fare affidamento sull'agricoltura su piccola scala, il gigante petrolifero sta collaborando con grandi aziende agricole. Tuttavia, le difficoltà incontrate nell'adattare le varietà di semi alle condizioni locali starebbero rallentando i progetti. Le produzioni commerciali successive allo stadio pilota devono ancora partire; nel mentre, gli agricoltori locali in due dei siti pilota di Eni in Congo affermano anche che le terre tradizionalmente coltivabili sono state espropriate dal governo a favore delleaziende agricole con cui la multinazionale italiana sta lavorando, Agri Resources e Tolona,mettendo in dubbio i benefici per la popolazione locale. Nonostante queste notizie così poco confortanti, la International Finance Corporation (IFC), il ramo della Banca mondiale che finanzia i soggetti privati, sta considerando di concedere un prestito di 210 milioni di dollari a ENI per sviluppare ulteriori agri-hub in Kenya. È stato concesso?

Risposta

L'accordo con IFC sarà siglato nelle prossime settimane.

Relativamente al feedstock per alimentare le bio-raffinerie Eni ha sviluppato un modello distintivo di integrazione verticale per la produzione di olio vegetale a partire da coltivazioni su terreni degradati e in rotazione, e dalla valorizzazione di scarti agricoli, industriali e forestali. L'estrazione dell'olio vegetale dalle materie prime avviene negli impianti industriali realizzati da Eni (Agri Hub) o utilizzando quelli di terzi, a seconda della disponibilità e della maturità industriale del paese.

Il modello di business distintivo di Eni Agri è diversificato per area geografica e materie

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prime.

Le filiere per la produzione di olio vegetale sono certificate secondo lo schema europeo di sostenibilità ISCC-EU (International Sustainability and Carbon Certification), legato a rigorosi standard ambientali, sociali e di tracciabilità.

Nel 2023, il target di produzione Eni è stato pienamente raggiunto con un volume superiore alle 40 mila tonnellate rispetto alle 2,5 mila tonnellate del 2022.

L'olio vegetale è stato prodotto da 8 Paesi e da una selezione di oltre dieci differenti materie prime, che variano dal ricino coltivato su terreni degradati e in rotazione, alle biomasse ottenute dalla valorizzazione di scarti agricoli.

Ad oggi sono state consegnate più di 19 mila tonnellate di olio vegetale certificato proveniente dal Kenya, Vietnam e Italia. Le restanti 22 mila tonnellate si prevede vengano inviate alle bio-raffinerie Eni entro il secondo trimestre del 2024, secondo la programmazione legata alle le spedizioni internazionali e allo stoccaggio presso gli impianti di bio-raffinazione.

L'attuale profilo di produzione conferma il target di circa 700 mila tonnellate di olio vegetale al 2027.

6.3 Il 29 ottobre 2023, a tre settimane dall'inizio della nuova operazione militare di Israele contro Gaza -a seguito degli attacchi di Hamas del 7 ottobre-, il ministero dell'Energia di Tel Aviv ha concesso varie licenze per l'esplorazione di giacimenti di gas nelle acque antistanti la Striscia. Tra i beneficiari figurano l'inglese Dana petroleum (una filiale della South Korean national petroleum company), l'israeliana Ratio petroleum ed Eni. Un provvedimento controverso, cui ha fatto seguito nei primi giorni di febbraio una diffida recapitata alle tre società da parte dello studio legale statunitense Foley Hoag per conto di alcune organizzazioni umanitarie (Al-Haq, Al Mezan center for ruman rights e Palestine center for human rights) in cui si chiede di "desistere dall'intraprendere qualsiasi attività nelle aree della 'Zona G' che ricadono nelle aree marittime dello Stato di Palestina". Sottolineando che tali attività costituirebbero una flagrante violazione del diritto internazionale. La notizia ha avuto una discreta eco nel nostro Paese. All'interrogazione parlamentare presentata dal deputato Angelo Bonelli dell'Alleanza Verdi Sinistra, il ministero degli Esteri Antonio Tajani ha risposto affermando che "da quanto riferisce Eni il contratto è ancora in via di finalizzazione e il consorzio non ha titolarità sull'area, né sono in corso operazioni che avrebbero comunque natura esplorativa. Non è al momento in corso alcuno sfruttamento di risorse". Insomma, per ora è tutto fermo, probabilmente in attesa di "tempi migliori", ma ciò non toglie che le grandi manovre sul gas tra governo di Israele ed Eni siano effettivamente in corso. E rappresentano un'ulteriore conferma di come l'Eni stia rafforzando la propria posizione nel Mediterraneo, area storicamente molto rilevante. Dal 2015, in particolare, Eni è molto attiva nel quadrante orientale del "Mare Nostrum" con la scoperta e il successivo avvio delle attività estrattive (nel 2017) del giacimento di Zohr -considerato la più grande riserva di gas "naturale" del Mediterraneo, con riserve stimate in 850 miliardi di metri cubi- all'interno della Zona economica esclusiva (Zee) dell'Egitto. A questo si sono poi aggiunte varie assegnazioni per l'esplorazione nelle altre Zee cipriote e libanesi, fino a quelle recenti assegnate da Israele. Per comprendere meglio il contesto, va evidenziato come, negli ultimi due anni, l'Egitto sia stato il Paese chiave per l'esportazione di gas israeliano verso l'Europa. Nel giugno 2022, l'Unione europea ha siglato un accordo trilaterale orientato alla sicurezza energetica con Egitto e Israele. Accordo di cui Eni ha beneficiato grazie

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proprio terminal egiziano (Damietta Lng): l'infrastruttura era rimasta ferma dal 2012 fino a febbraio 2021 per un contenzioso tra Eni e la società spagnola Union Fenosa Gas. Ma anche negli anni successivi era rimasto sottoutilizzato fino allo scoppio della guerra in Ucraina. Anche Snam, altro grande player dell'industria fossile italiana, ha tratto un grosso vantaggio economico dall'intesa: è infatti azionista del gasdotto al Arish- Askhelon che permette di esportare il gas estratto nei giacimenti sottomarini verso l'Egitto. Gli ultimi incontri tra i vertici del governo italiano con quelli israeliani hanno "agevolato" la presenza di Eni. Il primo meeting ufficiale si è svolto a marzo 2023, in quell'occasione Benjamin Netanyahu ha portato a casa un'importante intesa commerciale con Leonardo per lo sviluppo di un nuovo sistema laser ed è stata occasione per iniziare a discutere di una possibile collaborazione con Eni. Ma è nel corso dell'ultimo incontro, datato fine ottobre 2023, quindi già in pieno conflitto, che il ministro dell'Energia di Netanyahu ha concesso le tanto contestate licenze. I giacimenti, infatti, si trovano in acqua profonde all'interno dei confini marittimi dichiarati dallo Stato palestinese nel 2019 in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) del 1982 firmata dalla Palestina nel 2015. Più precisamente, lo studio legale Foley Hoag sostiene che il 62% della cosiddetta "Zona G" sia di competenza palestinese. Da qui la richiesta a Eni di di fermare qualunque attività nell'area per evitare la possibile complicità in violazione di normative internazionali. Se l'attività di esplorazione dovesse dare i frutti sperati, ENI potrebbe richiedere delle licenze di estrazione. Con un ulteriore effetto paradossale: dovrebbe pagare le royalties per l'estrazione di gas allo Stato con cui ha siglato un accordo commerciale (Israele), ignorando però completamente il secondo interlocutore: l'Autorità nazionale palestinese che, in base a quanto previsto dagli Accordi di Oslo, è competente anche sul territorio della Striscia di Gaza. Non lo trovate illegale?

Risposta

Nel dicembre 2022 il Ministero dell'Energia Israeliano ha avviato il Quarto Offshore Bid Round (OBR4) per l'assegnazione di licenze esplorative a mare, con possibilità di inviare le offerte fino al 16 luglio 2023.

Eni con i partner del suo consorzio ha partecipato alla gara competitiva internazionale presentando l'offerta nei termini indicati. L'annuncio dell'aggiudicazione è avvenuto il 29 ottobre 2023, e ad oggi nessuna licenza è stata ancora emessa e quindi nessuna attività è in corso di svolgimento nell'area.

Eni opera sempre nel rispetto di tutte le normative applicabili, locali ed internazionali, nonché delle best practice dell'industria a livello globale.

6.4 La responsabilità di ENI sulla crisi climatica è oramai conclamata. ENI infatti è responsabile a livello globale di un volume di emissioni di gas serra superiore a quello dell'intera Italia, essendo così uno dei principali artefici del cambiamento climatico in atto. ENI e le altre compagnie petrolifere sono consapevoli da oltre cinquant'anni dell'impatto che le loro attività hanno sul clima, tanto da mettere in atto strategie di lobby e di greenwashing per mascherare le proprie responsabilità. La prima climate litigation in Italia contro ENI Le climate litigation sono azioni legali avviate con lo scopo di imporre a governi o aziende il rispetto di determinati standard in materia di limitazione del riscaldamento globale. Gli impatti universalmente riconosciuti del cambiamento climatico interessano alcuni dei diritti individuali come i diritti alla vita,

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al cibo, all'acqua, ai servizi igienici e alla salute. La responsabilità di ENI sui cambiamenti climatici emerge con tutta evidenza. Le condotte che causano il cambiamento climatico, violano diritti umani tutelati e protetti sia dalla Costituzione italiana sia, attraverso quest'ultima, da norme internazionali e accordi vincolanti per gli Stati e per le aziende. La violazione di queste norme comporta la commissione di condotte illecite che trovano tutela attraverso gli articoli 2043 e seguenti del codice civile con la necessità di un intervento sia risarcitorio in forma specifica che inibitorio, dal momento che l'aumento di temperatura del pianeta, che già oggi è in aumento, lo sarà sempre di più se non verranno rispettati gli obiettivi stabiliti nella Conferenza di Parigi. Tramite questa causa civile, di Greenpeace Italia e ReCommon, insieme a privati cittadini e cittadine, tutte persone che direttamente subiscono e temono di subire in futuro le conseguenze dell'aggravarsi della crisi climatica a causa della condotta della multinazionale petrolifera italiana, chiedono di accertare e dichiarare che ENI SPA, il Ministero dell'Economia e delle Finanze e Cassa depositi e prestiti SPA sono responsabili nei confronti dei cittadini italiani per danni alla salute, all'incolumità e alle proprietà, nonché per aver messo, e aver continuato a mettere, in pericolo gli stessi beni per effetto delle conseguenze del cambiamento climatico. Un fenomeno che queste realtà hanno contribuito a provocare a causa delle emissioni in atmosfera di gas serra, e in particolare CO2, derivanti dalle attività industriali, commerciali e dei prodotti per il trasporto di energia venduti da ENI, il tutto oltre i limiti internazionalmente riconosciuti e accettati dalla stessa compagnia. Greenpeace Italia e ReCommon, insieme a privati cittadini e cittadine in questa causa in ogni caso non chiedono una quantificazione dei danni patrimoniali e non, ma solo un accertamento delle responsabilità dei convenuti per i danni provocati. Allo stesso tempo chiedono la condanna di ENI a rivedere la sua strategia industriale per ridurre le emissioni di gas climalteranti del 45 per cento al 2030 rispetto ai livelli del 2020, in linea con l'Accordo di Parigi, e la condanna del Ministero dell'Economia e delle Finanze, azionista influente di Eni, ad adottare una politica climatica che guidi la sua partecipazione nella società sempre attenendosi alle disposizioni dell'Accordo di Parigi. «ENI conosceva gli effetti delle fonti fossili sul clima fin dagli anni Settanta», svela ricerca di Greenpeace Italia e ReCommon - In diverse sue pubblicazioni risalenti agli anni Settanta e Ottanta, il colosso italiano ENI, all'epoca interamente controllato dallo Stato, metteva in guardia sui possibili impatti distruttivi sul clima del pianeta derivanti dalla combustione delle fonti fossili. Eppure, nonostante questi ammonimenti, l'azienda ha proseguito e continua ancora oggi a investire principalmente sull'estrazione e lo sfruttamento di petrolio e gas. Inoltre sin dalla prima metà degli anni Settanta ENI ha fatto parte dell'IPIECA, un'organizzazione fondata da diverse compagnie petrolifere internazionali che, secondo recenti studi, a partire dagli anni Ottanta avrebbe consentito al gigante petrolifero statunitense Exxon di coordinare "una campagna internazionale per contestare la scienza del clima e indebolire le politiche internazionali sul clima". È quanto denuncia «ENI sapeva», il rapporto diffuso oggi da Greenpeace Italia e ReCommon e realizzato grazie a ricerche effettuate negli scorsi mesi presso biblioteche e archivi della stessa ENI o di istituzioni scientifiche come il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Lo studio, basato anche su recenti analisi simili riguardanti altre compagnie come la francese TotalEnergies, riporta inoltre i contributi di storici della scienza come Ben Franta, ricercatore senior in Climate Litigation presso l'Oxford Sustainable Law Programme, tra i maggiori esperti del tema a livello mondiale, e Christophe Bonneuil, attualmente direttore di ricerca presso il più

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Disclaimer

Eni S.p.A. ha pubblicato questo contenuto il 12 maggio 2024 ed è responsabile delle informazioni in esso contenute. Distribuito da Public, senza apportare modifiche o alterazioni, il 12 maggio 2024 07:55:13 UTC.

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