andreotti lazio

Stefano Andreotti e la Lazio, un amore a prima vista. Il secondogenito di Giulio Andreotti, classe 1952, non ha mai nascosto la sua grande passione per i colori biancocelesti, certificata da anni di abbonamento allo stadio Olimpico. Una passione sbocciata prestissimo, ad appena cinque anni, e coltivata intensamente fino ai nostri giorni quando Stefano, sciarpetta al collo, scortato dal figlio Giulio, siede in Tribuna Tevere Top, da dove assiste alle gare interne della sua Lazio. In passato ha seguito la squadra biancoceleste anche lontano da Roma. Stefano Andreotti è stato testimone di tante Lazio, dalla serie B fino ai trionfi più recenti, passando per lo storico scudetto della banda Maestrelli. 

La sua prima volta allo stadio ?

Era un Lazio - Bologna del 1958, la Lazio perdeva di misura ma una doppietta del brasiliano Humberto Tozzi, nel finale, ci consentì di battere i felsinei. Quella fu la gara che mi fece innamorare definitivamente dei colori biancocelesti, l'atmosfera dello stadio mi colpì subito, la prima tessera la feci a dodici anni, da lì non ho mai saltato un abbonamento.  Se ho preferito i colori biancocelesti a quelli giallorossi, il “merito” è anche di un mio cugino, lazialissimo, figlio del fratello di mio padre. Comunque, con papà non c’erano assolutamente problemi sotto questo aspetto, ci limitavamo solo a qualche simpatico sfottò in occasione dei derby, molti dei quali li abbiamo vissuti insieme allo stadio. Lo stadio Olimpico l'ho girato praticamente tutto, dalla Monte Mario alla Curva Nord fino alla Tribuna Tevere, mia dolce casa ormai da anni.

I ricordi più belli di tanti anni di militanza allo stadio?

Ce ne sono diversi. Su tutti, i due scudetti, specie il secondo, maturato in circostanze davvero surreali. Poi, tornando indietro, il gol allo scadere del mio idolo Re Cecconi che decise un palpitante Lazio - Milan del '74 e il 3-0 rifilato alla Juve di Zoff grazie alle prodezze di Bruno Giordano. Altre sfide epiche le ho poi vissute allo stadio Flaminio. Oltre, ovviamente, allo storico derby del 26 maggio...

Un laziale cresciuto con un padre non proprio incline ai colori biancocelesti...

Vero, papà era tifoso della Roma. Da giovanissimo abitava in centro, a due passi da Montecitorio, dove c'era una trattoria dove talvolta si fermavano a pranzo alcuni calciatori giallorossi. Papà mi raccontava che non raramente scambiava qualche palleggio con loro a vicolo Valdina. Poi mi raccontava delle partite al mitico Campo Testaccio. Durante gli anni di Piombo, per ovvi motivi, si è allontanato dallo stadio per poi rimettervi piede in occasione dei Mondiali del 1990. In ogni caso, non era un malato di calcio come lo sono io, passione che ho trasmesso a mio figlio Giulio.

Suo padre, tra le tante cose, dette anche un grande impulso allo sport…

Certamente. Non dimentichiamo che nel 1947, giovanissimo, all’alba della sua lunghissima esperienza politica, fu nominato da De Gasperi sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con deleghe al Cinema e allo Sport. In quella veste si adoperò, insieme all’allora presidente del Coni, l’avvocato Giulio Onesti, affinchè fosse statalizzata la schedina del Totocalcio, con cui si finanziò lo sport in Italia. Poi fu il grande organizzatore delle Olimpiadi di Roma del 1960, che offrirono un’immagine della Capitale e del nostro Paese decisamente rinnovata rispetto al disastro lasciato dalla Seconda guerra mondiale.

Oltre alla politica, quali sono state le altre grandi passioni di suo padre?

L’ippica e il calcio. Fin da giovane papà era solito frequentare gli ippodromi, quello di Villa Glori (nella zona dell’attuale stadio Flaminio) e Tor di Valle. I cavalli lo divertivano molto, scommetteva anche piccole cifre.

Il leader della Dc è stato un grande protagonista della Prima Repubblica. Quanto è cambiata la politica rispetto ai tempi di suo padre?

E’ cambiata radicalmente la società. Se fosse ancora vivo, mio padre censurerebbe due aspetti dell’universo politico di oggi. Il primo, sottolineato anche da molti, è la mancanza di preparazione. Sono venute fatalmente meno le scuole di formazione politica, i giovani non vengono più forgiati, una volta la gavetta era quasi fisiologica, oggi molti personaggi appartenenti ad altri contesti vengono incautamente prestati alla politica, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Un’altra cosa che papà non gradirebbe è questa sempre più frequente propensione all’invettiva, alla polemica feroce, all’accusa gratuita. Manca il rispetto, papà non si riconoscerebbe sicuramente in questo mondo.

Che famiglia è stata la vostra?

ll più grande vanto di mio padre era quello di aver costruito, per dirla alla sua maniera, una famiglia sanamente normale dove la politica è entrata poco.

Ha mai pensato di ripercorrere le orme di suo padre?

Assolutamente no, me ne sono sempre ben guardato, come del resto mio fratello e le due sorelle. Abbiamo fatto scelte diverse, ognuno ha intrapreso il percorso professionale che meglio si addiceva alle rispettive inclinazioni. Io, ad esempio, ho lavorato per oltre 40 anni in una grande azienda come la Siemens, di cui sono diventato direttore. Un’esperienza che mi ha arricchito e mi ha consentito di conoscere tante realtà. Se mi fossi affacciato alla vita politica, in virtù dell’importante cognome che porto, avrei magari fatto carriera, ma a me francamente interessava fare leva solo sulle mie capacità.

Una carriera straordinaria con tantissime luci ma anche qualche ombra…

Papà soffrì molto durante il periodo in cui fu coinvolto nei vari processi, una pagina tristissima che ha segnato non solo lui ma anche il resto della nostra famiglia. Poi l’omicidio Moro, durante il quale era Presidente del Consiglio, e l’eccidio della sua scorta. La più grande ferita per papà, al di là delle ignobili polemiche che tengono banco ancora oggi. Ho vissuto con mio padre quei giorni drammatici del 1978, abitavo ancora con i miei nella casa di corso Vittorio, papà non meritava di soffrire così.

Torniamo alla Lazio: che ricordi conserva di quel famoso 12 maggio del 1974?

Ero come sempre allo stadio. Una giornata emozionante, il clima era fantastico con tutte quelle bandiere biancocelesti attorno. Fu un'emozione straordinaria. Dopo il triplice fischio ci riversammo tutti per le strade di Roma dove festeggiammo fino all'alba.

Come immagina la Lazio del futuro?

La società ha basi solide, il calcio è cambiato molto rispetto a tanti anni fa quando non c'erano gli introiti derivanti dai diritti televisivi. Il peggio è alle spalle, la Lazio oggi può stazionare stabilmente tra le grandi del nostro calcio. Lo scudetto appare una chimera, ma abbiamo il dovere di raggiungere comunque traguardi importanti.

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