Simona Dolce: «L'infanzia nella villa Vista Lager poi le sfilate con Balenciaga. Inge Hoss vissuta due volte» | Corriere.it

Simona Dolce: «L'infanzia nella villa Vista Lager poi le sfilate con Balenciaga. Inge Hoss vissuta due volte»

diMicol Sarfatti

Il romanzo Il vero nome di Rosamund Fischer  racconta l'infanzia dorata della figlia del comandante di Auschwitz

Rosamund Fischer è stata una bellissima ragazza, modella, musa di Cristobal Balenciaga. Ora è anziana ma il tempo non ha scalfito il suo fascino. Il suo vero nome però è Inge Brigitte Höss, lo ha cambiato quando era poco più che adolescente per sfuggire a un passato feroce e ingombrante. La sua infanzia è stata idilliaca, ma è trascorsa accanto al campo di concentramento di Auschwitz, suo padre, Rudolph Höss, ne era il comandante. Qualcuno lo avrà già capito: la storia, vera, è la stessa che ha ispirato il film premio Oscar La zona di interesse del regista inglese Jonathan Glazer. Rosamund-Inge però ha una vita propria da raccontare e un punto di vista personale su una delle grandi tragedie del Novecento. Simona Dolce, scrittrice palermitana, romana di adozione, l'ha fatta diventare protagonista del romanzo Il vero nome di Rosamund Fischer (Mondadori). Inge Brigitte Höss è morta nel 2023, a 90 anni. 
Come le è arrivata questa storia?
«Attraverso l'unica intervista che Rosamund ha rilasciato al giornalista Thomas Harding, impegnato a raccontare l'arresto del padre, Rudolf Höss. Risale al 2013. Da lì è iniziata una ricerca con documenti, fonti dirette e indirette, durata dieci anni. Ad affascinarmi e scuotermi è stato soprattutto il dissidio interiore vissuto da questa donna, ho impiegato molto tempo a capire come potevo raccontare la sua storia. Non nego di aver fatto diversi tentativi prima di trovare lo sguardo giusto verso Inge Brigitte: sentivo istintivamente il bisogno di giudicarla, ma, dall'altro lato, sapevo che andava raccontata a tutto tondo, dando conto pure delle sue difficoltà, dei suoi dolori e delle sue omissioni, consapevoli e inconsapevoli. Dopo un lungo percorso ho trovato quella che mi sembrava fosse la voce giusta per lei e ho cominciato la scrittura». 
Il suo libro arriva a un anno dalla presentazione al Festival di Cannes del film La zona di interesse. Ne era al corrente? Come ha vissuto questa coincidenza? 
«Stavo chiudendo il mio romanzo, quando ho letto della proiezione a Cannes di Glazer. Confesso di essere rimasta abbastanza turbata». Perché? «Dalle recensioni intuivo che non ci fosse una trama chiarissima, ma molto simbolismo. Questo mi lasciava una dose di preoccupazione rispetto a quello che stavo scrivendo. Ho chiesto al distributore italiano di poterlo vedere, mi hanno organizzato una proiezione privata a Bologna e ho tirato un sospiro di sollievo. Ho capito che l'opera di Glazer non aveva niente a che fare con la mia, pur raccontando la stessa storia e la stessa famiglia. Il punto di vista è completamente diverso, anche se film e romanzo sono in qualche modo complementari, Glazer utilizza il punto di vista di un adulto, Rudolph, io di una bambina». 
Ha incontrato Jonathan Glazer? 
«Sì, alla Festa del Cinema di Roma, abbiamo passato un po' di tempo insieme. È stato molto bello potermi confrontare con qualcuno, forse l'unico al mondo, che aveva letto per anni i miei stessi documenti e avuto i miei stessi dubbi». 
Quali? 
*«La postura da tenere nei confronti di questa storia e poi cosa mostrare e cosa no. La zona di interesse lavora in sottrazione, non mostra mai cosa accade nel campo di concentramento perché può basarsi su un immaginario che tutti conoscono. Anche io ho provato a fare la stessa cosa attraverso Inge, che ai tempi della guerra è una bambina e non ha gli strumenti per capire cosa sta accadendo. Lei poi davvero non sa cosa succede al di là del muro e mostrarlo sarebbe stato, per me, uno sconfinamento brutale. Riesco a farlo solo quando è adulta, attraverso le domande del giornalista che la incalza mettendo in fila una serie di dati e di bugie». 
Inge-Rosamund non fa mai veramente i conti con la Memoria. Arriva persino a negare i numeri reali della Shoah. Il rapporto con il passato storico doloroso e il negazionismo sono temi molto attuali. 
«Convive con due dimensioni: una intima, per lei molto potente perché legata al suo vissuto, e una collettiva, enorme per il resto del mondo, ma non per lei, perché non ne ha ricordo. Si aggrappa alla prima, pur sapendo che è fallace, basata su menzogne veicolate in primis dalla sua famiglia, ma sono quelle che le permettono di non crollare. Per tutta la vita cerca di salvarsi dallo scontro tra queste due dimensioni». 
Per farlo si costruisce una nuova vita con un nuovo nome, Rosamund Fischer appunto, in Spagna. Dove lavora come modella e vive una giovinezza elettrizzante. Parte del suo tentativo di liberazione da un passato ingombrante avviene anche attraverso il corpo? 
«Sì, c'è una metamorfosi totale. Grazie alla sua bellezza diventa semplicemente un corpo, con una identità nuova, ricostruita. Paradossalmente è proprio questa leggerezza a permetterle di iniziare a fari i conti con la sua infanzia a Auschwitz. Si spoglia del suo passato ingombrante, che però, in qualche modo, le resta incollato addosso: anche in passerella ha una camminata militaresca, quasi a voler imitare inconsciamente quella del padre». 
Perché Rosamund nega il male, come hanno fatto i suoi genitori? 
«C'è un passaggio dell'intervista con Harding in cui non nega le responsabilità del padre, ma, di fatto, nega i numeri. Sembra un dettaglio, ma spiega molto della sua incapacità di fare fino in fondo i conti con il passato. Un milione in più o in meno di morti non cambia il senso della tragedia per la Storia, ma per lei sì. Ha un modo di negare il male commesso dal padre infantile e maldestro. Assolverlo significa assolvere anche sé stessa». 
La famiglia Höss sembra imprigionata nel desiderio di voler vivere una vita borghese e «perfetta» nonostante la prossimità, anche fisica, con la morte. L'ostentazione della perfezione apparente è qualcosa di molto contemporaneo
«Gli Höss aspirano a uno status sociale ed economico al di sopra di quello che sta accadendo. Sono molto ammirati, la loro villa è una dichiarazione materiale - gli arredi, la serra, il personale di servizio - ma annegano nelle loro stesse menzogne. Hanno con le persone che li circondano un tacito accordo. Solo Ingrid, ogni tanto, ha incubi terribili, sono un modo per dare corpo a quello che non riesce a decifrare, ma il padre li sminuisce». 
Su quali fonti ha lavorato? 
«Ho letto libri su Auschwitz, su tutti Uomini ad Auschwitz di Hermann Langbein e la biografia di Höss. Poi ho consultato molte fonti primarie sulla famiglia, una delle testimonianze più impressionanti è quella di Aniela, una ragazza polacca che lavorava dagli Höss. Racconta la casa nei dettagli, ne ha persino disegnato una pianta, e coglie molte dinamiche tra i vari familiari. Erano davvero disposti a tutto pur di mantenere i loro privilegi». 
Se oggi avesse la possibilità di incontrare Inge - Rosamund, cosa le chiederebbe? 
«Perché ha mentito per tutti questi anni. E mi aspetterei una risposta legata alla sua paura». 

12 maggio 2024