Giubileo 2025, il Papa: “Aprirò una Porta santa in carcere” - La Stampa

CITTÀ DEL VATICANO. L’Anno santo 2025 sarà dedicato alla speranza. Il Papa aprirà «una Porta santa in carcere». E chiede ai governi amnistie. Tra i temi del Giubileo ci saranno pace, denatalità, pena di morte, giovani, anziani, malati, poveri, migranti. «L’accoglienza si accompagni con la responsabilità, affinché a nessuno sia negato il diritto di un futuro migliore». Bisogna «condonare i debiti di Paesi che mai potrebbero ripagarli». Francesco nella basilica di San Pietro presiede la consegna e la lettura della Bolla di indizione del Giubileo 2025 «Spes non confundit» e i Secondi Vespri della Solennità dell’Ascensione del Signore.

Jorge Mario Bergoglio consegna il testo agli arcipreti delle Basiliche papali, ad alcuni rappresentanti della Chiesa sparsa nel mondo e ai protonotari apostolici perché ne sia data lettura. A leggerne alcuni brani è monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa pontificia e protonotario apostolico di numero. Il Documento è firmato «Francesco. Vescovo di Roma. Servo dei Servi di Dio». E poi, l’augurio: «A quanti leggeranno questa lettera la speranza ricolmi il cuore».

La funzione avviene nell’atrio della Basilica vaticana dinnanzi alla Porta santa ancora chiusa.

Sostenuto da «una così lunga tradizione e nella certezza che questo Anno giubilare potrà essere per tutta la Chiesa un’intensa esperienza di grazia e di speranza, stabilisco che la Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano sia aperta il 24 dicembre del presente anno 2024, dando così inizio al Giubileo Ordinario. La domenica successiva, 29 dicembre 2024, aprirò la Porta Santa della mia cattedrale di San Giovanni in Laterano, che il 9 novembre di quest’anno celebrerà i 1700 anni della dedicazione». A seguire, il 1° gennaio 2025, «Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, verrà aperta la Porta Santa della Basilica papale di Santa Maria Maggiore. Infine, domenica 5 gennaio sarà aperta la Porta Santa della Basilica papale di San Paolo fuori le Mura. Queste ultime tre Porte Sante saranno chiuse entro domenica 28 dicembre dello stesso anno». Il Pontefice indica «inoltre che domenica 29 dicembre 2024, in tutte le cattedrali e concattedrali, i Vescovi diocesani celebrino la santa Eucaristia come solenne apertura dell’Anno giubilare, secondo il Rituale che verrà predisposto per l’occasione. Per la celebrazione nella chiesa concattedrale, il Vescovo potrà essere sostituito da un suo Delegato appositamente designato». Il pellegrinaggio «da una chiesa, scelta per la collectio, verso la cattedrale sia il segno del cammino di speranza che, illuminato dalla Parola di Dio, accomuna i credenti. In esso si dia lettura di alcuni brani del presente Documento e si annunci al popolo l’Indulgenza Giubilare, che potrà essere ottenuta secondo le prescrizioni contenute nel medesimo Rituale per la celebrazione del Giubileo nelle Chiese particolari». Durante l’Anno santo, «che nelle Chiese particolari terminerà domenica 28 dicembre 2025, si abbia cura che il Popolo di Dio possa accogliere con piena partecipazione sia l’annuncio di speranza della grazia di Dio sia i segni che ne attestano l’efficacia». Il Giubileo ordinario terminerà con la chiusura della Porta santa della basilica di San Pietro «il 6 gennaio 2026, Epifania del Signore. Possa la luce della speranza cristiana raggiungere ogni persona, come messaggio dell’amore di Dio rivolto a tutti! E possa la Chiesa essere testimone fedele di questo annuncio in ogni parte del mondo!».

Al primo punto il Pontefice auspica che il Giubileo «possa essere per tutti occasione di rianimare la speranza». Il Dicastero per l’Evangelizzazione spiega che l’espressione «potrebbe racchiudere la ricchezza della Bolla per il Giubileo del 2025, che si apre alla luce dell’espressione di san Paolo “Speranza che non delude” perché offre la certezza dell’amore di Dio». La categoria dell’incontro «si intercetta subito all’inizio come un punto fondamentale in grado di guidare i pellegrini che giungeranno a Roma e quanti nelle Chiese particolari celebreranno l’Anno Santo. Non è da sottacere, inoltre, il contesto di evangelizzazione in cui Papa Francesco ha inserito il prossimo Giubileo». Un annuncio che viene rivolto a tutti «perché “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene”». La comunità cristiana in questo modo si fa portatrice di un contenuto «che va oltre i propri confini ecclesiali per toccare il cuore e la mente di ogni persona».

La Bolla «si affretta a considerare la profonda unità che intercorre tra le tre “sorelle”, solo intende fare della “sorella minore”, per riprendere il linguaggio di C. Peguy, la sua prediletta: “La speranza, insieme alla fede e alla carità, forma il trittico delle “virtù teologali”, che esprimono l’essenza della vita cristiana».

Riguardo il tema dell’indulgenza, «che è il primo contenuto del Giubileo, Spes non confundit offre una chiave interessante di lettura quando afferma: “Perdonare non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia, il perdono può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta. Il futuro rischiarato dal perdono consente di leggere il passato con occhi diversi, più sereni, seppure ancora solcati da lacrime”». Oggi soprattutto è «facile toccare con mano i tratti di una cultura sempre meno disposta al perdono e più incline alla vendetta e al rancore». Sentimenti questi che «non portano alla speranza, ma alla disperazione perché impediscono di raggiungere la felicità».

Un’originalità propria di Spes non confundit consiste nella «presentazione dell’evento giubilare nell’unità fondamentale di annuncio e segni che ne rendono evidente e concreto il contenuto». La cultura che «viviamo presenta dei tratti caratteristici che fanno dell’immagine il punto di riferimento privilegiato nella comunicazione». L’elenco di «segni proposto merita di essere ricordato. Si evita in questo modo il rischio di fermarsi solo all’annuncio della speranza, rimanendo in un orizzonte teorico senza sentire l’esigenza del coinvolgimento personale diretto: la pace; la trasmissione della vita; i detenuti per i quali il Papa intende aprire perfino una “Porta Santa” all’interno di un carcere “perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita”; il richiamo a tutti i vescovi perché si facciano portavoce contro la pena di morte; i giovani e gli anziani; gli ammalati, i profughi, migranti e rifugiati…». La parola del Papa «giunge anche in questo caso puntuale e provocatoria: “Le loro attese non siano vanificate da pregiudizi e chiusure; l’accoglienza, che spalanca le braccia ad ognuno secondo la sua dignità, si accompagni con la responsabilità, affinché a nessuno sia negato il diritto di costruire un futuro migliore”».
Gli appelli che Bergoglio rivolge in Spes non confundit possono essere interpretati come «ulteriori segni di speranza che richiedono l’impegno di tutti perché il creato sia rispettato e conservato nella sua interezza; alla stessa stregua il richiamo per “condonare i debiti di Paesi che mai potrebbero ripagarli: prima che di magnanimità, è una questione di giustizia; l’appello per l’unità dei cristiani nella ricorrenza dei 1700 anni del primo concilio a Nicea».

Un’ultima considerazione è «decisiva per cogliere il senso della Bolla giubilare. La speranza è la grande dimenticata. L’insistenza sulla fede e la carità hanno portato l’oblio su contenuti che sono decisivi, primo fra tutti quello della salvezza portata da Cristo e la promessa della vita eterna. Con grande passione Papa Francesco riprende questo tema e scrive: “In virtù della speranza nella quale siamo stati salvati, guardando al tempo che scorre, abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria. Viviamo dunque nell’attesa del suo ritorno e nella speranza di vivere per sempre in Lui”».

La Bolla si sofferma a lungo su questo tema presentando i «grandi interrogativi che spesso sorgono dal profondo del cuore e non sempre trovano la risposta adeguata. È così davanti alla morte delle persone che si amano quando sorge la domanda di dove possano essere e in quale luogo; se c’è veramente una vita dopo la morte e come può essere; sul giudizio di Dio per ognuno di noi, ricordando che è sempre compiuto alla luce della misericordia. Insomma, risponde Papa Francesco: “Cosa sarà dunque di noi dopo la morte? Con Gesù al di là di questa soglia c’è la vita eterna, che consiste nella comunione piena con Dio, nella contemplazione e partecipazione del suo amore infinito. Quanto adesso viviamo nella speranza, allora lo vedremo nella realtà”».

Nel testo Francesco segue un percorso che «sembra ritmato dai sottotitoli riportati. L’intenzione, anzitutto, è offrire “Una parola di speranza”; poi si delinea “Un cammino di speranza” che si fa forte presentando alcuni “Segni di speranza”». In questo momento storico che «sembra segnato dal rifiuto della speranza, il Papa sente l’esigenza di compiere “Appelli per la speranza” rivolti soprattutto a quanto detengono le sorti dell’umanità; infine, l’appello finale riprende l’immagine che sostiene la vita credente,
“Ancorati alla speranza”».

Il logo del Giubileo diventa «l’emblema più coerente: nelle vicende drammatiche della vita a nessuno è consentito sperare da solo, ma sempre e solo insieme, nella solidarietà e fraternità che tutti abbraccia alla croce di Cristo, àncora di speranza».

Francesco evidenzia come nell’Anno giubilare «saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi».
È un richiamo «antico, che proviene dalla Parola di Dio e permane con tutto il suo valore sapienziale nell’invocare atti di clemenza e di liberazione che permettano di ricominciare: “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti”. Quanto stabilito dalla Legge mosaica è ripreso dal profeta Isaia: “Il Signore mi
ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare
la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore”. Sono le parole che Gesù «ha fatto proprie all’inizio del suo ministero, dichiarando in sé stesso il compimento dell’“anno di grazia del Signore”». In ogni angolo della terra, «i credenti, specialmente i Pastori, si facciano interpreti di tali istanze, formando una voce sola che chieda con coraggio condizioni dignitose per chi è recluso, rispetto dei diritti umani e soprattutto l’abolizione della pena di morte, provvedimento contrario alla fede cristiana e che annienta ogni speranza di perdono e di rinnovamento».

Il Papa sottolinea che «San Paolo è molto realista. Sa che la vita è fatta di gioie e di dolori, che l’amore viene messo alla prova quando aumentano le difficoltà e la speranza sembra crollare davanti alla sofferenza. Eppure scrive: “Ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza”». Per l’Apostolo, la tribolazione e la sofferenza sono le condizioni «tipiche di quanti annunciano il Vangelo in contesti di incomprensione e di persecuzione». Ma in tali situazioni, attraverso il «buio si scorge una luce: si scopre come a sorreggere l’evangelizzazione sia la forza che scaturisce dalla croce e dalla risurrezione di Cristo». E ciò porta a sviluppare una «virtù strettamente imparentata con la speranza: la pazienza. Siamo ormai abituati a volere tutto e subito, in un mondo dove la fretta è diventata una costante». Non si ha più «il tempo per incontrarsi e spesso anche nelle famiglie diventa difficile trovarsi insieme e parlare con calma. La pazienza è stata messa in fuga dalla fretta, recando un grave danno alle persone. Subentrano infatti l’insofferenza, il nervosismo, a volte la violenza gratuita, che generano insoddisfazione e chiusura».

Nell’epoca «di internet, inoltre, dove lo spazio e il tempo sono soppiantati dal “qui ed ora”, la pazienza non è di casa. Se fossimo ancora capaci di guardare con stupore al creato, potremmo comprendere quanto decisiva sia la pazienza». Attendere l’alternarsi delle stagioni «con i loro frutti; osservare la vita degli animali e i cicli del loro sviluppo; avere gli occhi semplici di San Francesco che nel suo Cantico delle creature, scritto proprio 800 anni fa, percepiva il creato come una grande famiglia e chiamava il sole “fratello” e la luna “sorella”». Riscoprire la «pazienza fa tanto bene a sé e agli altri. San Paolo fa spesso ricorso alla pazienza per sottolineare l’importanza della perseveranza e della fiducia in ciò che ci è stato promesso da Dio, ma anzitutto testimonia che Dio è paziente con noi, Lui che è “il Dio della perseveranza e della consolazione”. La pazienza, frutto anch’essa dello Spirito Santo, tiene viva la speranza e la consolida come virtù e stile di vita».

Da questo intreccio di «speranza e pazienza appare chiaro come la vita cristiana sia un cammino, che ha bisogno anche di momenti forti per nutrire e irrobustire la speranza, insostituibile compagna che fa intravedere la meta: l’incontro con il Signore Gesù. Mi piace pensare che un percorso di grazia, animato dalla spiritualità popolare, abbia preceduto l’indizione, nel 1300, del primo Giubileo. Non possiamo infatti dimenticare le varie forme attraverso cui la grazia del perdono si è riversata con abbondanza sul santo Popolo fedele di Dio. Ricordiamo, ad esempio, la grande “perdonanza” che San Celestino V volle concedere a quanti si recavano nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L’Aquila, nei giorni 28 e 29 agosto 1294, sei anni prima che Papa Bonifacio VIII istituisse l’Anno Santo». La Chiesa già «sperimentava, dunque, la grazia giubilare della misericordia. E ancora prima, nel 1216, Papa Onorio III aveva accolto la supplica di San Francesco che chiedeva l’indulgenza per quanti avrebbero visitato la Porziuncola nei primi due giorni di agosto. Lo stesso si può affermare per il pellegrinaggio a Santiago di Compostela: infatti Papa Callisto II, nel 1122, concesse di celebrare il Giubileo in quel Santuario ogni volta che la festa dell’apostolo Giacomo cadeva di domenica. È bene che tale modalità “diffusa” di celebrazioni giubilari continui, così che la forza del perdono di Dio sostenga e accompagni il cammino delle comunità e delle persone».

Non a caso «il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita. Il pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità. Anche nel prossimo anno i pellegrini di speranza non mancheranno di percorrere vie antiche e moderne per vivere intensamente l’esperienza giubilare». Nella stessa città di Roma, inoltre, «saranno presenti itinerari di fede, in aggiunta a quelli tradizionali delle catacombe e delle Sette Chiese. Transitare da un Paese all’altro, come se i confini fossero superati, passare da una città all’altra nella contemplazione del creato e delle opere d’arte permetterà di fare tesoro di esperienze e culture differenti, per portare dentro di sé la bellezza che, armonizzata dalla preghiera, conduce a ringraziare Dio per le meraviglie da Lui compiute». Le chiese «giubilari, lungo i percorsi e nell’Urbe, potranno essere oasi di spiritualità dove ristorare il cammino della fede e abbeverarsi alle sorgenti della speranza, anzitutto accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, insostituibile punto di partenza di un reale cammino di conversione. Nelle Chiese particolari si curi in modo speciale la preparazione dei sacerdoti e dei fedeli alle Confessioni e l’accessibilità al sacramento nella forma individuale. A questo pellegrinaggio un invito particolare voglio rivolgere ai fedeli delle Chiese Orientali, in particolare a coloro che sono già in piena comunione con il Successore di Pietro. Essi, che hanno tanto sofferto, spesso fino alla morte, per la loro fedeltà a Cristo e alla Chiesa, si devono sentire particolarmente benvenuti in questa Roma che è Madre anche per loro e che custodisce tante memorie della loro presenza. La Chiesa Cattolica, che è arricchita dalle loro antichissime liturgie, dalla teologia e dalla spiritualità dei Padri, monaci e teologi, vuole esprimere simbolicamente l’accoglienza loro e dei loro fratelli e sorelle ortodossi, in un’epoca in cui già vivono il pellegrinaggio della Via Crucis, con cui sono spesso costretti a lasciare le loro terre d’origine, le loro terre sante, da cui li scacciano verso Paesi più sicuri la violenza e l’instabilità». Per loro «la speranza di essere amati dalla Chiesa, che non li abbandonerà, ma li seguirà dovunque andranno, rende ancora più forte il segno del Giubileo».

Per l’Anno santo 2025 a Roma si attendono 32 milioni di pellegrini.

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