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Gaza: gli USA minacciano di sospendere la consegna degli armamenti offensivi ad Israele ma Tel Aviv annuncia un altro anno di guerra

Di Fabrizio Scarinci

IL CAIRO. Le trattative del Cairo per una nuova tregua nella Striscia di Gaza sembrerebbero essere definitivamente naufragate.

Nella giornata di ieri, infatti, dopo aver preso atto dell’insanabilità delle lacune emerse durante i colloqui, le delegazioni di Stati Uniti, Qatar, Israele e Hamas hanno lasciato la capitale egiziana lasciando apparentemente cadere ogni prospettiva di accordo.

In conseguenza del mancato “accomodamento” il Gabinetto di Guerra e il Gabinetto di Sicurezza di Tel Aviv hanno approvato all’unanimità l’”approfondimento” dell’operazione a Rafah, la cui zona orientale sarebbe stata accerchiata nella mattinata di oggi dai carri Merkava dell’Esercito israeliano.

Carri Merkava in azione sul territorio della Striscia di Gaza

Poco dopo è stato, inoltre, annunciato un piano di guerra della durata di almeno un anno;cosa che sarebbe giustificata anche in virtù dalla straordinaria complessità della rete di tunnel scavata dagli uomini di Hamas e dalla presenza di piccole sacche di resistenza in tutto il territorio della Striscia.

Dal canto loro, gli USA appaiono fortemente contrari alla prosecuzione delle operazioni, sostenendo che tali azioni sarebbero inutili al fine di conseguire la definitiva sconfitta dei terroristi.

Alla base di tale presa di posizione sembrerebbero esservi sia ragioni legate alla politica interna (del resto, la Casa Bianca è in mano ai Democratici, che, anche a fini elettorali, non possono non tenere conto delle tendenze filo-palestinesi mostrate della componente maggiormente progressista del loro partito), sia ragioni di carattere strategico.

Riguardo a quest’ultimo punto, ricordiamo, infatti, che gli USA, del tutto refrattari (almeno in questa fase segnata da gravissimi focolai di crisi in Europa e nell’Indopacifico) ad impegnarsi in un conflitto generalizzato in Medio Oriente, spingono, da tempo, affinché Tel Aviv e i loro altri alleati della regione (Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in primis) consolidino e/o normalizzino le proprie relazioni allo scopo di convergere a livello strategico in funzione anti-iraniana.

Con tale dinamica in corso, ciò che l’Amministrazione Biden vorrebbe, probabilmente, evitare è che Israele possa prendere iniziative tali da indispettire i governi dei Paesi arabi (comunque solidali nei confronti delle istanze palestinesi) e compromettere il percorso fatto finora in materia di normalizzazione delle relazioni.

Militari israeliani durante le ultime operazioni nel sud della Striscia

Il problema, però, è che, già in passato, in seguito all’interruzione delle proprie operazioni contro Hamas, lo Stato Ebraico è sempre tornato ad essere bersaglio dei razzi lanciati dai terroristi, e, soprattutto alla luce di quanto accaduto il 7 ottobre scorso, Tel Aviv non sembrerebbe affatto intenzionata a fare retromarcia.

Come ribadito più volte dal Premier Netanyahu, infatti, anche nel caso in cui fosse stato raggiunto un accordo per una tregua temporanea, una volta che questa sarebbe terminata l’operazione “Swords of Iron” contro Hamas sarebbe ripresa fino al totale eradicamento del governo stabilito dall’organizzazione sul territorio della Striscia.

Come già sottolineato in altre occasioni, è assai probabile che i vertici israeliani ritengano di poter proseguire con le proprie operazioni senza  compromettere il percorso progressiva convergenza strategica con gli alleati mediorientali degli USA, che vedono l’Iran come il vero fattore destabilizzante della regione (e che, quantunque possano solidarizzare con la causa palestinese, di certo non sembrerebbero amare un satellite di Teheran come Hamas).

Nelle ultime ore, almeno pubblicamente, il diverbio diplomatico tra USA e Israele sembrerebbe essersi ulteriormente inasprito, con Washington che sarebbe tornata a minacciare di sospendere l’invio di armamenti di natura offensiva alle Forze Armate israeliane in caso di attacco a Rafah.

Una posizione decisamente forte anche se, probabilmente, insufficiente a far sì che Israele, notoriamente in possesso di congrui quantitativi di sistemi d’arma e di munizioni, rinunci a mettere in atto i suoi piani.

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