Impasti, prima di tutto - Linkiesta.it

Lievitazioni di famiglia Impasti, prima di tutto

Davide Quaglia è uno di quei pizzaioli che hanno l’arte bianca nel sangue, figlio com’è di una famiglia che con il forno dialoga e vi ritrova la sua identità. Oggi la sfida è di portare i lievitati a un livello superiore

Balobino

Nascere tra le farine, tra gli impasti. Avere un destino quasi segnato, un mestiere tra le mani e la fortuna di volerlo fare. La storia di Davide Quaglia è più o meno questa: una famiglia di panificatori, venuta su dall’impegno di papà Pietro che, più di cinquant’anni, fa aprì l’insegna Pane Quaglia a Sant’Urbano, nel padovano, in un paesino dove l’agricoltura e il grano sono sempre stati la fonte economica principale, quasi un altro segno del destino, insomma. «La mia storia comincia dal pane perché sono cresciuto presso il panificio di famiglia con altri quattro fratelli. I miei primi anni di lavoro li ho trascorsi occupandomi di aspetti commerciali, poi intorno al 2016 ho deciso di entrare in laboratorio e mettere le mani in pasta come altri miei fratelli e ho subito scoperto che era un lavoro che avevo dentro. Sono entrato quindi a lavorare nel locale Mama, che era già gestito dalla mia famiglia, ma faceva soprattutto colazioni e aperitivi e l’ho rivoluzionato iniziando una produzione di pizza particolare con lievito madre e con impasti molto idratati».

Questo è il principio, il la da cui Davide Quaglia è partito per non fermarsi più. Perché la famiglia Quaglia ha davvero l’anima imprenditoriale che scorre tra le vene e negli anni sono state diverse le scommesse intraprese e vinte. Come Balobino, nata all’origine sempre a Sant’Urbano, con un sapore di osteria al profumo del pane appena sfornato, e che ha aperto da qualche settimana in una seconda sede anche a Padova, oltre a quella storica di Lendinara, città tra le più interessanti della provincia di Rovigo, tanto da essere conosciuta anche come l’Atene del Polesine.

Qui Quaglia ha proseguito con la sua missione all’interno del mondo dei lievitati. «La chiamo pizza, ma solo perché non saprei come altro definirla. Per me è un lievitato, un bel modo di mangiare» dice. Balobino è un nome venuto fuori quasi per scherzo, da un ristorante fittizio rubato da un noto programma radiofonico dell’epoca. I Quaglia ne hanno fatto un marchio di fabbrica, creando anche un prodotto ad hoc: i balobini, grissini realizzati con un mix di farine integrali, germe di grano e olio extravergine di oliva.

Le tecniche e i metodi di produzione qui hanno una parte fondamentale. Quaglia è quasi ossessionato dagli impasti: «Penso che una persona adesso, quando va a mangiare la pizza, lo faccia aspettandosi un buon impasto. Ma, secondo me, a tante pizzerie manca questo dettaglio, manca questa attenzione per l’impasto, per la leggerezza e la lievitazione. Io magari l’ho fatto mio perché vengo da questo mondo. Ma credo che le persone oggi si aspettino molto. Poi è ovvio che, per quanto riguarda le farciture, bisogna provare a reinventarsi, perché ormai ci si sta allontanando dai topping classici».

Da Balobino il menu non è eccessivamente lungo. Tredici, quattordici ricette, con cinque pizze che cambiano ogni mese, anche partendo da proposte nate estemporaneamente, messe lì dall’estro di chi le realizza e dagli ingredienti reperibili al mercato. Tutto parte proprio dall’impasto, che può assumere consistenze diverse, attraverso farine e metodi di cottura differenti. C’è quella a base di riso e semi tostati, condita con salsa di pomodoro datteri, olive taggiasche, capperi e origano. Quella cotta al vapore a bassa temperatura per venticinque minuti e un cento per cento di umidità, da gustare semplice, con pomodoro e burrata pugliese. O quella realizzata con il mais estruso e farcita con gambero rosso crudo, burrata e mandorle tostate.

La cucina che incontra la pizzeria: ecco la vera strada che traduce il lavoro del Balobino e che segna, in qualche modo, il futuro di questo lievitato a livello generale. Davide lavora infatti a stretto contatto con il suo chef, Samuel Pizzocaro, braccio destro nella sua creatività, con il quale sperimenta accostamenti e nuovi sapori da portare in tavola: «Proviamo, discutiamo e assaggiamo, poi arriva il momento per servirle». Davide non è uno di molte parole, è pratico e va dritto al punto. Nonostante la sua pizza abbia ricevuto diversi riconoscimenti, mantiene la concretezza di chi è cresciuto mandando avanti un’attività con dedizione e sacrificio. Certo, probabilmente le cose, quando papà Pietro ha aperto la prima insegna, erano diverse: ora sono cambiate le esigenze, il mercato e i clienti. La base però rimane la stessa: l’impegno che si intravede in ogni bolla lievitata, in ogni morso perfetto.

Questo articolo fa parte di “A Spicchi”, il progetto di  Petra Molino Quaglia. Qui il link per l’iscrizione alla newsletter mensile, da condividere con gli appassionati della pizza.

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