Come Donald Trump avrebbe pagato il silenzio di Stormy Daniels, secondo Michael Cohen - Il Post
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  • Martedì 14 maggio 2024

Come Donald Trump avrebbe pagato il silenzio di Stormy Daniels, secondo Michael Cohen

Nel processo di New York l'ex avvocato e faccendiere ha confermato le accuse di false rendicontazioni, di cui l'ex presidente statunitense sarebbe stato a conoscenza: martedì verrà controinterrogato dalla difesa

Michael Cohen prima dell'udienza (AP Photo/Julia Nikhinson)
Michael Cohen prima dell'udienza (AP Photo/Julia Nikhinson)
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Lunedì, nel processo di Manhattan che ha come imputato Donald Trump, l’accusa ha chiamato a testimoniare Michael Cohen, ex avvocato personale di Trump. È considerata la testimonianza centrale ai fini del processo, il primo contro un ex presidente americano, perché Cohen è l’uomo che nel 2016 si accordò con i legali dell’attrice di film porno Stormy Daniels per comprarne il suo silenzio su un rapporto sessuale avuto con Trump una decina di anni prima. Fu Cohen anche a pagare i 130mila dollari pattuiti, venendo rimborsato mesi dopo con pagamenti fatti passare per “spese legali” del comitato elettorale: una falsificazione che è alla base di molti dei capi di accusa per cui Trump rischia fino a quattro anni di prigione.

La testimonianza era molto attesa anche perché Trump e Cohen sono legati da un lungo rapporto, diventato negli ultimi anni molto conflittuale. Cohen fra il 2006 al 2018 svolse anche la funzione di “faccendiere” di Trump: era cioè incaricato di risolvere i problemi giudiziari (e non solo) legati alla sua persona e alle sue aziende. Cohen nel 2018 era stato condannato a 3 anni di prigione e dopo di allora è diventato uno dei più attivi accusatori dell’ex presidente.

Nell’udienza di lunedì Trump e Cohen non hanno mai incrociato lo sguardo, secondo quanto riferito dai media statunitensi presenti (il processo non è ripreso dalle televisioni per decisione del giudice). Trump ha ascoltato gran parte della testimonianza, durata cinque ore, con gli occhi chiusi o guardando altrove. Cohen è apparso calmo e ha evitato ogni eccesso. Non era una cosa scontata: in passato aveva mostrato in modo molto aperto e animato il suo risentimento verso Trump.

Un momento della testimonianza nei disegni processuali (Elizabeth Williams via AP)

Guidato dalle domande dell’accusa, Cohen ha ricostruito come lavorò per Trump durante la campagna elettorale del 2016 per mettere a tacere notizie che sarebbero potute diventare negative per l’allora candidato. Ma soprattutto ha detto che Trump sarebbe stato a conoscenza di ogni fase della trattativa e poi dell’accordo, nonché del metodo deciso per ripagare Cohen, che anticipò personalmente il denaro. Trump ha sempre negato non solo ogni coinvolgimento, ma anche di avere avuto una relazione con Daniels, che la scorsa settimana ha invece testimoniato sui loro incontri.

Cohen ha raccontato di come dopo la firma dell’accordo per non rendere pubblica la storia abbia tentato, su indicazione di Trump, di ritardare il pagamento, cercando di rinviarlo a dopo le elezioni. A quel punto, secondo la sua testimonianza, Trump avrebbe detto che «non sarebbe più importato». Daniels invece, attraverso i suoi legali avrebbe minacciato di rompere l’accordo e sarebbe quindi stata pagata, su autorizzazione di Trump.

Cohen ha anche raccontato di come si sarebbe accordato in seguito con Allen Weisselberg, responsabile finanziario della Trump Organization, per essere rimborsato con undici pagamenti, fatti passare per compensi per una consulenza legale: la cifra sarebbe stata aumentata a 420mila dollari perché Cohen avrebbe dovuto pagare le tasse sulla somma. Sarebbero stati falsificati, secondo l’accusa, 34 documenti di gestione finanziaria. Cohen ha raccontato di come lui e Weisselberg avrebbero incontrato Trump per ottenere un’autorizzazione sul metodo scelto. Cohen in generale ha detto che ogni sua decisione sarebbe stata sottoposta all’approvazione di Trump, per volontà di entrambi.

La testimonianza ha di fatto riassunto l’impianto accusatorio dei procuratori di New York, ma martedì Cohen sarà oggetto del controinterrogatorio della difesa, che cercherà di screditarlo agli occhi della giuria, definendolo come un teste non credibile e animato da uno spirito di vendetta (Cohen ha più volte ribadito di voler vedere Trump in prigione). Cohen nel 2018 è stato condannato per otto diversi capi d’accusa ed è reo confesso di aver mentito a una commissione d’inchiesta del Congresso americano.

– Leggi anche: L’attesa testimonianza di Michael Cohen al processo contro Trump