Come aiutare le mamme italiane? Petizioni, bonus, asili nido garantiti, lavoro flessibile, part time, modelli welfare da copiare... tutto utilissimo, ma non basta. Se all’estero i figli sono un bene collettivo, in Italia sono un costo privato dei genitori - 640 euro al mese, stima Banca d’Italia - a cui tocca aggiungere il costo umano della cura, che grava maggiormente sulle mamme: ed è subito gender gap.

L’articolo 37 della nostra Costituzione garantisce alle donne la parità di diritti e di retribuzioni lavorative e “condizioni di lavoro che consentano l'adempimento della sua essenziale funzione familiare.” E i padri? Non pervenuti. Parole scritte nel 1946, che nel 2024 suonano anacronistiche e discriminanti: la cura dei figli va divisa equamente tra entrambi i genitori. Almeno in linea di principio... perché oggi molte delle difficoltà della maternità nel nostro Paese sono connesse alla disparità di genere.

Riflessioni che si leggono anche tra le righe del libro Mamme d’Italia - Chi sono, come stanno, cosa vogliono (Il Sole 24 Ore) di Monica D’Ascenzo e Manuela Perrone, indagine nelle vite delle 10,4 milioni di donne che vivono in Italia con almeno un figlio. Le autrici sviscerano il tema partendo dalla scelta (o dalla possibilità) di avere figli o no, dai cambiamenti di corpo e mente – quello delle mamme è come un "motore truccato" dagli ormoni, "ma l’auto deve reggere il potenziamento e, se non succede, le si carica di sensi di colpa" – di amicizia, coppia, lavoro, diritti. Di lavoro invisibile delle madri, del carico mentale che ci si aspetta (sop)portino, mentre ai padri non è richiesto di modificare le loro vite in nome della genitorialità. A partire dal lavoro, dove le agevolazioni ci sono e non hanno genere: dallo smartworking al part time ai congedi non retribuiti per malattie dei figli, di cui gli uomini non usufruiscono per evitare diminuzione del reddito, preoccupazioni per la carriera, ansia di non essere considerati buoni lavoratori. E intanto il parental pay gap si accumula, i papà fanno carriera e le mamme si fermano e ripartono dalla casella del via.

Sugli squilibri di genere come causa del fenomeno del baby bust (riduzione delle nascite) si focalizza anche la ricerca di Save the Children appena pubblicata, il cui titolo Le equilibriste già anticipa i contenuti: tra stereotipi di genere impliciti sulle diversità di carriere, motherhood penalty e una madre su 5 che lascia il lavoro, c'è una nota positiva: la percentuale di padri che usufruisce del congedo di paternità è triplicata tra il 2013 e il 2022. Qualcosa sta cambiando…

Se la divisione dei compiti tra le mura di casa è questione privata – con estenuanti lotte tra chi fa e chi no, liti e accumulo d'astio – a livello sociale si può fare di più: politica e governo, allarmati da culle vuote e inverno demografico, così come le aziende, dovrebbero parlare di sostegno alla genitorialità e non alla maternità, promuovendo una cultura più inclusiva. Nel 2023 è stato introdotto un codice per le imprese in favore della maternità: perché non proporne uno che incentivi i padri a prendersi il diritto/dovere di fare la loro parte nel lavoro di cura a casa?

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