Quando si premedita freddamente un delitto,
si premeditano freddamente anche i sistemi per celarlo.
(Arthur Conan Doyle)
L’omicidio Moro, eseguito a freddo il 9 maggio 1978 e di cui ricorreva qualche giorno fa il 46 anniversario, fu preannunciato in dettaglio circa 11 anni prima, il 9 novembre 1967 da Mino Pecorelli. [in foto], ma fu pensato fin dal 1964, con la nascita del primo governo di centro-sinistra.
Una storia che nessuno ricorda mai e in pochi conoscono.
Mino Pecorelli era uno straordinario giornalista d’inchiesta, abile, spregiudicato, intelligente, uno che amava l’avventura.
Antifascista, quando gli Alleati sbarcano al sud, a 16 anni decise di arruolarsi con loro, scegliendo di combattere nel contingente anticomunista del generale polacco Władysław Anders. Poi tornò a studiare a Roma, si diplomò, si iscrisse a giurisprudenza a Palermo. Laureatosi, si specializza in diritto fallimentare, ma alla professione forense preferisce il giornalismo e inizia a interessarsi dei retroscena della vita politica siciliana.
Trova modo di essere assunto all’ufficio–stampa del ministro della “sinistra di base democristiana” Fiorentino Sullo, del quale si vocifera che sia omosessuale e condivida questa tendenza con Mariano Rumor ed Emilio Colombo. Li chiamano le “Sorelle Bandiera”.
Mino Pecorelli, non sarà magari un principe del foro, ma invece del giornalista ha certo la stoffa e ancor più il fiuto del detective. E infatti comincia ad interessarsi da subito di un strana Università privata, la Pro Deo e del suo strano retrobottega.
La Pro Deo ai giorni nostri è divenuta la “rispettabile” L.U.I.S.S., sì proprio quella da cui uscì il semisconosciuto Scognamiglio, la Ministro Saverino e che ha avuto come Presidenti anche Luca Cordero di Montezemolo e la Marcegaglia. Il nuovo corso glielo diede l’ex-Governatore Guido Carli, per ripulirla da un passato non proprio immacolato.
https://www.luiss.it/ateneo/chi-siamo/la-storia
https://it.wikipedia.org/wiki/Luiss_Guido_Carli
Prima di Carli, infatti, capo incontrastato della Pro Deo era stato uno strano padre domenicano belga, Felix Morlion, inviato in Italia da Sturzo al seguito degli Americani e dei mafiosi, questi ultimi incaricati di facilitare lo barco in Sicilia delle truppe a stelle e striscie. La collaborazione di Morlion coi Servizi americani è stata talvolta messa in dubbio, ma due anni dopo la sua morte, il gesuita padre Robert Graham, uno dei più qualificati studiosi di storia dello spionaggio, oltreché della II Guerra mondiale, ammetterà: “Sì, padre Felix Morlion era della Cia, era un grosso punto di riferimento per l’Intelligence americana”,
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/f-lix-andrew-morlion-frate-spia-cia-2036707.html
E che la Pro Deo fosse una copertura americana, anzi dell’OSS (che poi divenne la CIA) lo si vede bene da chi ne costituiva il vertice direttivo: nascosto nel ruolo di vicepresidente vi era niente di meno che Henry Luce, fondatore di Time, Life e Fortune, magnate dell’editoria, ma soprattutto marito di Clare Boothe Luce, ambasciatrice statunitense in Italia, ferocemente conservatrice, occidentalista e nemica giurata di Enrico Mattei e delle sue politiche di sovranità energetica. Quanto a Thomas Bata [Tomáš Jan Baťa, quello della nota marca di scarpe del tempo!], che avrebbe “sganciato” forti sovvenzioni in dollari in cambio della promessa di un interessamento di Morlion, affinché la Chiesa liberasse dall’accusa di deicidio il popolo ebraico.
Con Morlion arrivò alla Pro Deo come docente di Diritto Ecclesiastico anche Mons. Carlo Ferrero, forse non proprio uno stinco di santo. Di lui si diceva fosse dedito all’affarismo e non particolarmente ligio al voto di castità. Forse erano solo calunnie.
Certo è che finirà coinvolto in un “traffico di diplomi falsi” rilasciati dalla stessa Pro Deo.
Sarà soprattutto l’Università con sede a New York a dispensare generosamente lauree honoris causa: a Mino Reitano certo, ma anche a Licio Gelli, gran maestro della loggia massonica P2, dottore honoris causa in Scienze Finanziarie
Quando gli “affari riservati”della Pro Deo dopo l’era Nixon finiscono, ai finanziatori esteri si affiancano gli italiani, guidati da Umberto Agnelli, che già dal ’67 pensava di farne una sorta di Bocconi romana.
Ferrero [infra in foto con Charles F. Cohn e signora, rappresentanti dell’American Jewish Commitee, durante il viaggio per la “Missione giovane leadership”, sponsorizzato dall’organizzazione ebraica. Foto tratta dal Wisconsin Jewish Cronicle] era un insider e come “traghettatore” per il dopo–Morlion sarebbe andato benissimo, anche perché sa un sacco di cose: infatti, fin dagli anni ‘50, prima ancora di entrare alla Pro Deo, elabora un servizio riservatissimo di informazioni politiche, destinate alla Segreteria di Stato vaticana e ad alcuni industriali. Dal 1956 in poi i suoi servizi di agenzia si trasformano in un “servizio riservato” vero e proprio e forniscono le “veline” che servono a Morlion per ripagare i “carissimi amici” che lo aiutano.
I fogli di informazione sono distinti in fogli bianchi, (informazioni di politica interna), fogli rosa (politica estera), fogli gialli (materiale sul partito comunista e socialista italiano) e fogli verdi (materiale su enti a partecipazione statale).
Oltre a questi, esiste un vero e proprio “servizio segreto” che riguarda il Vaticano, la politica interna e quella estera, gestito e promosso da Morlion personalmente. Le notizie dei bollettini riservati provenivano anche da fonti SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate, costituito nel 1949 al posto del SIM-Servizio Informazioni Militari).
Il tramite informativo tra la Segreteria di Stato Vaticano (con a capo il diffidente Mons. Dell’Acqua) e il SIFAR era il discusso generale dell’Arma dei Carabinieri Giovanni Allavena, un massone “patentato”, [v. foto], coinvolto nel cosiddetto “piano Solo” (il progettato golpe del Generale De Lorenzo del 1964, di cui fornì a Gelli la copia dei 157.000 fascicoli), comandante dell’ “Ufficio D” dei Servizi segreti, poi appunto ultimo capo del SIFAR, già uomo dell’OSS attraverso i vertici preposti agli affari italiani (James Angleton, Carmel Offie, Henry Tasca, Earl Brennan).
Ma la fonte delle informazioni della Pro Deo è un altro ex–agente, che ha lavorato anche lui alle dipendenze proprio di James Angleton e che diventerà sovrintendente alla Segreteria speciale del Patto Atlantico.
Il suo nome è quello del “bonario e spietato” prefetto Federico Umberto D’Amato, il “gastronomo del Viminale” (come veniva chiamato per la sua passione per la cucina), direttore del famigerato “Ufficio Affari Riservati” del Ministero dell’Interno, coinvolto in tutti i misteri d’ Italia.
Già dalle colonne della rivista Nuovo Mondo d’Oggi, Pecorelli inizia a parlare per primo di una pistola Browning, certo minacciosa, ma non più efficace “di un anello di ametista per raccogliere un’informazione o far tacere un testimone”.
La frase è ermetica. Ma per chi sappia leggere indica che è un vescovo la fonte delle sue informazioni ed è sempre un vescovo – assai più di un omicidio – che può avere il potere di far tacere un testimone: l’ametista è infatti la pietra dell’anello vescovile (ma vedremo che alla fine sarà proprio da una pistola Browning che partiranno i colpi con cui verrà ammazzato, forse per avere svelato tutti i nomi di una loggia massonica vaticana).
La citazione fa riferimento all’annuncio di clamorose rivelazioni su un intrigo che investe “alti prelati, Presidenti del Consiglio e Ministri italiani e stranieri, diplomatici e spie, la Gestapo nazista e la CIA americana, il Vaticano e i servizi segreti di tre paesi della NATO”. Si parla di episodi scandalosi denunciati e “bloccati” dai magistrati in nome della “ragion di Stato” fino al giorno in cui un “banale incidente” non li ha fatti venire alla luce. Si allude a grossi papaveri della finanza e della politica, chiamando in causa “la Fiat, la Montecatini, la Michelin, la Bata C (cioè Corporation), l’Ordine dei Domenicani, in un giro vorticoso per alcune decine di miliardi di lire”, senza che manchi – si capisce! – l’allusione a qualcosa di piccante, visto che si parla pure di “nobildonne dell’aristocrazia nera e di giovani ed intraprendenti monsignori”, il tutto “sullo sfondo di avventure galanti nei quartieri alti della Capitale”.
L’inchiesta, dal titolo “Chi sono e cosa fanno questi signori?”, preannunciava clamorose rivelazioni: “È venuto il momento di raccontare, senza reticenze, senza timori, senza ombre… Il più complesso e misterioso intrigo degli ultimi venti anni”. E concludeva: “Da oggi ovunque si parlerà della “Operazione Pro Deo”. Per rendere la cosa credibile pubblica una strana foto e pone 11 domande. I destinatari delle domande sanno…
Ecco in dettaglio le domande che poneva Pecorelli:
Morlion e Ferrero già li conosciamo.
De Angelis è padre De Angelis (divenuto amministratore unico della s.r.l.), ostile a Morlion al pari di Pizzardo e messo lì dalla “destra curiale” dei Cardinali Ottaviani, Staffa e Siri per controllare l’esuberanza del frate domenicano e della sua eccentrica Università.
C.D è C.D. Jakson, Direttore di Life.
Padre Efrem è Padre Efrem da Genova (al secolo Iorio Piccardi), uomo vicino a De Angelis, direttore de L’Ora dell’azione, la rivista della Pro Deo.
Igino è Igino Giordani, giornalista, co–fondatore con Chiara Lubich del Movimento dei Focolari, direttore della Biblioteca Apostolica Vaticana, eletto all’Assemblea Costituente per la circoscrizione di Roma, successore di Guido Gonella nella direzione de Il Popolo, quotidiano della DC.
Allario, in realtà padre Mario Alario, è un confratello e uno dei collaboratori di Morlion-
“Wilma” probabilmente è Wilma Montesi, la ragazza [v. foto infra] trovata morta nel 1953 sulla spiaggia di Capocotta a Torvaianica 40 km. a sud di Roma (è forse il “banale incidente” di cui parla Pecorelli?) e per la cui morte erano stati imputati (e poi assolti tra mille polemiche) il figlio del ministro Piccioni ed il sedicente marchese Montagna (qualcuno potrebbe avere degli elementi per riaprire il caso?).
Il DOC 1/2/3? è la copertura data dai servizi di tre Paesi NATO e aggiornata costantemente con i collaterali servizi francesi (CIP Francia), belgi (CIP Belgique), USA (CIP New York).
“La signora M.” è Anna Maria Brady, Direttrice amministrativa di tutte le agenzie CIP di controspionaggio, sorte tramite la Pro Deo.
Mary Luce è appunto Clare Boothe Luce, detta Mary, moglie – come si è detto – di Henry Luce, editore di Time, Life e Fortune, ambasciatrice statunitense in Italia in quegli anni (per la quale lavora come informatore delle autorità americane anche l’ex gerarca fascista Dino Grandi). Henry Luce e Clare Boothe Luce (sì, proprio anche l’ambasciatrice USA in Italia) divennero sotto la guida di Sidney Cohen, entusiasti sostenitori e propagandisti dell’LSD e delle sue proprietà trasformanti ai fini di un miglior controllo sociale.
“Il potentissimo D’A.” è Federico Umberto D’Amato, capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, uno che nessuno osava toccare, neppure il PCI con cui scambia informazioni reciproche tramite Pajetta e Amendola e che come garanzia personale ha microfilmato tutti i documenti che tiene ben nascosti in quella che ama far sapere essere “la mia polveriera”.
Bastarono queste allusioni e per Nuovo Mondo d’Oggi fu evidentemente l’ultimo numero.
È allora Pecorelli, tra segreti di stato, trame politico–giudiziarie e gossip, decide di mettersi in proprio.
Nasce Il Nuovo Mondo d’Oggi e le pubblicazioni iniziano in autunno. Nella rubrica “L’Editore dice che…” Pecorelli anticipa i contenuti della sua linea: inchieste sul Sifar, sulla Cia e il Kgb, sugli affari dell’Alitalia, della Sip e di alcune multinazionali americane. Promette che parlerà di mafia.
Poche migliaia di copie, ma il settimanale è ricco di notizie “riservate”. Il suo primo direttore è Franco Simeoni, un giornalista che collaborerà col S.I.D. dell’Ammiraglio Henke e per conto del quale aveva svolto missioni all’estero, in particolare all’Est Europeo. Poi c’è Paolo Senise, figlio del capo della polizia fascista Carmine Senise, che negli anni successivi avrebbe collaborato invece con il colonnello del Sismi, Demetrio Cogliandro.
All’interno della redazione figura anche Nino Pulejo, comandante della brigata socialista “Matteotti”, quello che aveva messo nelle bare il Duce e i suoi, dopo la “macelleria messicana” di Piazzale Loreto. Ma era anche lo stesso che avrebbe aiutato Junio Valerio Borghese a nascondersi dai partigiani alla fine del conflitto su indicazione dell’allora direttore dell’OSS in Italia James Angleton, che penserà di poter utilizzare il “principe nero” a servizio della battaglia anticomunista. Il periodico, visti i collaboratori, pubblica per lo più notizie “riservate”.
Sul numero del 19 novembre 1967 [v. foto] anticipa in dettaglio di 11 anni l’uccisione di Moro dopo un sequestro, la cui responsabilità sarebbe dovuta ricadere su gruppi dell’estrema sinistra. Ma il piano era già stato concepito nel 1964.
La testimonianza è quello del tenente colonnello Enrico Podestà, riferita al 1964 e riportata in un articolo dal titolo “Dovevo uccidere Aldo Moro”. Scrive Pecorelli che “il piano, secondo Podestà, prevedeva di eliminare l’onorevole Moro, già d’allora presidente del Consiglio, e di fare in modo che la colpa ricadesse su elementi di sinistra. Purtroppo, per gli ideatori del colpo, tutto andò a monte, perché intanto si erano venuti a modificare alcuni presupposti per un cambiamento di regime. I motivi del presupposto disagio erano venuti a cadere e inoltre era stato eletto il nuovo presidente della Repubblica nella persona dell’onorevole Saragat (…). Una volta impadronitisi del presidente del Consiglio, Podestà e i suoi uomini lo avrebbero condotto, come s’è detto, in una località segreta”.
È quanto prescrivono i manuali di contro-insurrezione USA, i c.d. Field Manual [in foto il Fascicolo 31-73]: infiltrare un gruppo in un movimento rivoluzionario per assumerne la leadership, che ne orienti le scelte, mentre altri agenti segreti, dall’esterno, controllano le mosse dei terroristi decidendo, di volta in volta, quali azioni far portare a termine, chi arrestare, chi lasciare in libertà e chi far evadere.
Prima di nascere, dunque, le BR sono già state “profilate”.
Ne avremo la riprova nel 1973, quando le BR misero in atto un’azione dimostrativa volta a conquistare consensi nelle fabbriche del nord, sequestrando Michele Mincuzzi, ingegnere dell’Alfa Romeo di Arese.
Mario Moretti firmò l’azione con la stella di Davide, la stella a sei punte simbolo di Israele (e del MOSSAD, il servizio segreto israeliano), contrariamente alla già nota stella a cinque punte simbolo delle BR, che Renato Curcio aveva scelto ispirandosi al movimento di guerriglia urbana dei Tupamaros dell’Uruguay
Le immagini mostrano bene questo “disallineamento” e le parole di uno dei capi storici delle B.R. confermerebbero questa ipotesi: “I servizi segreti israeliani ci hanno cercato nel ‘74. Ci furono due o tre incontri ma rifiutammo di avere rapporti stretti con loro, volevamo conservare la nostra autonomia. Ci avrebbero dato soldi e informazioni importanti. Ma abbiamo rifiutato. È probabile che abbiano cercato un nuovo aggancio dopo il mio arresto e quello di Renato (Curcio n.d.a.)”.
https://www.panorama.it/news/cronaca/caso-moro-alberto-franceschini-intervista
Giovanni Galloni (ex vicepresidente del CSM) nel luglio del 2005 rilasciò questa intervista ai microfoni di RaiNews24: “Io non posso dimenticare un discorso che ebbi con Moro poche settimane prima del suo rapimento [16 marzo 1978 n.d.a.]. Discutevamo delle BR, delle difficoltà di trovare i covi delle BR, e Moro mi disse… La mia preoccupazione è questa: che io ho per certa la notizia che i servizi segreti sia americani sia israeliani hanno degli infiltrati all’interno delle BR; però non siamo stati avvertiti di questo, perché se fossimo stati avvertiti probabilmente i covi li avremmo trovati”.
Ascoltate bene questo video e capirete molte cose.
https://www.youtube.com/watch?v=IR17BOVfj0Y
A dare ulteriore credibilità alla testimonianza di Galloni c’è un documento dello SDECE (il vecchio acronimo del servizio d’informazioni estero francese) pubblicato nel 1977 dal direttore della rivista Osservatore Politico, Mino Pecorelli. “Nel 1973 – si legge nel documento – a Bruxelles, dietro gli organismi ufficiali della Quarta Internazionale, è sorta una centrale rivoluzionaria mondiale che i servizi politico–militari occidentali hanno indicato con la sigla TT [Think–Tank] […] in questa struttura operano congiuntamente trotzkisti filoamericani e israeliani del Mossad, l’agguerritissimo servizio segreto di Tel Aviv, al fine di impedire che in seno a movimenti extraparlamentari europei possa prevalere la componente filo–araba” (cfr. Vincenzo Vinciguerra, Storia cronologica del conflitto mediorientale visionabile su www.archivioguerrapolitica.org, pag. 222).
Teniamolo a mente: le teorie dei Field manual USA tendono a disorientare l’opinione pubblica rappresentando – ieri come oggi – il terrorismo come l’altalenarsi di azioni violente tra gruppi contrapposti, irrimediabilmente destinate alla sconfitta, senza accorgersi che i termini dello scontro sono ben diversi.
https://isgp-studies.com/organisations/ASC/1970_03_10_FM30-31B_document_Westmooreland.pdf.
L’esperto statunitense Steve Pieczenik, che durante il rapimento Moro ufficialmente coordinava il collegamento tra i servizi segreti americani e gli omologhi italiani, ha ribadito – in un’intervista concessa a Gianni Minoli su “Radio 24” – le rivelazioni precedentemente esposte nel 2008 in un suo libro, ovvero che il suo reale compito fosse quello di “manipolare alla distanza i terroristi italiani così da far in modo che le BR uccidessero Moro ad ogni costo”. Inoltre ha scritto: “Ho atteso trent’anni per rivelare questa storia. Spero sia utile. Mi rincresce per la morte di Aldo Moro; chiedo perdono alla sua famiglia e sono dispiaciuto per lui, credo che saremmo andati d’accordo, ma abbiamo dovuto strumentalizzare le Brigate rosse per farlo uccidere”. – Steve Pieczenik in Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro, Cooper, pag 186.
Vedi anche:
https://st.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-10-01/come-manipolammo-caso-moro-064524.shtml
https://www.lastampa.it/politica/2008/03/09/news/ho-manipolato-le-br-1.37110013/
Pecorelli dunque già nel 1967sapeva e mandava messaggi a chi doveva capire.
Poi rilanciò, annunciando l’ “Operazione Pro Deo”.
L’Ufficio Affari Riservati (del Viminale … e della Pro Deo) impose allora la chiusura della rivista, pagando Pecorelli perché tacesse.
Pecorelli, che della rivista era comproprietario, fa buon viso a cattivo gioco, intasca una cinquantina di milioni e firma un’impegnativa a starsene buono per almeno cinque anni. Non manterrà la parola, fonda già in quel 1968 l’agenzia di stampa Osservatore politico internazionale (che all’inizio del 1978 diventerà il settimanale OP) in collaborazione con il collega Franco Simeoni (da cui si divide l’anno dopo), s’intrufola in mille questioni, s’impiccia di stragi, golpe, terrorismo e finanza, ha fonti informatissime, denuncia pure l’esistenza di una “Loggia Vaticana”, di alti prelati, cioè, legati alla Massoneria vaticana, finché proprio una pistola semiautomatica Browning/32 auto calibro 7,65, munita di silenziatore, la sera del 20 marzo 1979 lo fredda con quattro colpi all’interno della propria auto [v. foto sotto], uno in bocca e tre alla schiena.
Quel proiettile in bocca è un messaggio chiarissimo. Così anche i proiettili che hanno ucciso il giornalista sono molto particolari: marca Gevelot, assai rari da trovare sul mercato, anche su quello clandestino. Sono tuttavia dello stesso tipo di quelli che sarebbero poi stati trovati nell’arsenale della Banda della Magliana, nascosto nei sotterranei del Ministero della Sanità.
Affiliatosi alla loggia P2, per uscirne poco dopo a causa della mancata protezione che gli era stata invece garantita, Pecorelli rimaneva comunque un anomalo.
Moro è rapito il 16 marzo del 1978.
Pecorelli il 19 marzo fa uscire in edicola – come settimanale (fino ad allora era stata un’agenzia di stampa) – il primo numero di OP.
Verrà ucciso esattamente un anno dopo, il 20 marzo del 1979.
Moro invece era stato ucciso il 9 maggio 1978. Sette giorni prima della morte dello statista, nel numero datato 2 maggio, Pecorelli parla di un “lucido superpotere” e della cattura di Moro come una delle più grosse operazioni politiche degli ultimi decenni. Subito dopo la morte, già il 23 maggio Pecorelli preannuncia che le lettere di Moro hanno reso pubblica “solo una parte forse minima di ciò che egli fu costretto a rivelare alle Br”.
Frattanto il 10 agosto 1976, il settimanale Panorama pubblica un elenco di 114 prelati, presunti affiliati a varie logge.
Nel numero del 12 settembre 1978, raffigurante un cardinale con un cappuccio nero sul capo, dal titolo “La gran Loggia Vaticana”, Pecorelli rilancia con 121 nominativi di cardinali, vescovi ed alti prelati indicati con tanto di nome in codice e numero di matricola.
Il giorno dopo nel covo in via Negroli a Milano, viene arrestato il brigatista Corrado Alunni e pare venga ritrovata una copia di un memoriale Moro. Nessuno ne sa ancora nulla, ma in un articolo di OP del 26 settembre 1978, dal titolo “Le lettere di zombi”, pubblicato una settimana dopo l’arresto del brigatista e dodici giorni prima del ritrovamento ufficiale del memoriale Moro da parte di Dalla Chiesa e dai suoi in Via Montenevoso, Pecorelli era già in grado di annunciare il ritrovamento di una trentina di lettere di Moro.
Intanto nel corso dell’estate del ‘78 OP si era dedicata soprattutto allo scandalo Italcasse (l’Istituto di Credito delle Casse di Risparmio italiane) ed alle tangenti pagate dal suo Direttore Giuseppe Arcaini, che intanto è morto a Lugano il 29 settembre 1978.
Nel numero del 17 ottobre Pecorelli nell’articolo “Necrologi &Memoriali” ne commenta la morte, parlandone come del “grande elemosiniere”.
E’ la stessa espressione utilizzata da Moro nel suo memoriale, ma non in quello del 1978, appena ritrovato da Dalla Chiesa in Via Montenevoso, ma in quello che sarà ritrovato in fotocopia 12 anni dopo, nel 1990, ancora in Via Montenevoso, dietro un pannello, di cui gli inquirenti non si sarebbero accorti nella perquisizione del 1978. Chiaro che Pecorelli sapeva già allora qualcosa di più della verità “accettabile” che si sta divulgando e lo fa sapere.
Nei numeri 27, 28, 29 di OP del mese di ottobre 1978, il giornalista scrive: “Non credo all’autenticità del memoriale, o alla sua integrità, e alle banalità che sono state riportate alla luce. Moro non può aver detto quelle cose e solo quelle cose arcinote; non era stupido, dicendo solo quelle cose, sapeva che non sarebbe uscito vivo dalla prigione. Quindi c’è dell’altro. Così ora sappiamo che ci sono memoriali falsi e memoriali veri. Questo qui diffuso è anche mal confezionato. Ma con l’uso politico di quello vero, e anche con il ritrovamento di alcuni nastri magnetici dove “parla” a viva voce Moro, ci sarà il gioco al massacro. Inizieranno i ricatti. Con questa parte recuperata, la bomba Moro non è scoppiata come molti si aspettavano. Giulio Andreotti è un uomo molto fortunato.”
Prima di essere a sua volta ammazzato, Pecorelli avrebbe preannunciato e tenuto pronto in stampa un numero di OP, sulla cui copertina compariva a tutto campo la foto del presidente del Consiglio Giulio Andreotti, con un titolo a caratteri cubitali: Gli assegni del Presidente.
La copertina fu ritrovata, le pagine interne mai.
Davvero contenevano i nomi di chi aveva incassato gli assegni di Italcasse, che peraltro Pecorelli aveva anticipato nelle settimane precedenti?
O quella era la copertina e dentro c’era ben altro?
Oppure era tutto un depistaggio, copertina compresa?
Pecorelli parlava sempre per enigmi, alludeva sempre con soprannomi, usa formule ambigue, oblique, ambivalenti.
Gli assegni del Presidente quali sono e il Presidente chi è?
È davvero Andreotti, o la parola “assegni” è riferita “a Segni”, Antonio Segni, sotto la cui presidenza fu ordita all’interno del “Piano Solo” (per contrastare il primo governo Moro di centrosinistra) l’ipotesi del suo rapimento e assassinio, raccontati nel numero del 19 novembre 1967 de Il nuovo Mondo d’Oggi dal colonnello Podestà, che, espulso per questo dall’esercito fu accusato – guarda caso – di truffa aggravata per emissione di assegni a vuoto? (cfr. L’Europeo n. 43, del 25 ottobre 1993).
Pecorelli ha per caso pronto un numero di OP nel quale si accinge a svelare l’esistenza di un’organizzazione segreta (Gladio), cui già nel 1964, sotto la Presidenza Segni, era stato affidato l’incarico di eliminare Moro?
Sembrava davvero ripetersi lo scenario di un decennio prima, quando Pecorelli minacciava sempre su Il nuovo Mondo d’Oggi di rivelare pure i segreti inconfessabili della Pro Deo. Ma questa volta la pistola Browning, allora evocata (minacciosa, ma non più efficace “di un anello di ametista per raccogliere un’informazione o far tacere un testimone”), spara e lo fa tacere per sempre.
Sono legati i due episodi? Perché chi lo uccide decide di usare proprio una Browning? È un caso o un messaggio? La morte di Pecorelli chiude una trama iniziata molti anni prima? C’è un legame anche tra la Pro Deo e Moro?
A ricordare questa brutta storia ci pensa nel 1981 un’altra strana rivista, troppo a sinistra per essere vera, Metropoli–L’autonomia possibile, di cui escono sette numeri, con sei diversi direttori responsabili e che vanta tra i vari collaboratori anche il gotha dell’intelligencija, legata – guarda un po’ – a Potere operaio: Oreste Scalzone, Franco Piperno, Oreste Berardi (Bifo), Toni Negri, Lanfranco Pace, Paolo Virno e il filosofo francese Guattari. Sette numeri, sei direttori responsabili e per finire quattro diversi stampatori, tra cui la “Tipografia 15 Giugno”, in cui si stampa proprio quel numero 6, dove si parla di Pecorelli e della Pro Deo.
Nell’articolo apparso su Metropoli si ricorda un particolare.
Sull’ultimo numero di OP apparso in edicola. Pecorelli fa riferimento al libro Le Memorie di un fesso del massone Alberto Giannini (da non confondere con Guglielmo Giannini, fondatore dell’Partito dell’Uomo qualunque).
Nell’insolente ritratto dell’antifascista internazionalista e massone Turati, riparato a Parigi, c’è da parte di Pecorelli l’accusa alla classe dirigente antifascista italiana, che fin dai tempi del Fascismo – come ricorda la rivista Metropoli – “non ha base nazionale, vive del rapporto coi centri di potere sovranazionali, si struttura in simbiosi con essi. Il suo discorso sulla Massoneria ha questo senso. Su questo terreno sta l’intreccio della vicenda di Giannini con quella di Pecorelli. Pecorelli in due occasioni affronta il problema della struttura della classe dirigente post–fascista in rapporto alla transizione dal vecchio regime ed alla Massoneria. La prima è comprato, la seconda è ucciso […] L’ultimo numero di OP riprende la dichiarazione di guerra di Giannini contro la Massoneria, promette il tradimento”.
Che vuol dire che OP riprende le dichiarazioni di guerra di Giannini contro la Massoneria?
A cosa voleva alludere Pecorelli?
Forse al fatto che non c’è spazio in Italia per una politica “antifascista” nazionale?
È la denuncia che l’antifascismo da sempre, fin dai tempi del Fascismo, guarda ai poteri mondialisti sovranazionali per guidare l’Italia?
È la denuncia che l’antifascismo è al soldo dei potentati finanziari internazionali? (cfr. Omicidio Pecorelli: desiderio di stato di Piero “Zut” Lo Sardo in Metropoli, anno 3°, numero 6, settembre 1981).
Può essere proprio così, perché nell’ultimo numero della rivista OP, prima di essere ammazzato, compaiono anche due articoli assai meno ermetici, che riguardano Moro e nei quali Pecorelli dice due cose, che sembrano confermate dalle ultime inchieste.
La prima: le B.R. vere non sono quelle ufficiali (Si veda al riguardo l’intero capitolo 7 “Il sequestro Sossi” del libro di Antonio Cipriani e Gianni Cipriani, Sovranità limitata – Storia dell’eversione atlantica in Italia – Edizioni Associate, Roma 1991).
La seconda: c’è stato un accordo USA–URSS per far fuori Moro, perché Moro rivendica autonomia dagli americani. Insomma Moro, come Mattei, come Craxi, che ruppe il fronte della fermezza e avrebbe sfidato gli Usa a Sigonella, pur senza essere un “sovranista”, ha una visione “nazionale” della politica, anche di quella internazionale.
La conferma di ciò sembra venire dalle parole di uno dei capi storici delle “BR originarie”, Alberto Franceschini che di recente ha dichiarato: “Sul sequestro Moro c’è una verità accettabile: ci sono cose che non possono venir dette”.
Pecorelli è stato ammazzato perché denunciava la subordinazione del potere politico ai centri di potere della finanza internazionale? Mentre Moro è prigioniero delle “Brigate Rosse” su OP del 2 maggio del 1978, cioè sette giorni prima della sua uccisione, Pecorelli scrive ancora due articoli. Nel primo, titolato “E anche Renato Curcio fa il suo dovere” rivela che le Brigate Rosse non sono l’organizzazione terroristica che tutti credono, ma sono divenuti una copertura di “Servizi” internazionali: “I rapitori di Aldo non hanno nulla a che spartire con le Brigate Rosse comunemente note. Curcio e compagni non hanno nulla a che fare con il grande fatto politico–tecnicistico del sequestro Moro. La richiesta di uno scambio di prigionieri politici, avanzata dai custodi del presidente democristiano, rappresenta un espediente per tenere calmi i brigatisti di Torino e scongiurare loro tempestive confessioni, dichiarazioni sulle trame che si stavano tessendo sopra le loro teste. Curcio e Franceschini in questa fase debbono fornire a quelli che ritengono occasionali alleati una credibile copertura agli occhi delle masse italiane…”.
Nel secondo articolo, titolato “Yalta in via Mario Fani” Pecorelli fa capire che Moro è vittima di un accordo internazionale tra USA e URSS per impedire che il P.C.I. intraprenda una via “sovranista” e nazionale al Comunismo. Leggiamo: “[…] Al contrario l’agguato di via Fani porta il segno di un lucido superpotere. La cattura di Moro rappresenta una delle più grosse operazioni politiche compiute negli ultimi decenni in un paese industriale, integrato nel sistema occidentale. L’obiettivo primario è senz’altro quello di allontanare il partito comunista dall’area del potere nel momento in cui si accinge all’ultimo balzo, alla diretta partecipazione al governo del paese. È un fatto che si vuole che ciò non accada. Perché è comune interesse delle due superpotenze mondiali mortificare l’ascesa del PCI, cioè del leader dell’eurocomunismo, del comunismo che aspira a diventare democratico e democraticamente guidare un paese industriale. Ciò non è gradito agli americani, perché una partecipazione diretta del PCI al governo, altererebbe non solo gli equilibri del potere economico nazionale, ma ancora di più i suoi riflessi nel sistema multinazionale (Sim). Sebbene sembra accertato che gli eurocomunisti si ispirano alla democrazia, essi però accentuano certi tratti nazionalistici, non tanto per catturare nuove simpatie nell’elettorato moderato, quanto per precostituirsi la possibilità di resistere alla pedissequa obbedienza osservanza delle direttive dell’unica grande potenza occidentale: gli Stati Uniti d’America”.
Come ricorda la rivista Metropoli e come già accennato “Pecorelli in due occasioni affronta il problema della struttura della classe dirigente post–fascista in rapporto alla transizione dal vecchio regime ed alla Massoneria. La prima è comprato, la seconda è ucciso”. Nessuno pensi di fuggire dall’Occidente!
Il 23 maggio del 1978, sul primo numero uscito dopo l’uccisione di Moro, OP pubblicò una strana cronaca del ritrovamento del cadavere, soffermandosi sul muro [in foto] al quale era addossata la Renault rossa in cui era stato posto il cadavere di Moro: “Dietro ci sono i ruderi del teatro di Balbo, il terzo anfiteatro di Roma; ho letto in un libro che a quel tempo gli schiavi fuggiaschi e i prigionieri vi venivano condotti perché si massacrassero tra di loro. Chissà cosa c’era nel destino di Moro perché la sua morte venisse scoperta proprio contro quel muro? Il sangue di allora e il sangue di oggi”.
Schiavi e prigionieri che combattono nell’arena non erano forse gli antichi gladiatori?
C’era Gladio dietro le Brigate Rosse?
Era per questo che parlava di Via Fani come del “segno di un lucido superpotere”, in cui “le Br non rappresentano il motore principale del missile, esse agiscono come motorino per la correzione di rotta dell’astronave Italia”, prevedendo [vedi foto sotto] “trattamenti di favore quando la pacificazione nazionale sarà compiuta”.
Scriveva Pecorelli nel numero del 17 ottobre 1978, alcuni mesi dopo l’uccisione del presidente della Dc: “Il Ministro di polizia (Cossiga, ndr) sapeva tutto, sapeva persino dove era tenuto prigioniero Moro, dalle parti del ghetto… perché un generale dei carabinieri era andato a riferirglielo di persona nella massima segretezza”. Continua Pecorelli: “Il ministro non poteva decidere nulla su due piedi, doveva sentire più in alto… magari fino alla loggia di Cristo in paradiso”.
È la P2?
E’ la loggia degli A.L.A.M di Piazza del Gesù?
Oppure è la “Loggia vaticana”?
O forse è qualcuno molto vicino ad entrambe, magari anche all’Ordine dei Cavalieri di Malta, che già subito dopo la guerra è stato attivissimo nel fiancheggiare i Servizi americani? (Ennio Carretto-Bruno Marolo – Made in USA, le origini americane della Repubblica italiana – Mondadori, 1996, pagg. 111-112, 123).
Quando Pecorelli nell’ottobre 1976 pubblica su OP una lista dei prelati massoni egli denuncia apertamente che anche in Vaticano vi è una larga ed importante fetta dell’establishment che “vive del rapporto coi centri di potere sovranazionali e si struttura in simbiosi con essi”.
Non ci sarà questa volta un anello di ametista a salvarlo (probabilmente perché ha denunciato la “loggia vaticana”?), così come simmetricamente il disperato e impotente appello di Montini agli “uomini delle Brigate Rosse” non salverà Aldo Moro, certificando che per quei centri di potere sovranazionale la Chiesa è oramai e sarà totalmente irrilevante (se non cambiando la propria Fede in quella del “mondo nuovo” che stanno preparando dal dopoguerra).
Nessuno pensi di fuggire dall’Occidente!
Solo l’Occidente potrà fuggire da se stesso e sarà un lavoro di lenta preparazione: per superare Yalta l’Occidente dovrà divenire orientale, globale, apolide, aconfessionale. Allo stesso modo globale (non più cattolica!) dovrà divenire anche la Chiesa, com’è accaduto infatti da Wojtyła a Bergoglio.
Anche quel Generale che era andato a riferire a Cossiga e che troppo si era dato da fare fin dal ritrovamento del primo memoriale Moro, persino incontrando Pecorelli, per capire chi c’era dietro quelle “strane Brigate Rosse apparentemente senza generali” è destinato a una brutta fine.
Prima di morire, sul numero 27 della rivista, Pecorelli lo aveva previsto: “[…] Ora c’è solo da immaginarsi […] quale sarà il Generale dei CC che sarà trovato suicida con la classica revolverata che fa tutto da sé […] o con il solito incidente d’auto radiocomandato nelle curve […] o la sbadataggine di un camionista […] o l’incidente d’elicottero […]. Purtroppo il nome del Generale dei CC è noto: Amen”.
Il “Generale Amen” è – secondo la criptografia di Pecorelli – Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso a Palermo con la moglie da misteriosi sicari, ufficialmente mafiosi, probabilmente “non solo mafiosi”, così come “non solo malavitosi” sarebbero i killer di Pecorelli. Quindi è assai probabile che i mandanti remoti dell’omicidio Pecorelli, dell’omicidio Moro e di quel Generale, che era andato a riferire a Cossiga, abbiano significative contiguità atlantiche tra di loro e nel manovrare criminalità comune, politica e mafiosa.
Ed è questa medesima logica che forse decise anni prima la sorte di una ragazza innocente, colpevole probabilmente solo di essere la nipote di un monsignore, che aveva capito che tutto stava cambiando e non voleva essere abbandonato Behind the enemy Lines…
Ma questa è un’altra storia…