Songs Of Conquest - Recensione

Si torna a essere eroi, a comandare eserciti e ad arraffare tesori come negli anni ‘90.

Songs of Conquest – La recensione

Dopo aver fatto la sua conoscenza nel 2022, all’inizio dell’accesso anticipato, è giunto il momento di approfondire il discorso con Songs of Conquest, il promettente gioiellino tutto pixel art e cuore realizzato da Lavapotion. Qualora vi foste persi la nostra anteprima, sappiate che si tratta di un tributo a Heroes of Might and Magic, lo storico franchise di strategici a turni con componente GDR.

Giacché proprio oggi si appresta a debuttare in versione 1.0 su PC via Steam, GOG ed Epic Games Store, migliore occasione per tornare a parlarne non c’è. Distribuito da Coffee Stain Publishing, dotato di solide fondamenta e intuizioni che danno un tocco di nuovo a un gameplay che, specie per chi c’era negli anni ‘90, emana il profumo dei ricordi dolci, Songs of Conquest è pressappoco tutto ciò che qualsiasi orfano di HoM&M possa desiderare.

Un epico ritorno al passato

Probabilmente non sono l’unico che, di quando in quando, ripensa con nostalgia alle ore trascorse impersonando un eroe alla testa del suo esercito personale, esplorando mappe traboccanti di tesori, artefatti, luoghi magici e nemici da affrontare. Heroes of Might & Magic era questo e molto di più, era campi di battaglia suddivisi a esagoni, città da potenziare, risorse da accaparrarsi prima degli altri o da proteggere, era edifici che sbloccavano l’accesso a spettacolari evoluzioni delle unità arruolabili a cadenza regolare.

Lo rammento come fosse ieri. Trascorrevo intere sessioni di gioco a provare tutte le fazioni disponibili, spesso nemmeno terminavo le mie partite talmente tanta era la foga di vedere cosa mi avrebbe riservato la prossima. La curiosità di scoprire tutte le creature e il loro impatto in battaglia era troppo forte. Ecco perché dispiace constatare che Songs of Conquest proponga solamente quattro fazioni, lo trovo un limite non esattamente di poco conto. Ma allora siamo di fronte all’erede di HoM&M o no?

Sì, la ricerca è finita: Songs of Conquest è il degno erede di HoM&M.

Assolutamente sì, i fan della serie Ubisoft difficilmente rimarranno delusi. Gli sviluppatori hanno riversato nella loro creatura tutto il loro amore per quel preciso modus operandi, oggi come allora si devono possedere capacità gestionale e abilità nel comando delle truppe, animo da conquistadores e saggezza amministrativa. C’è anche traccia della loro immensa passione per quei mondi fantasy colmi di ricchezze e di perigli, terribilmente divertenti da esplorare un turno alla volta. Sebbene a un primo sguardo possa sembrare il contrario, Songs of Conquest non copia pedissequamente HoM&M ma ci aggiunge dei tocchi personali. La struttura su cui poggia l'intero gioco è la medesima, tuttavia Lavapotion mira a rendere omaggio alla sua musa ispiratrice offrendocene una reinterpretazione.

Un gameplay classico e contemporaneo

Sia durante una delle quattro (mini) campagne per giocatore singolo o nella modalità conquista, sia nelle sfide PVP in locale od online, Songs of Conquest ci mette nei panni di eroi, anzi di maghi noti come Branditori, alle prese con scenari e biomi di varie dimensioni. L'esplorazione, limitata dai punti movimento disponibili, è fondamentale per espandere i propri regni, conquistarne di nuovi e rendere più salda che mai la propria posizione, giacché consente di recuperare altre risorse oltre a quelle ottenute all'inizio di ogni turno dai propri possedimenti.

A differenza di HoM&M ogni insediamento sotto il nostro controllo, in base al suo livello, prevede più o meno lotti di terreno edificabili chiamati Siti di costruzione. Le varie costruzioni realizzabili possono avere dimensioni piccole, medie o grandi e ciò influisce tanto sui turni necessari per costruirle, quanto sul tipo di lotto necessario. In ciascun sito si può costruire una struttura utile alla produzione di una determinata risorsa, all'addestramento di specifiche truppe, allo sblocco di ricerche con cui migliorare vari aspetti della nostra società oppure alla fornitura di altri servizi.

Un insediamento può espandersi fino a diventare imponente.

Trovare il giusto equilibrio nell’investire i materiali a disposizione è cruciale per poter contare su un buon rapporto fra forza economica e potenza militare, ma il gameplay non si riduce a questo, si deve anche decidere il tipo di approccio da adottare: magia, forza bruta o un mix? Le risorse non bastano mai, occhio. Fortunatamente, gironzolare per la mappa permette di recuperare artefatti o pezzi d'equipaggiamento con cui migliorare le abilità e le statistiche dei propri beniamini e, in alcuni luoghi specifici, di arruolare ulteriori truppe con cui, alla bisogna, si possono rimpolpare i ranghi dei nostri eserciti. Tra eventi casuali, punti d’interesse d'ogni sorta, reliquie che donano buff temporanei e molto altro ancora, l'esplorazione è una componente essenziale del gameplay.

Anche qui la visuale è a volo d’uccello, ma lo zoom permette di godersi da vicino ogni dettaglio della deliziosa pixel art. C’è anche l’immancabile fog of war, la nebbia di guerra, un velo di tenebra oltre cui si nasconde l'ignoto finché non ci si avvicina abbastanza. Ogni Branditore rappresenta un esercito di dimensioni variabili. Ciò vale anche per i gruppi di nemici mossi dall’IA e per i Branditori avversari, i quali possono essere seguiti da poche unità facilmente sbaragliabili oppure da decine e decine di manigoldi, banditi, mostri e creature caratteristiche dell’immaginario classic fantasy.

Trattandosi di uno strategico con anima GDR non poteva mancare un sistema di progressione. Accumulando esperienza, i Branditori ottengono delle Abilità a ogni nuovo livello (da scegliere fra tre miglioramenti casuali a seconda della classe dell'eroe), però al livello 8 si sblocca un nuovo potere o la possibilità di potenziare uno di quelli che si possiedono già (se ne possono avere massimo due diversi al livello massimo). Prima di approfondire il discorso sugli eroi, diamo uno sguardo alle fazioni.

Questione di retaggio

Ogni fazione possiede tratti immediatamente riconoscibili e unità/costruzioni distintive, sotto questo aspetto il lavoro di caratterizzazione è indubbiamente notevole e, forse, aiuta a spiegare perché, per il momento, ce ne sono solo quattro. Abbiamo gli Arleon, i Rana, i Loth e i Barya, rispettivamente cavalieri semi-classici, rane antropomorfe et similia, negromanti con cadaveri al seguito e mercanti d'aspetto vagamente orientale. Ecco una panoramica di cosa aspettarsi da ciascuna di esse in termini di background e unità:

  • Arleon: i resti di un impero, ora suddiviso in Baronie in guerra, dove i forti emergono e i deboli vengono dimenticati. I cavalieri sono uniti in un difficile accordo con le Faey, creature magiche dei boschi profondi. Ma nemmeno la paura dei Faey fermerà le ribellioni contadine. Ad Arleon l'ordine viene imposto con un'ascia affilata.
  • Barya: la baronia di Barya si sciolse dalle catene dell'Impero e si alleò con Harima per formare stati mercantili indipendenti. Ora i contratti sono legge e chiunque, umano o Harima, può elevarsi grazie ai propri accordi e alle proprie azioni. L'arte degli armeggiatori li mantiene un passo avanti rispetto ai loro nemici e il suono dell'Hellbreath terrorizza tutti.
  • Rana: abitanti delle paludi, dispersi dai loro nemici e talvolta ridotti in schiavitù. Ma un misterioso Wielder è risorto, unendo la gente della palude per riscoprire la loro vera forza. I feroci Devastatori, il saggio Chelun e persino la segreta Eth'dra, tutti risponderanno alla chiamata del Wielder e il mondo tremerà nel sentirli ruggire.
  • Baronia di Loth: Loth, una baronia in declino, abbraccia la promessa della Società Invisibile di riportare in vita i gloriosi giorni della pace e dell'impero. Cultisti e studiosi scavano antichi luoghi di battaglia alla ricerca di artefatti arcani e chiamano le legioni del Giuramento a servire ancora una volta. Loth risorgerà al suo antico splendore, anche se ciò significa riportare in vita i morti.

Indipendentemente dalla fazione scelta o degli obiettivi specifici di alcune missioni single player, ogni partita è una lotta per la supremazia in cui il vincitore viene determinato tanto dalla capacità di gestione delle risorse, quanto dall’abilità sul campo di battaglia. Come qualunque gioco di strategia che si rispetti, infatti, in Songs of Conquest ogni condottiero deve saper usare il cervello e la spada.

Al mio segnale scatenate l'inferno!

Le battaglie si svolgono a turni, su campi divisi da esagoni che rappresentano le caselle in cui possono o non possono muoversi le diverse pedine. Il numero sotto ogni unità indica la dimensione della truppa, e se trenta scheletri non fanno paura a nessuno, un paio di colossi possono incutere timore anche nei più temerari. Ogni unità è provvista di statistiche che la rendono più o meno adatta ad affrontare questo o quel nemico, niente di nuovo per chi sgranocchia strategici anni '90 a colazione.

Le novità rispetto a HoM&M sono rappresentate dai Bardi, unità uniche per ogni fazione in grado di potenziare le truppe, e soprattutto dall’Essenza, in sostanza il mana con cui i Branditori possono lanciare incantesimi di vario tipo, potenziamenti e maledizioni. A ogni turno si guadagna una o più dosi di Essenza in base alla natura delle truppe comandate, agli edifici/punti d'interesse posseduti e alle abilità e all'equipaggiamento del singolo Branditore.

Con cinque diversi tipi di Essenza (Caos, Ordine, Distruzione, Arcana, Creazione), il combat system canonico è irrobustito da un ulteriore strato strategico che male non fa. Pur non essendo presenti fisicamente sul campo di battaglia, i Branditori hanno un impatto considerevole sull'esito degli scontri. La gestione dell'Essenza dona una nuova screziatura strategica al gameplay, inoltre contribuisce a collegare ciascun Branditore non soltanto alla fazione cui appartiene, ma anche al proprio esercito e alle scelte effettuate in fase di personalizzazione del personaggio o in fase di base building. Bene anche i bonus/malus legati alla conformazione del terreno e al posizionamento, due elementi che fanno parte della caratteristica Vantaggio tattico, con le truppe dalla distanza che, ad esempio, sono avvantaggiate quando si trovano in una casella rialzata rispetto al nemico. Attenzione quando si decide di allontanare un’unità da un nemico: se la nostra si trova entro il raggio d'azione dell'avversario, il movimento può causare un contrattacco.

Sfruttare i vantaggi offerti dal terreno può fare la differenza tra una vittoria e una sconfitta.

Songs of Conquest non rivoluziona la ricetta proposta eoni fa dalla sua autorevole fonte d’ispirazione, basta poco per accorgersene. Allo stesso tempo però, qua e là, si notano dei ritocchi al gameplay classico che funzionano quel tanto che basta per dargli una parvenza di nuovo. Ogni peculiarità lo rende indubbiamente più vicino alla visione e ai sogni dei ragazzi di Lavapotion di quanto non fosse HoM&M, ma è lapalissiano l’intento di non stravolgere o, peggio ancora, rovinare quel tipo di esperienza con interventi fuori luogo. Immergendosi nella versione 1.0 si ha l’impressione che, con trascinante passione, infinta cura per i particolari e le naturali differenze, Songs of Conquest rievochi nel giocatore le indimenticabili sensazioni del passato con un piglio moderno ma rispettoso.

Un più che degno erede

Se da un lato abbiamo un riuscito tributo a una serie che occupa un posto speciale nel cuore di molti appassionati, dall’altro c’è uno strategico a turni con anima GDR che, anche a causa di una difficoltà tutto sommato tarata verso il basso, rappresenta un buon punto d’ingresso per chi si avvicina per la prima volta al genere. I giocatori più scafati probabilmente troveranno gli stimoli più interessanti nelle partite PVP, ma anche se dovessi sbagliarmi andrebbe benissimo comunque.

Non è semplice trovare grandi difetti nell'opera svedese. Le qualità di Songs of Conquest sono evidenti fin dalla prima partita, ogni squisito pixel esprime il suo saldo legame con chi l’ha preceduto, ma non è solo questione di copia/incolla fatto bene. Si evince con travolgente intensità la passione degli sviluppatori per gli strategici anni ‘90, è quasi tangibile il fatto che il loro progetto sia prima di tutto un sogno che si realizza, poi qualcosa di lavorativo. Giocando, combattendo, esplorando, conquistando e ascoltando le canzoni che narrano le gesta dei Branditori, si percepisce nettamente il loro divertimento nel crearlo, e sono sicuro che anche per questo motivo ci divertiremo come matti a giocarlo fino allo sfinimento. È pur vero che quattro fazioni sono pochine e tocca sperare in futuri DLC: che questo sia solo l'inizio di una nuova, avvincente leggenda nel mondo dei videogiochi?

Verdetto

Songs of Conquest esce dall'accesso anticipato in grande stile, confermando tutte le buone sensazioni della fase "work in progress" e limando alcune sbavature come da programma. I nostalgici di Heroes of Might and Magic possono acquistarlo a occhi chiusi, l'unico rischio che corrono è innamorarsi follemente nonostante l'esiguo numero di fazioni. I meno avvezzi alla strategia classica e chi non ha mai giocato un HoM&M farebbero bene a dargli comunque una chance, e non mi riferisco solo alla difficoltà non esattamente proibitiva per i veterani: non capitano spesso strategici a turni così ben fatti in ogni componente, ma soprattutto non capitano spesso videogiochi realizzati con così tanto amore da poterlo quasi toccare con mano.

In questo articolo

Songs Of Conquest

Coffee Stain
  • Piattaforma
  • PC
  • Macintosh

Songs of Conquest – La recensione

8.5
Buono
Un appassionante strategico a turni che omaggia a modo suo un franchise storico. Che sia l'alba di una nuova leggenda?
Songs Of Conquest
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