Ultimo: «Non conosco coetanei che votino o vadano in chiesa. Essere giovani è tremendo» | Corriere.it

Ultimo: «Non conosco coetanei che votino o vadano in chiesa. Essere giovani è tremendo»

diAldo Cazzullo

Intervista al cantautore Ultimo: «I ragazzi aspettano un domani che non arriverà mai, i social ti anestetizzano. Io ho ancora bisogno dello psicoterapeuta»

«E ssere giovani oggi è tremendo. Perché sei senza punti di riferimento». 
Cosa intende, Ultimo?
«Non conosco nessun ragazzo della mia età che vada a votare, e nessuno che vada in chiesa».

Forse c’è un legame tra le due cose. Lei cosa vota?
«Io non ho mai votato in vita mia. Non dico sia giusto. Non me ne vanto, non me ne vergogno. Certo non è colpa dei giovani».

Di chi allora?
«Della politica. La politica è scarsa. Non parla ai ragazzi e non ci prova neppure. Non parla a me che ho 28 anni; figuriamoci a un diciottenne. Siamo stufi di questa spaccatura tra destra e sinistra. Immagini quale effetto avrebbe un politico che dicesse: io non scelgo né la destra né la sinistra. Scelgo l’alto».

Destra e sinistra esistono. Da sempre.
«Sono contrapposizioni che hanno stancato. Fascisti e comunisti: i giovani non ne possono più. Cos’è la sinistra? L’ipocrisia del buonismo? Cos’è la destra? Il cattivismo di chi chiude i porti a coloro che muoiono in mare?».

Lei come la pensa?
«Sono temi complessi, non mi piace chiuderli in tre righe, ma nemmeno nascondere quello che penso. L’immigrazione esiste da sempre e tutti siamo immigrati di qualcuno: nascere a Roma anziché a Bamako, dove con Unicef ho visto di persona come si vive, non è talento, è culo; chi nasce in zona di guerra e di terrorismo ha diritto a vivere la propria vita altrove. Questo è di sinistra?».

Così dicono.
«Ma per fare un altro esempio, se sono in casa con la mia ragazza, la mia famiglia, ed entra un criminale, io per difendere la mia ragazza, la mia famiglia, gli sparo. Questo è di destra?».

La vedo bellicoso.
«Ma no, non ho neppure la pistola, non ci penso neanche. E legalizzare le droghe leggere? È di destra o sinistra? Io non capisco perché uno può scolarsi una bottiglia di whisky fino a morirne, e un altro non può farsi una canna in pace».

Non so se la Schlein sarebbe d’accordo.
«Boh, sa che io a volte fatico a capire di cosa parla?».

La Meloni rivendica di essere una donna del popolo, di borgata.
«Forse è per questo che è la più votata? Ma non sento nessuno, neppure la Meloni, affrontare quello che sta a cuore ai giovani. Non vedo politici in strada, nei bar, tra la gente. In tv non c’è una buona notizia. Guerre. Bombe. Su X già annunciano la prossima pandemia. Ma ci rendiamo conto di quale trauma sia stato per i ragazzi la pandemia?».

Lei come l’ha passata?
«A scrivere canzoni. Ho dovuto rinunciare a un tour con 15 stadi già organizzato. Ma per carità, so benissimo che per altri è stato molto peggio. C’è una generazione che non ha fatto il viaggio della maturità, che si è vista bloccata in casa al momento di spiccare il volo, che ha perso per sempre opportunità che non tornano».

Parlare di salute mentale non è più tabù. Lei ha sempre la psicoterapeuta?
«Certo. Troppi ragazzi passano dieci, dodici ore al giorno a scrollare video su TikTok. I social ti anestetizzano. Ti stuprano il cervello».

Lei su Instagram ha 3 milioni e 600 mila follower.
«Nei social siamo dentro tutti. Ma un conto è postare una foto; un altro passarci la giornata. Qualche volta ci casco pure io; figurarsi un dodicenne. Guardi il video di uno che cucina, il video di uno che cade dal terzo piano, il video sulla tua squadra preferita, il video sul tuo cantante, il video di uno che cade in bicicletta... Ti dà dipendenza. Ci stiamo addormentando. Stiamo diventando amebe».

La vita virtuale prevale su quella reale?
«Non lo so, ma vedo che la gente non esce più di casa. Per strada ha paura, in periferia e non solo. I giovani sono anestetizzati. Fermi. Aspettano un domani che non arriva e non arriverà. Postano cose che non hanno. Mangiano a casa ma fingono di essere al ristorante».

Per cambiare la politica bisognerebbe farla.
«Ma i cantautori fanno politica. Io nel mio piccolo penso di fare politica con le mie canzoni. “Dalla parte degli ultimi per sentirmi primo” è un verso politico. “Alba”, credo sia una canzone politica: parla dell’interiorità, dell’idea di superare se stessi. Un medico che lavora nel privato e il sabato va negli ospedali a curare i malati gratis fa politica. Come un medico che va in zona di guerra a curare i feriti. Ognuno deve fare politica con i propri mezzi e conoscenze. Certo, la politica conta fino a un certo punto».

Cosa intende?
«Credo non sia Biden a comandare. Biden è un interlocutore tra la gente e quelli che comandano davvero».

Chi sono?
«I padroni del Mercato. I giganti del commercio digitale. Quelli che non pagano le tasse: un menefreghismo vergognoso. Lo Stato perseguita l’idraulico che ha evaso venti euro, e si disinteressa di quelli dei paradisi fiscali. Chi ha di più deve dare di più. Invece abbiamo costruito un mondo in cui più sei ricco, meno paghi. Un mondo al contrario».

Qui siamo a Vannacci.
«Vannacci è incommentabile».

Cos’altro non le piace della politica?
«Mi sembra che si stia esagerando con il globalismo. La bellezza è nel fatto che siamo diversi. Io sono diverso da un cinese. Non sopra, né sotto; diverso. La diversità va difesa, non strumentalizzata dalla politica».

Nelle università molti studenti si impegnano per la Palestina.
«La guerra è sempre sbagliata, certo. Io sono del 1996, sono nato con la guerra, i miei primi ricordi sono legati alla guerra in Iraq, la mia generazione è cresciuta vedendo bombe alla televisione. Non impugno la bandiera palestinese come non impugno quella di Israele, perché non è una partita di calcio».

E in chiesa ci va?
«Da piccolo ci andavo. Crescendo diventi più realista».

Crede in Dio?
«Sono sempre alla ricerca. Ho bisogno di credere, sento una grande fede dentro. Ma un conto è credere in un dio, in un’entità, nelle energie; e io credo nelle energie, in quelle che Jung chiamava le sincronicità: come incontrare la persona giusta al momento giusto. Un altro conto è credere nella Chiesa».

Papa Francesco?
«Lo ascolto quando invoca la fine delle guerre. Condivido, ovviamente. Non so se il Papa possa fare di più, certo non può andare al confine di Gaza. Sinceramente, non mi pare che neppure lui sia un punto di riferimento per i giovani. Ne conosco pochi che si dicono cristiani. Anche se in realtà lo siamo».

Lo diceva Benedetto Croce.
«Se sei fidanzato e tradisci, ti senti in colpa: e questo ti viene dalla cultura cristiana. Come l’attaccamento alla famiglia. Ma se ti rivolgi alla Chiesa per trovare un senso alle cose, puoi restarne deluso».

Perché?
«Noi proviamo a dare un senso alle cose. Ma la realtà non è sensata. La realtà è tremenda. È schifosa. Guerra, paura, sottomissione, chiusura: stai attento a quello, non fare quell’altro. Per questo ci costruiamo un altrove».

Qual è l’altrove per lei?
«Bere un buon vino con i miei amici. Guardare Shameless, una serie americana, con la mia fidanzata Jacqueline. Le canzoni. Non è scappare dal mondo; è guardarlo con gli occhi dell’altrove. Da ragazzo l’altrove era il parchetto di San Basilio. Quello che il sindaco Gualtieri mi ha dedicato. Ne sono davvero orgoglioso. Da anni la gente lo chiamava già il parchetto di Ultimo. Lo trovavi già così pure su Google».

Non le fa impressione avere un parchetto dedicato, da vivo?
«Ma io auspico che presto sarà intitolato a qualcun altro. Qualcuno che vada lì a dire: se ce l’ha fatta Ultimo, venuto su da solo senza il famoso calcio nel sedere e senza nessun musicista in famiglia, posso farcela anch’io. Ho anche creato un’etichetta con i miei amici, Ultimo Records: da solo, con le mie canzoni, in una giungla come quella discografica. Lotto contro tutti, con un fiore».

Perché dice che deve tutto a Clemente Zard?
«Perché mi ha preso dopo che avevo suonato davanti a otto persone al mercato del pesce di Testaccio, e mi ha portato qui».

Con la prossima tournée lei avrà riempito 33 stadi, tra cui per 7 volte l’Olimpico, più il Circo Massimo. Come spiega questo successo?
«Andrebbe chiesto a chi mi apprezza. Forse perché sono vero. Onesto. Trasparente al cento per cento. Perché non scrivo canzoni per farne un successo, ma per tirare fuori quello che ho dentro. Quando canto, io ci credo. Puoi dirmi quello che vuoi, anche che ti faccio cagare, qualcuno me l’ha detto e gli ho stretto la mano; ma non puoi dirmi che non ci credo, che non sento quello che canto. E credo che la gente capisca quando una cosa è vera. Le persone si aggrappano a me, alle mie parole. Mi abbracciano per strada, piangono».

E dei rapper e trapper cosa pensa? Ogni tanto qualcuno finisce in galera.
«Se cantano quel che hanno visto e vissuto, bene. Sbagliano quando se ne fanno un vanto. Come la droga: ne puoi parlare; non dire quanto ti senti fico a drogarti».

Lei è amico di Venditti, e pure di De Gregori.
«Sono due grandi cantautori, ma sono diversi. De Gregori ha una scrittura raffinatissima, l’album in cui canta Dylan è straordinario. Antonello ha una scrittura di pancia, che sento più vicina».

Ultimo: «Non conosco coetanei che votino o vadano in chiesa. Essere giovani è tremendo»

Antonello Venditti (Ansa)

E Vasco?
«Ho passato due giorni con lui a Los Angeles. Vasco è unico e inimitabile. Non ci sarà più nessuno come lui».

Ultimo: «Non conosco coetanei che votino o vadano in chiesa. Essere giovani è tremendo»

Vasco Rossi (LaPresse)

Com’è andato il concertone del primo maggio?
«È stato un passaggio importante della mia carriera. Forse non è un caso che per la prima e ultima volta si sia fatto al Circo Massimo, un posto magico per me. Ho iniziato cantando Pianeti, e sono stato sovrastato dal canto della folla; per questo le ho lasciato il microfono».

Tornerà a Sanremo?
«Non credo».

Nel 2019 lei aveva vinto nel voto popolare. Baglioni dice che è sbagliato avere tre giurie, ne basterebbe una sola.
«Forse possono anche essere tre. Ma gli esperti dovrebbero votare senza conoscere il voto popolare, e quindi senza potersi accordare per far perdere qualcuno. Come è accaduto anche a Geolier».

È sempre ipocondriaco?
«Tantissimo. Da quando, per preparare l’esame di ammissione alla seconda liceo, mi scolai una caffettiera, e mi venne la tachicardia. Anche ora mi torna, perché quando parlo mi accaloro. E poi il reflusso gastrico: sono sette anni che prendo il gastroprotettore, ora ho dovuto smettere. Avevo scommesso con Mauro, il mio amico medico, che non sarei arrivato a compiere 27 anni. Ho perso».

19 maggio 2024