Riflessioni sulle letture festive – Solennità dell’Ascensione del Signore: Gesù elevato in cielo continua la sua permanenza invisibile tra noi - Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio

Riflessioni sulle letture festive – Solennità dell’Ascensione del Signore: Gesù elevato in cielo continua la sua permanenza invisibile tra noi

La Delegazione di Roma e Città del Vaticano del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, nell’obiettivo di fornire una formazione continua ai propri Cavalieri, Dame e Postulanti, con la Domenica delle Palme 2024 ha iniziato la pubblicazione sul proprio canale YouTube dei podcast con delle riflessioni sulle letture festive, a cura dal Referente per la Formazione, Prof. Enzo Cantarano, Cavaliere di Merito con Placca d'Argento. È stata pubblicata la Meditazione sulle letture della Solennità dell’Ascensione del Signore, 12 maggio 2024.
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Podcast 12 maggio 2024 – Solennità dell’Ascensione del Signore: Gesù elevato in cielo continua la sua permanenza invisibile tra noi [QUI]

Quaranta giorni dopo la Pasqua, solennizziamo l’Ascensione di Gesù al Padre. Alto risuona per tutti noi l’invito della Orazione Colletta ad esultare di santa gioia, in Dio, per il mistero che si celebra in questa liturgia di lode, poiché nel Figlio asceso al cielo anche la nostra umanità lo è e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria. Lo ribadisce il Prefazio: “Il Signore Gesù, re della gloria, vincitore del peccato e della morte, oggi è salito al cielo tra il coro festoso degli angeli. Mediatore tra Dio e gli uomini, espressione viva della misericordia del Padre e Signore dell’universo, non si è separato dalla nostra condizione umana, ma ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria”.

I due racconti dell’Ascensione del Signore secondo Luca, quello della prima lettura di oggi, tratto dagli Atti degli Apostoli (At 1,1-11), e quello del suo Vangelo (Lc 24,46-53), presentano lo stesso avvenimento in una luce diversa. Mentre nel Vangelo, infatti, la narrazione si struttura attorno alla dossologia del glorioso termine terreno della vita pubblica di Gesù, negli Atti l’Ascensione è vista come il punto di partenza dell’espansione missionaria della Comunità dei Christifideles.

A questa seconda impostazione si attiene anche Marco nel Vangelo che ascoltiamo proclamato oggi (Mc 16,15-20). Tutte le letture odierne ci invitano ad andare oltre al dato oggettivo dell’evento descritto in termini spazio-temporali. Infatti la “elevazione” al cielo del Signore risorto, “quaranta giorni” dopo la Pasqua, ci annuncia la conclusione di una fase della storia della salvezza e l’inizio di un’altra: quel Gesù con il quale i discepoli hanno continuato, fino al giorno del suo commiato, a “mangiare e bere”, quel Gesù che “fu elevato al cielo e siede alla destra di Dio”, non scompare dalla vita terrena dei suoi fedeli, ma continua la sua permanenza invisibile tra loro. Essi sono chiamati a continuare la sua missione, l’annuncio del Regno, ed a rendere testimonianza della continuità dell’azione del Signore che conferma la sua Parola con i segni della sua potenza.

Per questo, nella Prima Lettura, gli angeli, dopo l’Ascensione del Risorto, invitano gli Apostoli a non attardarsi a guardare il cielo: l’avvenimento a cui hanno assistito non coinvolge solamente loro, ma da esso prende il via un dinamismo universale, salvifico e missionario, che sarà animato dallo Spirito Santo. Prima di salire alla destra del Padre, Gesù affida a loro un’impresa ambiziosa: quella di evangelizzare non solo il popolo di Israele o l’impero romano, ma il mondo intero, la creazione tutta. “Sembra davvero troppo audace l’incarico che Gesù affida a un piccolo gruppo di uomini semplici e senza grandi capacità intellettuali!” Eppure, “questa sparuta compagnia, irrilevante di fronte alle grandi potenze del mondo, è inviata a portare il messaggio d’amore e di misericordia di Gesù in ogni angolo della terra” (Papa Francesco – Regina Caeli, 3 maggio 2018).

Anche noi abbiamo ricevuto questo stesso compito divino, e per questo sentiamo così vicino quel giorno nel quale Gesù è salito al cielo. Dalla considerazione sulla enorme responsabilità di questo munus derivano anche le alate parole di Paolo, nella Seconda Lettura (Ef 4,1-13). Per adempiere ad un compito così immane egli invoca “il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, affinché vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore. Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato non solo nel tempo presente, ma anche in quello futuro. Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose”.

Così, la comunità dei credenti, consapevole di aver ricevuto un potere divino, piena di slancio missionario e di gioia pasquale, diventa nel mondo testimone della nuova libertà dei figli realizzata pienamente nel Signore Gesù. Certo il trascorrere dei secoli ha influito anche sulle caratteristiche umane e storiche di questa comunità e su questi cambiamenti e sul loro senso si è espressa anche la riflessione conciliare, in particolare sul rapporto tra questa comunità ed il Mondo, nella Costituzione Gaudium et Spes con alcuni testi fondamentali sulle false pretese dell’ateismo, secondo il quale “la religione sia di ostacolo, per natura sua, a tale liberazione, in quanto, elevando la speranza dell’uomo verso una vita futura e fallace, la distoglie dall’edificazione della città terrena” (GS 20); o su di un nuovo equilibrio da ritrovare perché “l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo.

Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Dio, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza per il Regno di Dio” (GS 39; cf. anche GS 43 e 57). Ma, siccome c’è sempre chi dubita, compresi i discepoli, secondo il Vangelo dell’Ascensione di Marco, ciò è possibile solo se Gesù è presente in mezzo ai suoi perché è da questa presenza del Signore che scaturisce la responsabilità e la missione della evangelizzazione.

Tutto ciò si realizza ed è “ritualizzato” nella Celebrazione Eucaristica in cui l’assemblea si riunisce ed è già una testimonianza e un annuncio del Signore Gesù; egli è presente con la Parola e l’Eucaristia, realizzando la promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo”.

Nella liturgia della Parola si adempie il comando di Gesù: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura”. La parola proclamata suscita, nel “Credo”, la risposta di fede nel mistero di Cristo e la speranza comune di essere un giorno, per sempre, uniti nella gloria al Signore Gesù, vincitore del peccato e della morte, come leggiamo nel Prefazio, nell’unica realtà che permea l’intera Santissima Trinità e relaziona il Creatore e il Creato, quella che rimane per sempre: l’Amore (1Cor 13, 13).

La sua presenza in noi è pegno della nostra partecipazione con lui ed in lui alla vita presso il Padre; anzi, la realtà sacramentale già ce lo fa pregustare oggi. Una assemblea liturgica che celebra con sincera adesione questi aspetti del mistero, diventa testimonianza viva dell’azione di Cristo nella Comunità di tutti quanti credono in lui e nell’umanità nuova da lui inaugurata con la sua “ascensione” presso il Padre.

Questa realtà ce la presenta magistralmente, in uno dei suoi Discorsi, Sant’Agostino: «Ascoltiamo l’apostolo Paolo che proclama: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3, 1-2). Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso. Cristo ormai esaltato al di sopra dei cieli, soffre qui in terra tutte le tribolazioni che noi sopportiamo come sue membra. Perché allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro Salvatore attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui. E Cristo può assumere questo comportamento in forza della sua divinità e onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri divini, ma per l’amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo. Infatti egli stesso dà testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra quando Giovanni (3,13) gli fa dire: Nessuno è mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo, che è in cielo. Questa affermazione fu pronunciata per sottolineare l’unità tra lui nostro capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se non Cristo, perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il Figlio dell’uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui. Così si esprime l’Apostolo parlando di questa realtà: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo” (1 Cor 12,12). L’Apostolo non dice: “Così Cristo”, ma sottolinea: “Così anche Cristo”. Cristo dunque ha molte membra, ma un solo corpo. Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui. E così non discese se non Cristo e non è salito se non Cristo. Questo non perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché l’unità del corpo non sia separata dal capo».

Gesù ascende al cielo, ma non ci abbandona: «Gesù è presso il Padre, ma non è lontano da noi, è vicino a noi. Ora non si trova più in un singolo posto del mondo come prima della “ascensione”; ora, nel suo potere che supera ogni spazialità, Egli è presente accanto a tutti e invocabile da tutti, attraverso tutta la storia e in tutti i luoghi», come scrisse Benedetto XVI (Gesù di Nazaret, II, p. 329). Gesù ascende al Padre e, allo stesso tempo, rimane con noi: lo Spirito Santo abita nella nostra anima e il Signore resta con noi anche fisicamente nell’Eucarestia.

La solennità dell’Ascensione del Signore ci infiamma nella speranza di condividere la gioia di Gesù, alla quale siamo chiamati quali membra del suo corpo. «Questo “esodo” verso la patria celeste, che Gesù ha vissuto in prima persona, l’ha affrontato per noi. È per noi che è disceso dal Cielo ed è per noi che vi è asceso, dopo essersi fatto in tutto simile agli uomini, umiliato fino alla morte di croce, e dopo avere toccato l’abisso della massima lontananza da Dio. Proprio per questo il Padre si è compiaciuto in Lui e Lo ha “sovraesaltato” (Fil 2, 9), restituendoGli la pienezza della sua gloria, unita alla nostra umanità. Dio nell’uomo – l’uomo in Dio: questa è ormai una verità non teorica, ma reale. Perciò la speranza cristiana, secondo Papa Benedetto XVI, fondata in Cristo, non è un’illusione ma, come dice la Lettera agli Ebrei, «”in essa noi abbiamo come un’àncora della nostra vita” (Eb 6, 19), un’àncora che penetra nel Cielo dove Cristo ci ha preceduto» (Regina Caeli, 4 maggio 2008). Il Signore ci aspetta in cielo e ci manda lo Spirito Santo, i suoi doni e i suoi frutti, affinché anche noi raggiungiamo la meta. “Dopo che il Signore fu salito al Cielo, i discepoli si raccolsero in preghiera nel Cenacolo, con la Madre di Gesù (At 1, 14), invocando insieme lo Spirito Santo, che li avrebbe rivestiti di potenza per la testimonianza da rendere a Cristo risorto (Lc 24, 49; At 1, 8). E, come ebbe a dire Papa Benedetto XVI, «ogni comunità cristiana, unita alla Vergine Santissima, rivive in questi giorni tale singolare esperienza spirituale in preparazione alla solennità della Pentecoste» (Regina Caeli, 8 maggio 2005).

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