Termini Imerese: i De Michele, da mastri a baroni di S. Giuseppe-Villaurea

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Questa nostra ricerca costituisce un tassello di uno studio più ampio incentrato sul patriziato urbano della cittadina demaniale di Termini Imerese fra Cinquecento ed Ottocento.

L’indagine è stata focalizzata sulla casata che ebbe il titolo baronale di S. Giuseppe, divenuto allo scadere del Settecento di S. Giuseppe-Villaura, con la fondazione del borgo di Villaura o Villaurea.

La famiglia che detenne questo titolo nobiliare sin dalla seconda metà del Seicento, nei documenti appare cognominata Dimicheli/Di Micheli o De Michaele o Di Miceli. Di detto lignaggio, sinora si avevano scarsissime notizie, spesso anche contraddittorie.

I risultati di queste nostre ricerche, lungi dall’essere definitive, hanno consentito per la prima volta di delineare la storia della casata anche anteriormente alla concessione nobiliare, il suo ruolo, ed il profilo dei suoi primi esponenti all’interno nella realtà siciliana e, nello specifico termitana, tratteggiando altresì la sua affermazione economica, sociale, politica e cittadina.

Il primo personaggio di questa casata, documentata a Termini Imerese sin dalla prima metà del Cinquecento, del quale abbiamo trovato riscontri è un certo vicenso [sic, Vincenzo] dimicheli che, il 12 Ottobre IIa Indizione 1544, fece battezzare dal sac. Stefano Spataro, la figlia Sicilia (cfr. Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, d’ora in poi AME, Battesimi Maggior Chiesa, vol. 1, 1542-48, f. 41r n. 2). Quest’ultima, ebbe come padrini, il Magnifico Antonio Satariano ed il Magnifico Andrea La Scalia, mentre la madrina fu una certa Antonina La Provenza [ms. lapurvenca, metatesi di [la] pruvenca, sicilianizzazione del provenzale provença]. I padrini appartenevano a due casate del locale patriziato urbano, la prima originaria di Lipari, l’altra dalla Calabria (cfr., rispettivamente, P. Bova, A. Contino, Traffici commerciali sulla rotta marittima Lipari-Termini Imerese tra il XI-XVIII sec., “Esperonews”, 18 Febbraio 2019; Idem, Cognomi di origine calabrese a Termini Imerese tra il XV ed il XVIII sec., “Esperonews”, 19 Maggio 2020, entrambi on-line su questa testata giornalistica).

In un atto di battesimo successivo, il detto Vincenzo Di Micheli è qualificato con il titolo di mastro, segno che aveva acquisito un alto grado di specializzazione e competenza, potendo altresì disporre di una propria bottega artigianale con apprendisti e lavoranti alle dipendenze. Infatti, il 21 Settembre VIa Indizione 1547, m[astr]o vic[ens]o dj mjchelj è documentato in qualità di padrino, assieme al m[agni]f[ico] ph[ilipp]o cabella essendo madrina una certa Domenica lagrigola, al battesimo (officiato dal sac. Stefano Spataro) di Joseph figlio di firra[n]tj lo mutaro (cfr. AME, Battesimi Maggior Chiesa, vol. 1, f. 104r n. 7). La presenza del secondo padrino, il Magnifico Filippo Cabella, di chiara origine ligure (avendo un tipico cognome toponimico che deriva da Cabella Ligure, centro abitato oggi in provincia di Alessandria, sull’Appennino Ligure), nonostante l’assenza di alcuna specifica indicazione, induce a sospettare la medesima ascendenza anche per i Dimicheli che, del resto, sono documentati nella Superba (cfr. G. A. Musso, La università delle insegne ligustiche delineate da Gio. Andrea Musso, manoscritto cartaceo del 1680, Biblioteca civica Berio di Genova, ai segni m.r.C.f.2.22, n. 1983: De Michaele).

Nella seconda metà del Cinquecento abbiamo reperito ulteriori riscontri documentari relativi ad un Jacopo (Giacomo) di Micheli, che appare soprannominato Pisci (alias Pixi). Compulsando i registri, siamo riusciti a rintracciare gli atti battesimali di due figli: Francesca (b. 11 Ottobre XVa Indizione 1571, cfr. AME, Battesimi Maggior Chiesa, vol. 2, 1562-84, f. 92) e Rocco (b. 16 Giugno VIIa Indizione 1579, cfr. AME, Idem, f. 197). Il detto Giacomo doveva essere defunto allo scadere del Cinquecento, visto che appare menzionato come quondam nell’atto matrimonio di un’altra figlia, Sicilia, andata in sposa, addì 25 Maggio XIIIa Indizione 1600, a Mastro Giuseppe Capuano, alla presenza di Mastro Polito (Ippolito) Spataro e di Mastro Giovanni Scharano (cfr. AME, Sponsali Maggior Chiesa, vol. 7, 1584-1601, f. 75).

Alla fine del Cinquecento, un certo Mastro Vincenzo [di Giacomo?] di Miceli alias Pixi, il 20 Febbraio VIIa Indizione 1594, sposò Angelina Spataro, figlia di Mastro Ippolito (Polito) Spataro, alla presenza di Mastro Nicolò Chiaccula e Mastro Giacomo Xiatarella (cfr. AME, Idem, f. 48r n. 5). Dei figli nati dalla coppia di Miceli-Spataro, compulsando i registri di battesimo ne abbiamo potuto rintracciare ben undici, nati tra il 1595 ed il 1613 (Giacomo, Bartolomeo Erasmo, Erasmo, Francesco Maria, Luciano, Mariano, Angela, Diana, Sicilia ed i gemelli Pietro e Giovanni). Mastro Vincenzo era un fabricator che gestire una vera e propria impresa di costruzione. Allo stato attuale delle ricerche, non è possibile stabilire se vi siano stati rapporti di parentela tra la famiglia di appartenenza di Mastro Vincenzo e gli altri De Michele o De Michaele ai quali appartenne l’altro fabricator termitano, qualificato come Honorabilis Magister, Domenico de Michaele, nonno materno di Vincenzo La Barbera, architetto civico, ingegnere militare, e pittore (Termini Imerese, 1577 c. – Palermo, 1642).

Tra i figli superstiti di Mastro Vincenzo, si distinsero Francesco Maria (b. 28 Novembre XIIIa Indizione 1599, cfr. AME, Battesimi Maggior Chiesa, vol. 5, 1584-1602, f. 193v n. 1; padrino: Don Mario Crollalanza) e Mariano (b. 18 Aprile XVa Indizione 1602, cfr. AME, vol. 12, 1602-1613, f. 69v n. 3, padrino: Battista di Pauli, di famiglia originaria della Liguria), nonché la sorella Angela, che contribuirono all’ascesa della casata, resa possibile dalla recente accumulazione patrimoniale portata avanti dal padre, mastro Vincenzo. I tre rampolli, miravano ad accrescere il prestigio familiare nella società cittadina, attraverso uno stile di vita more nobilumi, basato sull’acquisizione di cariche pubbliche, su una accorta politica matrimoniale, e sulla ricerca di un territorio all’interno di ambiti già feudali al fine di ritagliarsi un proprio “spazio” ed entrare così a far parte della élite nobiliare.

Il grande artefice dell’ascesa familiare e  della relativa «nobilitazione», fu Francesco Maria di Micheli, figura sicuramente ancora da studiare nel dipanarsi del suo excursus honorem, ma che alla luce dei dati sinora raccolti, appare certamente pratica di maneggi e ben radicata nella complessa realtà socio-politica, economica e culturale siciliana, in stretti rapporti con la corona e la corte madrilena.

Una prima cospicua operazione finanziaria fu diretta all’inserimento dei detti esponenti della famiglia nella ristretta oligarchia dei grandi proprietari terrieri. Ciò, anche se indirettamente, evidenzia che essi sostituirono le tradizionali attività artigianali e mercantili della famiglia, per orientarsi verso il possesso di tenute agrarie, al fine di una razionale ottimizzazione degli investimenti monetari. Del resto, è ben noto che l’acquisto di terreni, per coloro che disponevano di notevoli capitali, costituiva già allora una forma notevolmente affidabile di investimento finanziario, soprattutto durante la particolare congiuntura economico-istituzionale del Seicento siciliano. A nome della sorella Angela, infatti, fu pattuito l’acquisto del vasto territorio della Bandera, uno dei membri del feudo di Brucato. Quest’ultimo, infatti, a quel tempo era posseduto dalla famiglia Pilo, di ascendenza genovese, che si era radicata a Palermo nel corso del Cinquecento. Un Lorenzo si era insignorito della Baronia di Brucato, mentre il suo primogenito, Vincenzo Pilo-Calvello, con sentenza del Tribunale della Gran Corte del 1616, si aggiudicò il feudo e titolo di marchese di Marineo per il matrimonio con Donna Giulia Bologna-Aragona, figlia di Don Vincenzo Beccadelli Bologna, mentre nel 1625 divenne conte di Capaci, per privilegio di Filippo IV di Spagna (III di Sicilia), concesso nel 1625, reso esecutorio il 16 Ottobre dell’anno seguente.

Nel registro degli Atti dei Magnifici Giurati della Splendidissima e Fedele Città di Termini, anno indizionale 1647-48 ed in particolare nella sezione che contiene le varie corrispondenze (Liber Literarum), abbiamo scoperto la li[tte]ra ad Ista[nti]a di Angela di Miceli (cfr. Atti dei Magnifici Giurati della Splendidissima e Fedele Città di Termini , d’ora in poi AMG, 1647-48, ms. Biblioteca Liciniana di Termini Imerese, d’ora in poi BLT, ai segni III 10 b 16, ff. 230r-231r), che la detta aveva inviato al Presidente del Regno di Sicilia, il cardinale lombardo Gian Giacomo Teodoro Trivulzio-Gonzaga. Ci piace riportare qui di seguito, fedelmente, sciogliendo le abbreviazioni, le parti più salienti della petizione: «Angela di Miceli della Città di Termine dice a V[ostra]. Em[inenti].a havere co[m]prato dall’Ill[ustr]e Donna Anna Pilo Marchesa di Marineo certa quantità di terre delli piani sotto il castello di Brocato chiamata vulgarmente [sic] della Bandera siti e posti nel fego  [sic, feudo] di Brocato ter[rito]rio di d[ett]a città di Termine p[er] lo [sic] prezzo adiecto [disposto] nel c[ontra]tto fatto nell’atti di Not[a]r Gasparo Pellegrino di Marineo». Il territorio de La Bandera fu quindi venduto ai Di Micheli da Donna Anna La Valle-Perna, moglie di Don Girolamo Pilo-Bologna, marchese di Marineo.

Il documento prosegue fornendoci preziose informazioni sull’antica vocazione di detta zona per la coltivazione del riso, grazie alla possibilità di essere agevolmente irrigata, principalmente con le copiose acque sorgentizie provenienti dal gruppo della Favara di Brucato: «li q[ua]li terri molti anno [sic, anni] sono p[er] esser piani et havere abondanza [sic, abbondanza] d’acqua si solino p[er] piu [sic, più] delle volte seminare di riso giuntamente [sic, congiuntamente] con altre terre vicino di q[ue]lle cossi [sic, così] p[er] essere distante di d[ett]a città piu [sic, più] di miglia 4. come anco [sic, anche] p[er] essere attj al sud[dett]o seminerio [sic]».  Secondo la supplica, c’era stato, nel prosieguo, un radicale cambiamenti d’uso, dal punto di vista agricolo, a seguito della messa a coltura della canna da zucchero, creando un vero e proprio trappeto di cannemele, che aveva soppiantato del tutto le precedenti risaie. L’estensore della petizione, ovviamente, non aveva riscontri documentari a sostegno delle proprie affermazioni, basandosi probabilmente su mere fonti orali, per cui faceva rimontare la coltura della canna da zucchero ai Pilo, mentre sappiamo con certezza che era già esistente nel Quattrocento (cfr. ultra). In realtà, allo stato attuale delle ricerche, non disponiamo di fonti documentarie sincrone a sostegno dell’esistenza di risaie antecedenti alla coltivazione della canna da zucchero. Comunque sia, nella petizione si sostiene che: «doppo [sic] p[er] havere l’Ill[ustr]e Marchese Pilo fattoci trappeto si lasciò d’arbitrio di riso à causa che in d[ett]e terre seli [sic] piantavano Cannemeli p[er] servitio [sic] di d[ett]o trappeto et p[er]avendosi hoggi gia [sic, già] disfatto d[ett]o trappeto p[er]havere d[ett]a Ill[ustr]e Marchesa concesso [in vendita] tutte le terre di d[ett]i piani, intende essa esp[onen]te in quest’anno seminarle di riso come prima p[er] essere cosa molto profittevole non solo al vitto humano [sic] ma anco [sic] al benefitio pubblico tanto piu [sic] in questi tempi tanto sterili e calamitosi». Si allude qui alla grande carestia del 1647, che secondo lo storico Domenico Ligresti (Università di Catania) sarebbe stata «la crisi alimentare probabilmente più grave dell’età moderna» (cfr. D. Ligresti, Dinamiche demografiche nella Sicilia moderna (1505-1806), Angeli, Milano 2002, 224 pp., in particolare, p. 116). Tale carestia diede origine in primavera ad un generale malcontento che sfociò poi in vari focolai di rivolta in diversi centri dell’isola, particolarmente virulenti a Palermo ed a Catania (cfr. A. Siciliano, Sulla rivolta di Palermo del 1647, «Archivio Storico Siciliano», 1939, pp. 183-303; H. G. Koenigsberger, The revolt of Palermo in 1647, «The Cambridge Historical Journal», vol. VIII, n. 3, 1946, pp. 129-144; L. A. Ribot Garcia, Las Revueltas de Napoles y Sicilia, «Cuadernos de Historia Moderna», 1991, n. 11, pp. 121-130; F. Benigno, La Sicilia in rivolta, in F. Benigno, G. Giarrizzo, Storia della Sicilia, vol. I, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 181-195).

Angela di Miceli, in sostanza, nella petizione da lei presentata (con molta probabilità scritta dal fratello Francesco Maria) metteva in risalto il timore relativo all’eventuale nascita di rimostranze per l’erigenda risaia, con il pretesto di un possibile pericolo di diffusione della malaria, per cui chiedeva alle autorità che fossero inviate apposite lettere penali, emesse dal Tribunale del Real Patrimonio, a tutti i signori ufficiali del Regno e soprattutto a quelli della detta città di Termini, nelle quali «fosse espressamente ordinato che nessuno voglia trasgredire e prohibire [sic] ad essa esp[onen]te il seminerio [sic] di d[ett]o Riso». Del resto, Angela Di Micheli, per rendere consona la seminagione di questa pregevole coltura, aveva già provveduto all’acquisto di una partita di riso da seminare (e poi trapiantare), a far tracciare nuovamente la pista per la risaia, a rendere acconci i terreni (preparando i letti di semina il più possibile pianeggianti, attraverso il livellamento del terreno ed eventualmente alla costruzione di una rete di piccoli argini) ed a far rimettere in funzione i preesistenti canali irrigui che dovevano fornire l’acqua per porre in opera il processo di sommersione (previa erpicatura e livellamento) e tutto ciò era stato realizzato investendo notevoli somme in denaro: «poiché aveva fatto la provisione [sic] della semenza e fattosi novamente [sic] la pista di d[ett]o Riso come anco [sic] consato [sic] li terri e condotti et altri cosi necessarij con grandiss[im]o suo interesse». Il Trivulzio, vista la penuria di cereali che continuava a vessare il regno, avallò quanto richiesto in data 28 Gennaio Ia Indizione 1648 e la disposizione fu resa esecutoria presso la curia degli Spettabili Giurati della Splendidissima e Fedele Città di Termini addì 20 Marzo del medesimo anno. Il 12 Giugno successivo, la supplica fu  ripetuta, in solidum, da «Francesco ed Angela di Miceli» chiedendo di poter seminare nelle terre predette di Bandera, richiesta che fu avallata dai giurati di Termini.

Il toponimo Bandera o Bandiera, non appare nelle carte ufficiali, anche se persiste ad indicare una parte della piana costiera sottostante in sinistra del Torto. Nella cartografia dell’Istituto Geografico Militare, il sito dal quale deriva era indicato semplicemente come Castello, mentre nella recente carta tecnica regionale non vi è più traccia a causa del totale abbandono dei manufatti ormai in rovina. La contrada, però, ancor oggi continua ad essere denominata Castelbrucato (in alcuni servizi di mappe virtuali appare addirittura ridotta a Castello). Questo sito non va assolutamente confuso con quello dell’antico centro abitato medievale di Burcatum o Brucatum o Broccatum sito sul Monte Castellaccio, toponimo derivato dall’arabo Būrqād a sua volta da Wādī-abī-Ruqqād (letteralmente il ‘fiume del padre del sonno’, oggi Fiume Torto) che richiama il Wādī ar Ruqqād in Siria, derivando entrambi dalla radice Rqd ‘dormire’.

Nella contrada Castelbrucato, è noto nella letteratura geologica ottocentesca l’affioramento di uno sprone calcareo, originariamente inglobato all’interno delle cosiddette Argille Varicolori e dalle quali emerge per erosione selettiva, in maniera del tutto paragonabile, anche se con dimensioni molto minori, a quello della Rocca del Drago (visibile nel tratto terminale della valle del fiume Imera settentrionale). Si tratta di un corpo roccioso monolitico (olistolite) di calcari di piattaforma carbonatica che datano alla parte basale del Cretaceo superiore (Cenomaniano),  esibendo una ricca fauna fossile con resti di rudiste e di altri molluschi. Dal punto di vista paleontologico, questa località fossilifera è ben nota grazie alle pionieristiche ricerche del naturalista termitano Saverio Ciofalo, svolte negli anni 1869-70 (cfr. S. Ciofalo, Descrizione della natica gemmellaroi nuova specie del cretaceo superiore dei dintorni di Termini-Imerese, Amore, Termini Imerese 1869, 8 pp.; Idem, Descrizione di alcune conchiglie fossili dei dintorni di Termini-Imerese del cretaceo superiore pel socio corrispondente Prof. Saverio Ciofalo comunicata all’Accademia gioenia nella seduta del 17 luglio 1870, Galatola, Catania 1871, estratto, 10 pp.; relativamente al Ciofalo, cfr. P. Bova, A. Contino, Termini imerese, Saverio Ciofalo primo scopritore in Italia del rettile marino cretaceo nella Rocca del Castello, “Esperonews”, 23 Settembre 2021, on-line in questa testata giornalistica). Su tale pittoresca piccola rupe, si ergeva una torre che nel Seicento, alla sommità della parte di coronamento, recava una banderuola, donde il nome di Bandera dato alla contrada  circostante, compresa la piana antistante.

Qui per la prima volta, mettiamo in evidenza che la torre della Bandera, corrisponde certamente con la torre di Ruggero Salamone (turrim Rogerii de Salamone), di cui si fa menzione il 25 Novembre 1428, nella concessione nei confronti di Fra Luysi dez Pont di Valenza di 100 tratte da estrarsi da «lu carricaturi di Brucatu», sito presso il lido (cfr. Archivio di Stato di Palermo, d’ora in poi ASP, Cancelleria, 62, f. 69, cit. da H. Bresch, Les Sources Historiques, in J. M. Pesez, ed., Brucato. Histoire et archéologie d’un habitat médiéval en Sicile, vol. I, Collection de l’École Française de Rome, 78, Rome 1984, pp. 37-84, nello specifico, p. 60, nota n. 67). Del resto, la torre di Ruggero Salamone era annessa alla massarìa, dove nel 1436 questa casata nobiliare di Termini avviò la produzione zuccheriera, grazie all’impianto di un cannameleto (piantagione di canna da zucchero) sito nella piana topograficamente sottostante.

Il toponimo Castelbrucato, con la relativa massarìa, è presente nella settecentesca carta di Samuel Schmettau, approssimativamente alla scala 1:80,000, conservata nelle collezioni del Kriegsarchiv Wien, Österreichisches Staatsarchiv, Vienna, ai segni B VII a 470 (cfr. L. Dufour,  La Sicilia disegnata. La carta di Samuel Von Schmettau 1720–1721, Libreria Piani già Naturalistica, Palermo 1995). Una versione georeferenziata ad alta risoluzione è disponibile on-line all’indirizzo https://maps.arcanum.com/en/map/sicily/?layers=here-aerial%2C74&bbox=1521893.3730022623%2C4574828.340803452%2C1545149.338858027%2C4583599.489799175).

La massarìa era ancora fiorente agli inizi dell’Ottocento. Nel 1804, il grande studioso di agricoltura, Paolo Balsamo (Termini Imerese, 4 Marzo 1764 – Palermo, 4 Novembre 1816), così ricordava la contrada: «Brucato, situato tra Termini, e Cefalù, è un luogo umidissimo, perché bagnato da fiumi, e cosparso di paludi e fecondanti ruscelli, cosicché sin dopo li prosciugamenti e le belle coltivazioni fattevi dal Proprietario Sig. Vincenzio [sic] Barone Salvo, l’aria è ancora, in estate insalubre, e mortifera», dopo di che aggiunse: «Le pianure sotto il castello di Brucato, malgrado la ruggine, e per quantità, e per qualità, hanno dato quest’anno un ragionevole ricolto di grani» (cfr. P. Balsamo, Sopra la ruggine e il cattivo ricolto dei grani del corrente anno 1804 in Sicilia. Lettera a S. E. il Signor D. Giuseppe Ventimiglia principe di Belmonte ec. ec. Gentiluomo di camera di Sua Maestà con esercizio Cavaliere dell’insigne Real Ordine di S. Gennaro Grande di Spagna di prima classe. dell’abate Paolo Balsamo professore di agricoltura nella Real Accademia di Palermo e socio di varie accademie, Reale Stamperia, Palermo 1804, 89 pp., in particolare, p. 18). Il Balsamo allude a Don Vincenzo Salvo, che allora si fregiava del titolo di barone di Castelbrucato. Successivamente, il Salvo ottenne poi il titolo marchionale il 10 Agosto 1814 (reso esecutorio il 31) da Ferdinando di Borbone IV di Napoli (III di Sicilia), e si spense il 23 Aprile 1895 [cfr. Giornale Araldico-Genealogico-Diplomatico, n. s., anno IV (XXIII), Maggio-Giugno 1895, n. 5-6, p. 130).

Nel 1863, Mariano De Michele-De Napoli, rammentava ancora il toponimo (La) Bandiera e soprattutto la relativa porzione pianeggiante (Piana La Bandiera): «In Brucato la piana nominata la Bandiera, era stata censita da gran tempo in più partite, che dai censualisti erano state messe a coltura di giardini con pergolati, alberi, pomiferi, ed ortaggi. I censualisti furono costretti a dimettersi dai fondi enfiteutici con tutte le migliorie fattivi in vantaggio del domino diretto sig. Salvo. A costui ciò tornò vantaggioso; poiché dovendo per quei giardini somministrarvi l’acqua, gli convenne aggregare le terre censite alle altre destinate a risiere per maggiore economia delle sue acque. Così sparirono le piccole proprietà e li miglioramenti della Bandiera; tutti i fittajuoli [sic, fittavoli] che prendevano in fitto le possessioni a riso di proprietà del Marchese Salvo in Brucato, erano costretti di prendersi a fitto anche il limitrofo feudo di quaranta salme di proprietà del Barone Balsano; perché nella possessione di Salvo non vi erano sufficienti terre a pascolo pel mantenimento del bestiame necessario al lavoro delle terre a risiere. Il Barone Balsano per mancanza di concorrenza, reputavasi fortunato a dare le sue terre in fitto ai fittajuoli del Salvo. Ecco come due estese proprietà quasi forzosamente venivano a riunirsi nelle mani di un solo fittajuolo» (cfr. M. De Michele, Considerazioni di economia agraria sopra l’industria del cotone e del riso. Con appendice: Memoria – sull’utilità di sostituirsi la coltivazione del cotone alle micidiali risaje – pubblicata nel 1846, Tipografia Morvillo, Palermo 1863, 182 pp., in particolare, p. 41). Oggi, come accennato, rimangono solo ruderi della grande fattoria con torre, che per l’appunto appartenne alla detta casata dei Salvo, dove si produceva il rinomato vino rosso Rocca Castelbrucato (cfr., ad es., la relativa inserzione a pagamento in La Sicilia agricola giornale ebdomadario, anno V, n. 4, Sabato 29 Gennaio 1887, Palermo 1887, p. 83).

Certamente, fa un certo effetto immaginare quale sia stata la storia passata della piana dove oggi sorge la centrale elettrica “Ettore Majorana” e lo stabilimento della ex Sicilfiat, caratterizzata dal susseguirsi di varie attività agricole eminentemente legate all’abbondanza di acque irrigue: piantagioni di canna da zucchero, risaie e colture a giardini.

Tornando alla storia della famiglia Di Michele, nel 1647, nelle more dell’ingrandimento della chiesa parrocchiale di S. Maria della Consolazione in Termini Imerese, la famiglia cedette i propri diritti sulla preesistente cappella delle  SS. Cinque Piaghe di Nostro Signore Gesù Cristo perché doveva essere incorporata nella navata grande del nuovo edificio di culto, secondo il modello elaborato nel 1638 da Vincenzo La Barbera, architetto civico, ingegnere militare, e pittore (Termini Imerese, 1577 c. – Palermo, 1642). A tal proposito, ricordiamo che Domenica Sutera (Dipartimento di Architettura, Università di Palermo) ha recentemente rintracciato il mandato di pagamento emesso dal tesoriere Battista Tenaglia, in favore del La Barbera, per un ammontare di onze tre e tarì uno, relativo al progetto di ingrandimento dell’edificio di culto [cfr. Archivio Storico della Parrocchia di S. Maria della Consolazione, d’ora in poi ASPC, Mandati, vol. 62/223, cc. s. n., cit. in D. Sutera, Ricostruire, storia e rappresentazione: prospetti chiesastici nella Sicilia del Settecento. Ricostruzioni grafiche di Mirco Cannella, collana frammenti di storia e architettura, 13, Caracol, Palermo 2013, pp. 15-29 (Santuario della Parrocchia della Consolazione), in particolare, p. 17 e nota n. 5]. Rimarchiamo che questo documento, allo stato attuale delle ricerche, costituisce l’ultimo dato biografico relativo al nostro artista termitano che dal 1622 si era trasferito stabilmente con i propri familiari nella città di Palermo (cfr. P. Bova, A. Contino, Epidemie, clima e arte: La Barbera e S. Rosalia tra Palermo e Termini Imerese, “Esperonews”, 6 Gennaio 2022, on-line su questa testata giornalistica).

A titolo di compensazione, il 3 Febbraio Ia indizione 1648 (cfr. ASPT, notar Antonio Gallo erroneamente catalogato come Antonio Galbo, vol. 13339, minute, 1647-48 f. 87), i deputati della fabbrica della Parrocchia della Consolazione, sac. Don Giuseppe Li Pulselli, Don Gerolamo Forte e Giovanni Vincenzo Cirillo, stipularono un contratto di vendita in favore di Francesco  [Maria] de Michele relativo alla erigenda cappella posta «a sinistra dello braczo [sic, braccio] della croce in cornu epistolae» con la clausola di «darcila [sic, dargliela] finita tucta di rustico conform’al modello di d[ett]a chiesa». Testimoni all’atto furono, non a caso, Pietro La Rosa (l’appaltatore dei lavori di ampliamento della chiesa parrocchiale) e l’U[triusque]. J[uris]. D[octor]. Andrea Pisacani.

Nel 1649, Don Francesco Maria ottenne l’acquisto del prestigioso ufficio di regio segreto e maestro procuratore della città di Termini, cioè la direzione della Segrezia (o Secrezia), che per conto della corona amministrava il patrimonio della città demaniale, gestendo la riscossione delle imposte, dazi, gabelle ed affitti, disponendo di un proprio ad articolato organigramma amministrativo-finanziario. Il regio segreto (o secreto), infatti, era coadiuvato dal credenziere, dal procuratore fiscale, dal maestro notaro e da altri funzionari subalterni in pianta stabile per i servizi di vigilanza e di riscossione. Inoltre, il detentore di tale ufficio, in quanto funzionario regio, percepiva un regolare salario, oltre ad altri lucri connessi ad esso, usufruendo di varie prerogative personali, tra le quali sicuramente spiccava quella dell’esenzione dei dazi regi e civici. Non vi è, quindi, alcun dubbio che per  Francesco Maria di Michele la gestione di questo importante ufficio della cittadina demaniale di Termini Imerese, una delle più importante del Regno di Sicilia per i suoi traffici commerciali, fu fonte di notevole profitto e prestigio, grazie anche ai privilegi fiscali ed esenzioni doganali, contribuendo notevolmente a ritagliare per la casata una progressiva ascesa sociale. Del resto, Francesco Maria rimase fortemente legato al mondo imprenditoriale e finanziario degli honorabiles, o per dirla all’uso spagnolo degli hombres de negocios, dai quali proveniva e dal quale era partito per la sua scalata al mondo della nobiltà siciliana attraverso una ascesa che seguiva diverse linee strategiche, spaziando dalle istituzioni locali a quelle centrali siciliani, sino a pervenire all’interno della stessa corte imperiale asburgica.

Il 28 Settembre IIIa Indizione 1649, infatti, fu stipulato pubblico strumento nel quale  Francesco [Maria] di Michele, per mezzo di procuratore, acquistò dalla Regia Corte, l’ufficio di regio segreto e maestro procuratore della città di Termini, per sé e per i suoi successori in perpetuo, per l’ingente somma di onze 2100 da pagarsi in seguito e con il patto della ricompra. Il 6 Ottobre del medesimo anno, le suddette onze 2100 furono versate ed introitate dalla Regia Corte (fu fatta fede di tale versamento il 6 Giugno XIIIa Indizione 1675) ed il giorno seguente  Francesco di Michele fece atto di ratifica dell’acquisto del predetto ufficio (cfr. 5 maggio 1843. Sulla domanda del Barone di S. Giuseppe, per compenso della segrezia di Termini, in Atti della Gran Corte dei Conti delegata, 1843, Primo semestre, Virzì, Palermo 1843, pp. 238-242).

Negli anni cinquanta del Seicento, l’ascesa della casata continuò inarrestabile. Il giorno 8 Maggio IX Indizione 1656, fu ratificato il Privilegium Tituli Don in persona Angela de Michele, da lei acquistato in precedenza (cfr. AMG, 1656-57, ms. BLT ai segni III 10 c 5, ff. 303v-304). Ciò non deve meravigliare perché siamo proprio nel periodo in cui il titolo di Don veniva messo in vendita dalla corona spagnola. Sull’inflazione degli onori, compreso il titolo di Don, si veda il saggio di Fabrizio D’Avenia  che ha investigato il fondo del Consejo de Italia Secretaria de Sicilia dell’Archivo General de Simancas, Valladolid, España (cfr. F. D’Avenia, Il mercato degli onori: i titoli di don nella Sicilia spagnola, “Mediterranea. Ricerche Storiche”,  2006, anno III, 7, pp. 267-288).

Nell’anno indizionale 1659-60, i giurati di Termini, fecero una apposita ingiunzione nei confronti di Don Francesco De Michele con la motivazione che egli «non si cura di prendere il possesso dell’uffitio di giurato» al quale era stato evidentemente eletto tramite il consueto procedimento dello scrutinio e, persistendo, sarebbe incorso in una multa di ben 400 onze.  Egli dovette poi prendere atto della detta prescrizione, tanto è vero che appare tra i civici amministratori di quell’anno (Cfr. AME, 1659-60, ms. BLT ai segni III 10 c 8, ff. 13v-14r). Da ciò si ricava chiaramente che egli era stato inserito in precedenza nel ruolo dei Giurati, sancendo la sua entrata nel locale patriziato urbano, ai cui appartenenti erano riservati gli uffici più importanti dell’universitas. Nel medesimo registro, del resto, addì 11 Ottobre XIVa Indizione 1660, troviamo menzionato il Signor D[on] Francesco Di Michele Baro S. Joseph (cfr. Idem, f. 56). Abbiamo quindi conferma che fu Don Francesco Maria ad acquisire per primo il titolo nobiliare e, nello specifico baronale, anche se relativamente modesto come quello di S. Giuseppe, un membro del feudo di Brucato, ubicato all’estrema periferia orientale del territorio di Termini Imerese, con una collocazione più defilata rispetto alla contrada Bandera,  precedentemente acquistata dalla famiglia.

Nell’opera storica su Termini Imerese del Solìto (cfr. V. Solìto, Termini Himerese città della Sicilia etc., II, Palermo 1671, p. 129), troviamo menzionato il detto Don Francesco di Michele, Regio Secreto, in relazione alla nascita della chiesa dedicata a S. Francesco di Sales, che egli volle realizzare a proprie spese, assecondando la sua notevole devozione nei confronti del santo savoiardo: «Si fondò nel 1667. una Congregatione di spirito nella Città di Termini sotto la disciplina del glorioso S. Fra[n]cesco de Sales à [sic] cui è stata dedicata la Chiesa, nella quale quella si fà [sic] da alcuni Sacerdoti che vogliono atte[n]dere più specialmente alla virtù, e santità de’ costumi, fù [sic] fondata la detta chiesa  à [sic] 21. d’Agosto del medesimo anno da D[on]. Francesco di Michaele Secreto della Città, & è degno di riflessione, che questa Chiesa fabricata [sic] cento anni doppo [sic] la morte del detto Santo, sia la prima forse in tutta Italia, dedicata al detto Santo doppo [sic] che fù [sic] canonizzato, il che successe alli 19. d’Aprile 1665».

Il giorno 11 Giugno Va Indizione 1667, agli atti di notar Filippo Giambattista Bruno di Termini Imerese, nei confronti dello «Spettabile Don Francesco di Michele Barone di San Giuseppe e Secreto di questa città di Termini» era stata accordata la licentia fabricandi (corrispondente all’attuale licenza edilizia) per la costruzione della nuova chiesa di S. Francesco di Sales (oggi non più esistente), prospettante sulla strada grande di Porta Girgenti (attuale Via Vittorio Amedeo), in seno ad una cospicua porzione di giardino recintato, precedentemente acquisito dal detto concedente (cfr. Atti e Scritture della Chiesa di San Francesco di Sales in Termini, ms. AME, sec. XVII, fondo S. Francesco di Sales, ai segni A ζ 8, f. 33). L’anno seguente, agli atti di notar Francesco Salomone di Termini, addì 18 Gennaio VIa Indizione 1668, Don Francesco dotò la detta chiesa di giuspatronato della sua famiglia della somma di onze 2 e tarì 15 annuali, di cui onza 1, in favore del beneficiale da lui nominato, nella persona del «D[otto]r D[on] Gius[epp]e di Michele suo nipote [figlio di Mariano]» (cfr. Idem, f. 34).

Negli Atti e Scritture della Chiesa di San Francesco di Sales in Termini, troviamo altresì annotato che il 19 Dicembre IVa Indizione 1680, ad «hora 8 verso l’alba morì D[on]. Francesco Miceli [Spataro] maggiore barone di S[an]. Gioseffo [sic] e Secreto della Città di Termini» e «fu sepolto nella chiesa di nostra signora della Consolazione loco deposito per esser sepolto in S. Francesco di Sales». Ciò trova riscontro nell’atto di morte che si conserva in AME, vol. 99, Maggior Chiesa, 1677-1690, f. 56, addì 20 Dicembre IVa Indizione 1680.

Il 16 Ottobre IIa Indizione 1633, Mariano Di Michele-Spataro, fratello di Francesco Maria, aveva sposato Lucia Li Maistri figlia del fu Mastro Filippo, della Terra di Vicari et abitatrice di questa Città di Termini (cfr. AME, Sponsali, vol. 22 f. 74r n. 2). Lo status sociale della famiglia Di Michele, in tale data, doveva essere ancora quello dei Mastri, sia pure ormai facoltosi e qualificati tra gli honorabiles. La famiglia Li Maistri era comunque anch’essa in fase di ascesa, annoverando già personalità di un certo prestigio, come il padre maestro fra Giuseppe Li Maistri, minore conventuale commendato dal Solìto (cfr. V. Solìto, Termini Himerese…cit., II, p. 136), e l’Utriusque juris doctor (dottore in entrambi i diritti, civile e canonico) Giovanni Francesco Li Maistri che nel 1648-49 ricoprì la carica di Giudice dell’Appellazione di Termini Imerese, come risulta dal relativo registro degli atti giuratori dell’Universitas locale.

Dalla coppia Di Michele-Li Maistri nacquero: Francesco Di Michele-Li Maistri (dal quale discenderà poi il ramo primogenito, erede della baronia di S. Giuseppe) e Mariano Di Michele-Li Maistri (dal quale ebbe origine il ramo cadetto); mentre Giuseppe Di Michele-Li Maistri (nato il 15 Marzo VIIIa  Indizione 1640, cfr. AME, Battesimi, vol. 19, f. 159v n. 5, padrino Camillo Caracciolo fu Francesco e Maria moglie di Mastro Giuseppe Musso, figlia del fu Mastro Giuseppe Lima), entrato in seminario, conseguì la laurea in utroque iure e divenne un ecclesiastico di notevole esperienza sino alla dignità di Arciprete di Termini (1669-1684). Successivamente, dopo aver rinunziato all’arcipresbiterato fu accolto nei padri Filippini e si spense a Palermo il 16 Giugno IIIa Indizione 1725 (cfr. Libro di Regole della Congregazione di S. Francesco di Sales ms. AME f. 425).

Al fine di non appesantire il testo, qui di seguito esporremo soltanto la genealogia del ramo principale esclusivamente in funzione della successione del titolo nobiliare.

Don Francesco di Michele-Li Maistri, figlio di Mariano di Michele-Spataro  e di Lucia Li Maistri, sposò Donna Francesca Bruno-De Marino (m. 16 Gennaio 1674) figlia di Don Gregorio Bruno e di Donna Caterina De Marino, il 26 Aprile IXa Indizione 1668, da cui discese Don Francesco Salesio Di Michele-Bruno, maggiore, nato il giorno 11 Novembre VIIa Indizione 1668; rimasto vedovo, sposò in seconde nozze Donna Margherita Grimaldi da cui ebbe Don Francesco Maria Salesio Di Michele-Grimaldi, minore, nato il 27 Dicembre IIa Indizione 1678.

Don Francesco Maria Salesio Di Michele-Grimaldi Barone di S. Giuseppe e Regio Segreto, figlio di secondo letto di Don Francesco di Michele-Li Maistri e di Margherita Grimaldi, si accasò con Donna Francesca Salesia Caracciolo-Satariano figlia di Don Vespasiano Caracciolo, Barone del Ponte di Termini (diritti sui dazi del caricatore del grano) e di Donna Mellina Satariano, il 24 Dicembre IIIa Indizione 1709.

Nell’anno XIV Indizione 1720-21, Don Francesco Maria Salesio Di Michele-Grimaldi, subentrò nella carica di giurato in sostituzione del defunto Don Michelangelo La Grassa (cfr. AMG, 1720-21, ms. BLT).

Dalla coppia Di Michele-Caracciolo nacque Don Francesco Maria Salesio Di Michele-Caracciolo Barone di S. Giuseppe e Regio Segreto, il 14 Agosto XIa Indizione 1718 (cfr. AME, Battesimi, vol. 39, f. 18; padrino il sac. Don Stefano Greco di Palermo).

Il 22 Giugno Ia Indizione 1783, Mastro Ignazio Musca e Mastro Ignazio Artale, Marmorari della Felice Città di Palermo si obbligarono solidalmente con il detto Don Francesco Maria Di Michele et Caraccioli Barone di S. Giuseppe e Regio Segreto a realizzare ut dicitur un palio d’Altare di marmi, di sua distesa in piano palmi nove, di sua altezza de proporzionecioè palmi 4 a similitudine di disegno che di pietra uguale a quell’altro palio d’Altare della Cappella del S[antis]s[i]mo Crocefisso dell’Annunziata, con suoi intagli di legno di tiglio deorati [sic, decorati] d’oro zecchino (ASPT, atti Notar Giovanni Aloisio Sperandeo di Termini Imerese, alla medesima data ed in copia conforme ed autenticata in Volume II di Scritture e Cautele della Ven[erabi]le Cappella delle S[antis]s[i]me Cinque Piaghe di N[ostro] S[ignore] G[esù] C[risto] esistente sin di 3 di febrajo Ia Ind[itione] 1648 nella Parrocchiale Chiesa di S. Maria della Consolazione di q[uest]a Spl[endidissi]ma Città di Termini, ms. ASPC, faldone 962, busta 139, f. 3). Il giorno 24 Settembre IIa Indizione 1783, Mastro Ignazio Musca, Marmorario della Felice Città di Palermo, si obbligò con il detto per realizzare tre scalini di marmi diversi e due scalini a corrispondere della cornice del quadro che al p[rese]nte esiste in d[ett]a cappella; le pietre dovevano essere dello stesso stile del palio d’Altare precitato con le armi di detta casata e famiglia, a palmi quadri.

Don Francesco Maria Salesio Di Michele-Caraccioli Barone di S. Giuseppe e Regio Segreto, sposò la cugina Donna Caterina Di Michele-Crollalanza, appartenente al ramo cadetto della casata, previa dispensa per consanguineità di terzo grado, il 16 Ottobre Xa Indizione 1746. Da Don Francesco Maria Salesio De Michele-Caraccioli e da Donna Caterina De Michele-Crollalanza nacque Don Francesco Maria Salesio (Federico Giuseppe) Di Michele-Di Michele Barone di S. Giuseppe e Regio Segreto (Termini Imerese, 16 Gennaio XIa Indizione 1748, cfr. AME, Battesimi, vol. 40, f. 123; – ivi, 21 Maggio 1832, ore 10, di anni 84, possidente, cfr. ACTI, 1832, Morti, n. 176). Sposò Donna Cecilia De Napoli-Papardo, figlia di Don Giuseppe De Napoli e di Donna Maria Papardo della città di Messina, in Longi (oggi comune della città metropolitana di Messina) il 13 Dicembre XVa Indizione 1781.

L’Illustre Signor Don Francesco Di Michele e Di Michele, Barone di San Giuseppe, doveva il censo di tarì 8 al convento dei Padri Predicatori di S. Domenico in Termini, «sopra il suo giardinello sito e posto in q[uest]a città e nel q[uartie]ro di S. Andrea vicino al Convento de’ PP. Osservanti di S. Maria di Gesù dentro la sua casa grande» (cfr. Libro d’Assenti del Convento di S. Vincenzo Ferrer dei PP. Di S. Domenico di Termini, ms. sec. XIX della BLT, ai segni Atti 285, Assento n. LVIIII, f. 164). Questo assento risulta particolarmente rilevante perché fornisce preziose informazioni su detta casa grande dei De Michele (attuale sede delle Serve dei Poveri del Boccone del Povero Casa del Fanciullo “Villaurea”), che appare originata da successive incorporazioni di strutture preesistenti (compreso il cinquecentesco Palazzo Drago). Il documento, infatti, ci informa che la detta casa grande incluse anche il sito dove sorgevano 3 casalini (case dirute) concessi a Don Francesco De Michele-Caraccioli, addì 26 Settembre 1753. Questi 3 casalini, erano il risultato della fatiscenza e coalescenza di 6 case terrane (a piano terra) e piccolo giardino, sorte attorno al 1569 per volontà del sac. Don Pietro Pusateri. Queste 6 case terrane, a loro volta, erano state costruite su un precedente casaleno ed in parte su 8 suoli di case (lotti di terreno edificabili), fra di loro contigui, che il 2 Gennaio 1562, agli atti di notar Michele La Magione di Termini erano stati concessi dal nobile Pietro Caristia al detto sac. Pusateri. Addì 19 Giugno 1784, Don Francesco De Michele-Caraccioli, aveva poi fatto testamento in favore del figlio, Don Francesco Di Michele-Di Michele.

Il detto Francesco Maria Salesio Di Michele-Di Michele, con privilegio dato il 7 Marzo 1799 reso esecutorio il giorno 13, ottenne la facoltà di popolare il feudo de La Signora sotto la denominazione di San Giuseppe-Villaura e fu ammesso tra i baroni parlamentari del regno di Sicilia. La nascita del nuovo centro abitato, che col titolo nobiliare consentiva l’importante ingresso nei ranghi del parlamento siciliano nel braccio feudale, diede vita ad un borgo rurale (con chiesa dedicata a S. Francesco di Sales) che non sortì alcuna espasione nel prosieguo degli anni. Il fondatore probabilmente avrebbe sperato uno sviluppo paragonabile ad altri centri viciniori, che avevano visto una certa espansione, mentre Villaurea rimase cristallizzato in un piccolo abitato agricolo. La crescita dell’insediamento, invece, avrebbe potuto permettere al feudatario l’ascesa a titoli nobiliari di maggiore rilevanza.

Successivamente, Don Francesco Maria Salesio Di Michele-Di Michele, addì 28 Ottobre 1819, presentò alla gran Corte dei conti una apposita domanda nella quale chiedeva il compenso relativo alla regia secrezia di Termini che era stata abolita l’anno precedente. Dopo molteplici e lunghi dibattimenti, gli venne finalmente concessa l’annua rendita perpetua di ducati 195, sulla reale tesoreria di Sicilia, soggetta alle ritenute fiscali, con gli arretrati a partire dal 1° Gennaio 1825 (data in cui ebbe termine de facto l’ufficio della detta secrezia) sino al mese di Dicembre 1841, salvo a dedursi le somme ricevute a titolo di abbuonconto, cioè come anticipazioni dei compensi.

Dalla coppia Di Michele-De Napoli nacque l’Illustre Don Francesco Salesio Maria Di Michele-De Napoli, Barone di S. Giuseppe-Villaurea (Termini Imerese,  13 Novembre IIIa Indizione 1784, cfr. AME, Battesimi, vol. 45, f. 79;  – ivi, 12 Novembre 1849, ad ore 11, di anni 65, proprietario, cfr. ACTI, 1849, Defunti, n. 409). Egli sposò Donna Maria Concetta Marsala-Gallegra (Termini Imerese, c. 1801 – ivi, 4 Luglio 1848, di anni 47, ad ore 13, ACTI, 1848, Defunti, n. 206), figlia dell’Illustre Utriusque Juris Doctor Don Nicolò Marsala e di Donna Emmanuela Gallegra, il 28 Agosto 1819, alla presenza di Don Agostino Ricotta e Don Antonino Ragona (cfr. AME, Sponsali, vol. 78, f. 21 n. 4).

Dalla coppia Di Michele-Marsala, che risiedeva nel già citato palazzo sito «dirimpetto il convento di Santa Maria di Gesù», nacque Don Francesco Salesio (Girolamo, Giuseppe, Nicolò, Agostino) De/Di Michele-Marsala (Termini Imerese, 3 Novembre 1820, rivelato il giorno seguente cfr. ACTI, 1820, Nascite, n. 358; – vivente 1893) Barone di S. Giuseppe-Villaurea. Questi,  subentrò nella baronia dopo la morte del padre per diritto di primogenitura. Il giorno 11 Giugno 1855, in Palermo, alla presenza del duca di Pietratagliata, fu stipulata la solenne promessa di matrimonio tra il detto Barone Francesco Salesio, di anni 34, e Donna Francesca Paola Porcari-Leto di anni 25, figlia dei coniugi Don Giuseppe Porcari e di Donna Rosalia Leto, nativi di Polizzi, ma domiciliati nel capoluogo in Via S. Anna. La solenne promessa fu redatta per duplice procura dei due nubendi. Infatti, il futuro sposo fece procura in Termini addì 4 Aprile, agli atti di notar Ignazio Mormino fu notar Saverio, in favore di D[on] Bernardo Geraci di D[on] Onofrio, Maestro di Cappella, mentre la futura sposa stipulò apposita delega in Palermo addì 15 Aprile, agli atti di notar Giovanni Pincitore fu notar Giacomo, in favore del fratello D[on] Angelo Porcari. Finalmente, il 13 Giugno 1855 fu celebrato il matrimonio nella chiesa di S. Antonio di Padova, dal cappellano sacramentale Don Andrea Maggio, alla presenza dei testimoni il Rev. Sac. Don Rosario Galvagno e Vincenzo Mantegna (cfr. ACP, 1855, Matrimoni, Palermo, Città, sezione S. Agata, n. 77 e Processetto relativo).

Donna Francesca Paola (al battesimo Francesca Paola Maria Girolama) Porcari-Leto era nata a Termini Imerese il 29 Marzo 1830 (cfr. AME, Battesimi, vol. 82 f. 34r n. 4) e si spense a  Palermo il 6 Febbraio 1891, di anni 61 (cfr. ACP, 1891, Morti, Palermo, Città, ufficio 1, parte I, vol. 242 n. 269). Successivamente alla morte della moglie Francesca Paola, sorse una lunga ad affatto serena disputa legale tra gli eredi Porcari ed il Barone Don Francesco Salesio Di Michele-Marsala (che risiedeva a Palermo in Piazza Pretoria, Palazzo Bordonaro). I parenti della consorte, sostenevano che il De Michele si sarebbe impossessato dell’intera eredità, ammontante a non meno «di 400 mila lire in denaro contante, valori bancari e rendita al portatore per debito pubblico», sulla quale «spettava ad essi la terza parte», nonché dei beni mobili pervenuti dal defunto prof. Angelo Porcari per lascito testamentario, addì 11 Giugno 1883 ed amministrati per procura dal detto barone.

Il secondogenito di Don Francesco Salesio Maria Di Michele-De Napoli e di Donna Maria Concetta Marsala-Gallegra fu Don Nicolò (Francesco Salesio) De/Di Michele-Marsala (Termini Imerese, c. 1821 – ivi, 26 Dicembre 1879 ad ore 6 antimeridiane, di anni 58, possidente, nella casa posta in Via Vittorio Amedeo, cfr. ACTI, 1879, Morti, n. 500). Don Nicolò Di Michele-Marsala, il 7 Aprile 1866 sposò a Palermo Donna Ignazia Piccolo-Cicero (n. c. 1836; vivente 1881) del barone Giuseppe e di Donna Teresa Cicero (ACP, 1866, Matrimoni, Palermo, Città, vol. 1 n. 135).  Don Nicolò fu Consigliere provinciale del Consorzio agrario e negli anni 1872-79 lo troviamo menzionato con il titolo di Barone di S. Giuseppe-Villaurea.

Dalla coppia De Michele-Piccolo nacque l’ultimo rappresentante della casata baronale, Francesco Salesio di Michele-Piccolo, barone di S. Giuseppe e Villaurea (Termini Imerese, 22 Aprile 1867, alle ore 15, nella casa di via Sales, rivelato il 24, cfr. ACTI, 1867, Nascite, n. 264). Il 16 Gennaio 1892, Don Francesco Salesio di Michele-Piccolo sposò a Palermo Donna Angela Fatta-Pojero (Palermo, 3 Dicembre 1870, cfr. ACP. 1870, Nascite, Città, vol. 52 n. 6338; – ivi, 15 Maggio 1963) figlia del barone Orazio Fatta-Rampolla e di Sestina Pojero-Rinaldi (cfr. ACP, 1892, Matrimoni, ufficio 1, vol. 152 n. 35).

Ci piace qui ricordare che Donna Angela (familiarmente detta Angelina) Fatta in De Michele, fu pittrice, collezionista d’arte, scrittrice di viaggi (cfr., in particolare, le sue due opere: Al Giappone. Impressioni di una viaggiatrice. Officine tipo-litografiche Anonima affissioni già Montorfano e Valcarenghi, Palermo 1914, 15 tavv. fotografiche, 204 pp., edito «A beneficio degli orfanelli ricoverati di Termini Imerese»; Sulla terra della redenzione, Scuola salesiana del libro, Palermo 1933, 262 pp.).

Il detto Francesco Salesio, di Nicolò, di Francesco Salesio, fu ascritto nell’Elenco ufficiale nobiliare italiano (Consulta araldica, Bocca, Torino 1922) con i titoli di Barone di S. Giuseppe (maschile primogenito, d’ora in poi mpr.) e di Barone di Villaurea (mpr.), qual discendente del primo Francesco, fondatore di Villaurea.

Il 9 Marzo 1914, con atto rogato in notar Carmelo Rao di Termini Imerese, i coniugi De Michele-Fatta, non avendo eredi diretti, destinarono il loro palazzo avito, tra Via Vittorio Amedeo e Piazza Gancia, quale sede di un orfanotrofio maschile affidato alle cure del canonico sac. Don Salvatore Indovina (cfr. R. Cusimano, Brevi cenni di  storia termitana, Tipografia Pontificia, Palermo 1926, pp. 132-139).

Villaurea fu comune dal 1821 al 1865. Compulsando i registri conservati presso l’archivio di Stato di Palermo (sezione Gancia), si ricava che il comune di Villaura o Villaurea, nel periodo della sua esistenza, fu retto dai seguenti amministratori: Don Vincenzo Notarbartolo, Sindaco (1821-23), Dottor Don Rosario Merlina, Sindaco (1823-26), Giuseppe Imborgia, facente funzione (1826), Sac. Pietro Curlo, vicario, facente funzione (1826), Cosmo (o Cosimo) Iacuzzo, Eletto (1827-36), Cav. Don Federico Di Michele-De Napoli, Eletto/Sindaco (1837-39), Giuseppe Imborgia, Sindaco (1839), Don Francesco De Spuches, Primo Eletto (1840), Cosimo Iacuzzo, Eletto (1840-47), Don Nicolò De/Di Michele-Marsala, Senatore aggiunto (1848-49) ed Eletto (1849-54), Don Francesco De/Di Michele-Marsala, Eletto (1854-60), Senatore/Senatore aggiunto/Aggiunto (1860-65). Dal 31 Dicembre 1865 nel Sotto Comune di Villaurea del comune di Termini Imerese, fu nominato Delegato a compiere le funzioni di ufficiale dello Stato Civile, il Consigliere Barone Francesco De/Di Michele-Marsala (1866-71), al quale subentrò il Cav. Barone Nicolò De/Di Michele-Marsala (1872-79) e, finalmente, ancora il Barone Francesco De/Di Michele-Marsala (1880-83). Successivamente, gli altri delegati del comune di Termini Imerese, che si succedettero nel tempo, erano ormai avulsi da ogni legame con la borgata di Villaurea.

Infine, ci sembra doveroso accennare brevemente al ramo cadetto della famiglia, discendente dall’altro figlio di Mariano Di Micheli-Spataro, Don Mariano di Michele-Li Maistri. Quest’ultimo, il 18 Luglio IXa Indizione 1671 sposò Donna Caterina Crollalanza-Vassallo, figlia del mastrogiurato della Val di Mazara, Don Mario (1626-1660) e di Donna Maria Vassallo (cfr. AME, vol. 25, f. 222r n. 3). Donna Caterina Crollalanza apparteneva ad una antica casata nobiliare, oriunda dalla Lombardia e trapiantata in Sicilia sin dal dominio federiciano che ebbe stabile dimora a Palermo e successivamente a Termini Imerese (cfr. F. Raffaelli, Memorie storico-genealogiche della famiglia di Crollalanza, in “Giornale Araldico Genealogico d’Italia”, nn. 10-11, Cappelli, Rocca San Casciano 1874, estratto, 18 pp., in particolare, tav. II, dove però erroneamente Caterina Crollalanza risulta sposata con Leonardo di Michele invece di Mariano).

Il ramo cadetto ebbe discendenza fino all’Ottocento, estinguendosi poi per via femminile nel casato dei Lo Faso. Infatti, il 18 Gennaio 1836, Donna Caterina di Michele-Di Littri (n. 27 Aprile 1811, b. il 28 dal sac. Don Francesco Salvo, con i nomi Caterina Maria Agostina Marina Gerolama, alla presenza del sac. beneficiale Don Ignazio Liotta), sposò Don Giuseppe Lo Faso-Mira  di Don Mariano Lo Faso e di Donna Violante Mira (cfr. ACTI, 1836, Matrimoni, n. 1, Matrimoni, Processetti, n. 1). Il matrimonio avvenne per procura della sposa in favore del Signor Giovanni Giuffré, figlio del Signor Antonino e di Rosaria Scaletta, di anni trentasei, agli atti di notar Saverio Mormino del fu notar Ignazio di Termini, addì 11 Gennaio 1836, comprendente l’atto di contentamento della madre della sposa e dei genitori dello sposo. Lo sposo, Don Giuseppe Lo Faso-Mira era nato a Termini Imerese il 7 Dicembre 1803, ed era stato battezzato in casa, tre giorni dopo, dall’arciprete Sperandeo, con i nomi Giuseppe Maria Melchiorre Benedetto, alla presenza dell’Illustre Don Luciano Lo Faso, procuratore dell’Illustre Don Giovanni Leonardo Lo Faso duca di Serradifalco, e di Donna Antonina moglie di Don Giuseppe Lo Faso.

Estintosi il ramo cadetto della famiglia, i beni passarono ai fratelli Lo Faso-De Michele: Cav. Giacinto, Cav. Mariano, Cav. Francesco e Cav. Agostino.

L’insegna gentilizia della casata dei Di/De Michele di Termini era la seguente: Fasciato d’oro e d’azzurro, le fasce caricate da 21 tortelli o bisanti dell’uno all’altro, ordinati 6 5, 4, 3, 2, 1. Qui occorre fare una precisazione: nonostante l’ottenuto riconoscimento dei Di Michele di Termini di questa arma gentilizia, che è la medesima che apparteneva anticamente ad un’altra casata estinta cognominata De Michele, che detenne la baronia del Casale della Fabrica o Sciabica (secoli XIV-XVI), non è documentabile alcun rapporto di parentela tra le due famiglie nobili. Francesco Palazzolo Drago, nella sua opera sulle famiglie nobili siciliane, imprudentemente ebbe a scrivere che i De/Di Michele che avevano il titolo baronale rispettivamente di S. Giuseppe-Villaurea (dimoranti a Termini e Palermo) e del Grano (dimoranti a Burgio) e che esibivano la detta arma «probabilmente sono rami di unica famiglia, già fiorente nel secolo XIII» (cfr. F. Palazzolo Drago, famiglie nobili siciliane, Palermo, 1927, p. 77). Purtroppo, la stragrande maggioranza di questi repertori sono infarciti di tali affermazioni infondate, se non di genealogie altisonanti, prive di sufficienti riscontri documentari o addirittura del tutto fantasiose, essendo talmente remote nel tempo da essere palesemente affatto credibili. Su tale letteratura genealogica più o meno “favolosa” rimandiamo al documentato saggio di Roberto Bizzocchi (Università di Pisa, Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere) dove è ampiamente trattato l’argomento (cfr. R. Bizzocchi, Genealogie incredibili. Scritti di storia nell’Europa moderna, il Mulino, Bologna 1995, 288 pp.).

Patrizia Bova e Antonio Contino

Ringraziamenti: vogliamo esternare la nostra più viva gratitudine, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche e per la consueta disponibilità, rispettivamente, ai direttori ed al personale dei seguenti archivi, enti e biblioteche: Archivio anagrafico comunale di Palermo (ACP); Archivio di Stato di Palermo (ASP), sezione Gancia e sezione di Termini Imerese (ASPT); Archivio anagrafico comunale (ACTI) e Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese (BLT).

Ringraziamenti particolari vanno a don Antonio Todaro ed a don Giorgio Scimeca per averci permesso di effettuare basilari ricerche, rispettivamente, presso l’Archivio storico della Maggior Chiesa (AME) e presso l’Archivio storico di Maria SS. della Consolazione (ASPC) di Termini Imerese

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