Presupposizione (c.d. condizione inespressa): effetti sul contratto e tutela | IUS CONTRATTI E OBBLIGAZIONI

Presupposizione (c.d. condizione inespressa): effetti sul contratto e tutela

14 Maggio 2024

Con l’ordinanza in commento la Suprema Corte, confermando le precedenti pronunce adottate nei giudizi di merito, ha colto l’occasione per rammentare gli elementi essenziali della «presupposizione», istituto dalle origini dottrinali e giurisprudenziali, il quale trova il suo ambito applicativo in materia contrattuale, caratterizzato dalla implicita considerazione - da parte di tutti i contraenti - di specifici elementi posti a fondamento del regolamento negoziale, ancorché non espressamente trasfusi in clausole contrattuali, la cui verificazione è considerata come idonea non ad incidere sul perfezionamento del vincolo negoziale ma sul mantenimento della sua efficacia.

Massima

L’onere unilateralmente assunto dalla parte promittente, non conosciuto dalla controparte, con il quale si accolla il rischio di rendere esigibile la propria prestazione oggetto dell’obbligazione assunta in un contratto, anche ad effetti obbligatori, non integra l’ipotesi della c.d. presupposizione, atteso che quest’ultima, per poter legittimare l’esercizio del diritto di recesso - non attenendo alla causa del contratto, né ai motivi o al suo oggetto -, deve consistere in una circostanza (passata, presente o futura) non rientrante tra le obbligazioni contrattuali ma nota a tutti i contraenti, ritenuta certa nella sua verificazione, il cui venir meno prescinda dal comportamento delle parti.

(Nella sentenza in commento, la Suprema Corte ha confermato la pronuncia del giudice di secondo grado ritenendo sussistente l’inadempimento in capo al promittente venditore il quale, in un contratto preliminare di permuta di un suolo contro tre appartamenti da realizzare, non ha acquistato - non adempiendo ad un obbligo unilateralmente assunto ed ignoto alla controparte - ulteriori suoli necessari per ottenere la superficie minima per edificare, non ritenendo configurabili, nella specie, gli elementi costitutivi della presupposizione).

Il caso

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di cassazione, nella pronuncia in esame, traeva origine dalla domanda proposta dalle parti di un contratto preliminare di permuta, le quali si erano obbligate a trasferire un terreno alla società convenuta a fronte dell’obbligo, a carico di quest’ultima, di trasferire tre appartamenti che la medesima avrebbe dovuto realizzare sul suolo permutato.

Il giudice di primo grado, nell’accogliere la domanda proposta dagli attori in ragione della mancata realizzazione degli edifici, accertava l’inadempimento della società convenuta (riconoscendo a suo carico l’obbligo di corrispondere la penale prevista), respingendo la domanda riconvenzionale della medesima con la quale, invece, chiedeva la risoluzione del contratto per mancato avveramento della condizione sospensiva; condizione che, secondo la società costruttrice, sarebbe consistita nel ritenere subordinata l’efficacia del contratto preliminare all’acquisto, da parte della convenuta, di ulteriori suoli necessari per raggiungere la superfice minima edificabile (così rendendo possibile l’oggetto del successivo definitivo), impedito, invece, dalla sopravvenuta confisca dei suoli da asservire, ritenendo, quindi, verificata un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta.

La Corte di appello adita, nel confermare la statuizione del primo giudice, respingeva il motivo di gravame secondo il quale, dall’interpretazione delle clausole negoziali, potesse ritenersi costituita una presupposizione, ritenendo, invece, l’acquisto di suoli ulteriori un’ipotesi di inadempimento all’obbligo unilateralmente assunto dalla società appellante, non essendo tale circostanza resa nota agli appellati o frutto di trattative con gli stessi così da potersi considerare come condizione sospensiva o presupposizione.

La questione

La pronuncia in commento coglie l’occasione per richiamare i principi giurisprudenziali da tempo seguiti dalla Suprema Corte in ordine agli elementi fondanti l’istituto della presupposizione, non previsto normativamente nella disciplina generale del contratto, ma concepito quale elemento implicito condizionante l’efficacia del contratto tenuto presente dai contraenti, idoneo a legittimare l’attivazione di strumenti che incidano sulla stessa permanenza del vincolo negoziale.

In particolare, nell’ordinanza in esame è stata ribadita la portata dell’istituto citato, individuato come un fattore esterno ad un contratto ad effetti obbligatori (come nell’ipotesi esaminata, riguardante un preliminare di permuta), tenuto distinto dall’elemento essenziale della causa poiché non coincidente con lo scopo pratico concretamente voluto dalle parti - la cui sussistenza è richiesta sin dal momento del raggiungimento dell’accordo - ma, piuttosto, come elemento che ne sorregge la perdurante efficacia e ne giustifica l’esecuzione.

I passaggi logici seguiti nell’ordinanza, che ha recepito l’interpretazione fornita dalla Corte di appello, consentono di distinguere l’istituto della presupposizione dalla condizione, quale elemento accidentale del contratto, quest’ultimo incerto e comunque espressamente individuato, per giungere, invece, a riconoscere, nella specie, un caso di inadempimento contrattuale della società costruttrice, non rinvenendosi - all’esito dell’interpretazione delle clausole del contratto preliminare - la previsione di un elemento «esterno» comune a tutte le parti, anche se implicito, tale da incidere sulla permanenza degli effetti del contratto medesimo.

Il caso, infatti, giunge dinanzi alla Corte su ricorso della società permutante/costruttrice, la quale censura con due motivi - per quanto qui di rilievo - la pronuncia della Corte distrettuale, sostenendo l’erronea valutazione del proprio comportamento ritenuto inadempiente in ragione della nullità del contratto per difetto della presupposizione assunta dai contraenti e, comunque, per erronea ricostruzione della causa negoziale che supportava il preliminare di vendita.

La soluzione giuridica

Con riferimento alla soluzione a cui è approdata la Cassazione, le doglianze del ricorrente - congiuntamente valutate poiché attinenti tutte al risultato interpretativo del contratto - sono state respinte stante l'assenza, nella specie, di una ipotesi di presupposizione tenuta in considerazione, anche implicitamente, dai contraenti al momento della conclusione dell'accordo, con conseguente validità del preliminare, ritenuto munito di causa.

La Corte, analizzando il primo profilo e condividendo le ragioni del giudice di secondo grado, ha ritenuto che la società permutante avesse assunto unilateralmente un obbligo (avente ad oggetto l'acquisto di ulteriori terreni necessari per ottenere il minimo edificabile) il quale, tuttavia, non era rinvenibile da alcuna pattuizione né poteva ritenersi, in difetto di prova e secondo l'insindacabile valutazione di merito, implicitamente conosciuto da tutti i permutanti.

In secondo luogo, veniva riconosciuta l'estraneità del presupposto in parola (unilateralmente assunto dalla società costruttrice) dalla causa del contratto, consistente questa nell'obbligo di prestare il consenso nel futuro contratto di permuta, avente ad oggetto lo scambio di un suolo contro la consegna di tre fabbricati, così potendosi ritenere l'accordo valido ed efficace.

Nell'occasione, la Corte ha richiamato gli elementi necessari per ritenere integrata la presupposizione, facendo espresso richiamo ad alcuni precedenti.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, citata dall'ordinanza in esame, la presupposizione non riguarderebbe l'oggetto, la causa o i motivi del contratto, bensì una circostanza, di fatto o di diritto (passata, presente o futura) ad esso «esterna», anche se non specificamente dedotta, idonea a costituire specifico ed oggettivo presupposto di efficacia, alla quale le parti (o anche per una sola di esse, sempreché con riconoscimento da parte dell'altra) attribuiscono un valore determinante ai fini del mantenimento del vincolo contrattuale, il cui mancato verificarsi legittima l'esercizio del recesso e non è propriamente idonea a determinare la nullità del contratto (cfr. Cass. SU 20 aprile 2018 n. 9909, Cass. 25 maggio 2007 n. 12235).

In altri termini - anche al fine di distinguere l'istituto in esame dall'elemento accidentale costituito dalla condizione sospensiva - la presupposizione richiede:

  1. la sua conoscenza da parte di tutti i contraenti al momento dell'accordo, anche se non specificamente dedotta nelle clausole negoziali, ma tenuta presente al momento della formazione del consenso;
  2. la certezza, nella prospettiva delle parti, dell'esistenza di tale circostanza, così distinguendosi dalla condizione, connotata, in genere, dalla eventualità della sua verificazione;
  3. la natura obiettiva della situazione considerata, il cui venir meno o la cui verificazione prescinda dalla volontà delle parti, così differendo dall'oggetto delle obbligazioni pattuite.

In definitiva, la Corte ricorda che trattasi di un presupposto tenuto presente dalle parti al momento della conclusione del contratto e che - pur differendo dallo scopo pratico che le parti mirano a perseguire - ne ha determinato la volontà, benché non formalmente ed espressamente contemplato, con la conseguenza che il suo venir meno dopo il perfezionamento del rapporto ne determina la caducazione (Cass. 15 dicembre 2021 n. 40279, Cass. 24 agosto 2020 n. 17615).

Elementi, questi, non riscontrati nel caso esaminato, ove è emerso che l'acquisto dei terreni per ottenere il minimo edificabile costituiva un mero onere che la società ricorrente si era unilateralmente accollata, in assenza del quale si è consolidato l'inadempimento (consistente nell'impossibilità di realizzare gli edifici e, quindi, di stipulare il definitivo), a nulla rilevando la confisca dei terreni che la parte era intenzionata ad acquistare, non rientrando tale onere nel contenuto del contratto preliminare.

Osservazioni

L’ordinanza oggetto di commento, nel solco dell’orientamento giurisprudenziale consolidato, conferma non solo la rilevanza dei presupposti di fatto - benché inespressi - che incidono sulla formazione della volontà negoziale, ma offre utili spunti di riflessione per poter circoscrivere l’ambito applicativo della presupposizione, consentendone la distinzione con istituti similari e qualche riflessione sui rimedi utilizzabili nei casi in cui sia invocato un elemento connesso al momento patologico del rapporto negoziale legato proprio a tale fattispecie astratta.

Si osserva, preliminarmente, che la Corte di cassazione, nell’escludere la sussistenza di una presupposizione, ha considerato il mancato ulteriore acquisto di terreni - tenuto presente solo da società ricorrente - come l’inadempimento di un obbligo da questa assunto, con correlato accollo del rischio della sua eventuale impossibilità sopravvenuta.

Sul punto, si potrebbe obiettare che - in ragione della natura e degli elementi della presupposizione, in precedenza illustrati - l’inadempimento imputato alla società ricorrente sarebbe propriamente consistito non nella mancata esecuzione della prestazione avente origine nell’obbligo di acquistare ulteriori terreni per raggiungere la quota minima edificabile, bensì nel non aver reso possibile la conclusione del contratto definitivo in ragione della sopravvenuta impossibilità di realizzare gli edifici promessi in permuta per causa imputabile alla società costruttrice.

In altri termini, atteso che l’acquisizione di ulteriori fondi viene considerata nell’ordinanza come una circostanza nota esclusivamente alla ricorrente società (aspetto questo che ha impedito che la stessa potesse dar luogo ad una presupposizione), non sembrerebbe immediatamente intuibile ritenere, allo stesso tempo, che tale acquisto costituiva «un’obbligazione specifica che era stata assunta dalla citata società ai fini della realizzazione del successivo contratto di permuta e che detta acquisizione non fosse comune a tutti i contraenti» (pag. 8 dell’ordinanza); mancando, sul punto, l’accordo tra le parti, l’acquisto di suoli aggiuntivi non poteva ritenersi, invero, un’obbligazione specifica assunta con i permutanti, bensì un mero onere della società medesima, con il quale si era accollata il rischio del fallimento del programma negoziale.

Ove, infatti, le parti avessero previsto siffatto obbligo, anche specificando i fondi da acquistare, la successiva confisca di questi ultimi - quale causa sopraggiunta ed imprevedibile - avrebbe potuto sostenere legittimamente la domanda di risoluzione per impossibilità sopravvenuta del contratto per estinzione dell’obbligazione non imputabile alla società costruttrice.

Potrebbe, quindi, sostenersi che tale comportamento - che non aveva costituito materia di apposita contrattazione bilaterale - costituisse, al più, espressione di un’obbligazione avente fonte nel dovere di salvaguardare la posizione giuridica della controparte nell’adempimento degli obblighi di correttezza e buonafede nell’esecuzione del contratto.

L’ordinanza in esame, inoltre, richiamando il connotato della comune conoscenza del fatto oggetto di presupposizione, distingue la presupposizione dai motivi, dalla condizione e dalla causa del contratto.

Secondo parte della dottrina, la presupposizione troverebbe un suo riconoscimento proprio in tema di errore sui motivi che hanno spinto le parti a stipulare il contratto e su aspetti che dovrebbero sussistere al momento della conclusione, qualora comuni alle stesse e poste a fondamento degli interessi perseguiti con l’accordo, legittimando, quindi, l’azione di annullamento.

Tale interpretazione - ipotizzabile solo qualora vi sia un errore comune e rilevante su elementi sussistenti al momento della stipula del contratto - non può, tuttavia, trovare applicazione nel caso in cui il presupposto venga meno durante il rapporto negoziale, come accaduto nel caso di specie.

Per tali ragioni, altra dottrina - seguita da parte della giurisprudenza di legittimità - ha ritenuto che la presupposizione trovi il suo aggancio normativo nella causa del contratto poiché, trattandosi di circostanza il cui permanere o il cui sopravvenire sono dati per scontati dalle parti, il venir meno o non sopravvenire della stessa può giustificare la risoluzione del contratto (per inadempimento, risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta o per impossibilità sopravvenuta) per turbamento della funzione concreta dello stesso.

Diverso orientamento, senza scomodare la causa del contratto e, quindi, ipotizzare una ipotesi di nullità sopravvenuta, ha sostenuto che qualora il presupposto comune su cui le parti abbiano fondato il loro apprezzamento ai fini dello scambio dovesse venir meno, vi sarebbero gli elementi per poter ritenere un giustificato rifiuto dell’ordinamento a riconoscere l’efficacia di fattispecie che trovano la loro ragione nella concreta idoneità del negozio a realizzare la sua funzione.

In tal senso, si dà rilievo al rimedio dell’inefficacia contrattuale, non percorribile peraltro nemmeno con l’accostamento della figura alla condizione sospensiva, essendo quest’ultima individuata in un evento incerto, a differenza della presupposizione.

Infine, merita richiamo l’indirizzo giurisprudenziale e dottrinale che ha individuato nella risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta il presupposto normativo della presupposizione; inquadramento, tuttavia, correttamente escluso dalla recente giurisprudenza, stante l’ambito più ristretto della normativa richiamata, riferibile solo a circostanze sopravvenute, escludendo, invece, quelle presenti e passate, certamente immaginabili nel caso di presupposizione.

In definitiva, ad oggi, l’orientamento giurisprudenziale prevalente, condiviso dalla pronuncia esaminata, individua il rimedio della presupposizione nell’attribuzione, alle parti sfavorite, di un atipico diritto di recesso in ragione del venir meno del fatto presupposto, comune ed implicito, posto a fondamento del contratto ma diverso dalla causa del medesimo.

Guida all'approfondimento

Dottrina

  • A. Cataudella, I contratti parte generale, sesta edizione, p. 291.
  • Belfiore, in Trattato di diritto privato, 2003, IV, p. 22
  • F. Martorano, Presupposizione ed errore sui motivi, in Riv. Dir. Civ. 1958, I, p. 100

Giurisprudenza

  • oltre alle pronunce indicate nel commento, anche Cass. 15 gennaio 1947 n. 32

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