Nuovi dazi Usa sulle auto elettriche cinesi. Una faccenda delicata, che va oltre il commercio - HuffPost Italia

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Nuovi dazi Usa sulle auto elettriche cinesi. Una faccenda delicata, che va oltre il commercio

La “sortita” di Xi Jinping nel vecchio continente sembra non avere avuto esiti positivi né dal fronte europeo, né da quello cinese. Al di là della “atipicità” dell’itinerario scelto, che ha compreso solo Francia, Serbia e Ungheria, il viaggio di Xi non ha sortito quei risultati che l’Unione europea avrebbe voluto – smorzare il flusso dirompente di prodotti cinesi a basso costo sui mercati europei e trovare in Pechino una sponda per risolvere la crisi russo-Ucraina. Nemmeno, però, quelli che il presidente cinese sperava, ovvero incunearsi tra Europa e Stati Uniti per  riuscire in qualche modo a incrinare la compattezza dei due alleati atlantici nei confronti del suo paese. Malgrado i migliori sforzi del presidente francese Macron e della sua “diplomazia narcisistica”, non è servito portare il leader a visitare i lontani Pirenei, luoghi d’infanzia tanto cari al presidente francese, per smuoverlo dalla sua posizione, sempre uguale: non esiste un problema di sovrapproduzione cinese, ha riaffermato Xi, e la Cina non ha mai foraggiato e nemmeno appoggiato l’operazione militare speciale dell’amico Vladimir Putin in Ucraina.

Ora, poco importa che entrambe le posizioni mantenute da Xi Jinping non corrispondano alla realtà delle cose, sta di fatto che – per ora – il mini-tour europeo non ha cambiato nulla. Anzi, per quanto riguarda Pechino, un risultato – seppure indiretto, e non certo piacevole - lo ha avuto: Joe Biden, si è saputo oggi, è pronto ad annunciare a giorni nuovi dazi contro la Cina: nel mirino soprattutto le auto elettriche, la componentistica e le batterie. Insomma, proprio mentre il presidente cinese si trova in Ungheria, dove fra l’altro il colosso cinese di auto elettriche Byd si appresta ad aprire uno stabilimento che le consentirebbe di bypassare eventuali dazi europei, da Washington è arrivata la notizia che il presidente americano si appresta a presentare nuove misure contro Pechino, in particolare rivolte contro i veicoli elettrici, le batterie e i pannelli solari, produzioni in cui la Cina detiene una consolidata leadership globale, nel caso degli ultimi due, oppure sta per acquisirne, se andrà avanti cosi, in mancanza di freni, come sostengono appunto gli Usa, la supremazia. L’annuncio ufficiale potrebbe arrivare già martedì prossimo, stando a quanto riporta Bloomberg. Anche queste nuove misure, però, secondo gli esperti avranno un effetto limitato sulle aziende cinesi, in quanto le aziende di auto elettriche già evitano il mercato americano, mentre quelle di pannelli solari esportano negli Usa da paesi terzi per aggirare i dazi.

Ma anche se non risolutiva (dal punto di vista americano) la decisione rappresenta comunque una delle mosse più importanti di Biden nel suo confronto economico con la Cina, che ormai non è esagerato definire una vera e propria guerra, per fortuna finora solo commerciale. La decisione di Biden si basa sulla sua richiesta del mese scorso di aumentare le tariffe sull’acciaio e sull’alluminio cinesi e sul lancio formale di una nuova indagine sull’industria cantieristica cinese. I primi effetti si sono avvertiti subito in Cina, con lo yuan che si è indebolito alla notizia, mentre l'indice CSI 300 delle azioni cinesi è sceso fino allo 0,6% nelle prime negoziazioni. Gli Stati Uniti si oppongono alle “pratiche economiche sleali e alla sovraccapacità industriale” della Cina, aveva affermato Biden il mese scorso. “Non sto cercando uno scontro con la Cina. Cerco concorrenza, ma una concorrenza leale” ha insistito il presidente Usa. La decisione odierna di Biden sarebbe stata già formalmente presa in carico dall'ufficio della rappresentante commerciale degli Stati Uniti Katherine Tai , che il mese scorso ha dichiarato di aspettarsi la conclusione di una revisione iniziata nel 2022 e che si concluderà presto L’amministrazione ha cercato modi per rendere le tariffe più strategiche ed efficaci, ha aggiunto.

La mossa odierna arriva – come si è detto - dopo che Biden il mese scorso aveva proposto nuove tariffe del 25% su acciaio e alluminio cinesi come parte di una serie di misure per sostenere il settore siderurgico americano e corteggiare i suoi lavoratori in un anno elettorale. Un anno in cui sia Biden che Trump stanno lottando per essere visti come duri nei confronti della Cina. Biden ha firmato un disegno di legge il mese scorso che ha dato inizio a un conto alla rovescia affinché la piattaforma di condivisione video TikTok disinvesta dalla sua società madre cinese ByteDance Ltd. o abbandoni il mercato americano. Ma, in realtà, la decisione di Biden sul settore dei metalli è apparsa come in gran parte simbolica, in quanto attualmente la Cina esporta poco di entrambi i metalli negli Stati Uniti. Pechino ha risposto con moderazione alla minaccia di nuovi dazi metallici, imponendo tariffe sull’acido propionico statunitense, un mercato di esportazione del valore di 7 milioni di dollari verso l’America l’anno scorso, secondo i dati doganali. Tuttavia, l’aumento delle tariffe su uno spettro più ampio di settori potrebbe stimolare una risposta più forte da parte dei funzionari cinesi. L’intera gamma di dazi esistenti spazia dalle importazioni di input industriali, come microchip e prodotti chimici, ai beni di consumo, compresi abbigliamento e mobili. Trump ha imposto la prima delle tariffe nel 2018, citando la sezione 301 del Trade Act del 1974. Per anni, le divisioni interne hanno impedito al team di Biden di raggiungere un consenso su cosa fare riguardo alle tariffe. Alcuni funzionari, tra cui il segretario al Tesoro Janet Yellen, avevano sostenuto che la riduzione dei limiti sugli articoli per la casa avrebbe potuto contribuire ad alleviare l’inflazione statunitense.

Sul fronte delle restrizioni a batterie, componentistica e veicoli elettrici, appare difficile che l’Unione Europea segua le orme del presidente Usa. L’Ue infatti,  almeno per il momento, non sembra intenzionata a sollevare questioni analoghe, anche se la Commissione uscente aveva avviato una indagine sugli aiuti di Stato cinesi che potrebbero falsare il gioco della concorrenza dato che l’industria automobilistica dei Ventisette non ha goduto di simili incentivi. E se la Francia vuole attuare misure simili a quelle decise da Biden che costringano i cinesi a impiantare la propria filiera di valore sul suolo europeo pena non solo l’esclusione da incentivi e benefici fiscali, ma soprattutto l’imposizione di dazi, dall’altra parte i produttori tedeschi dicono alt: Thomas Schäfer, Ceo di Volkswagen Passenger Cars ha affermato: “Con i dazi c’è sempre il rischio di una sorta di ritorsione”, mentre ancora più incisivo è stato l’amministratore delegato di BMW, Oliver Zipse, che ha detto: “Rischiamo di spararci sui piedi”, perché “Non c’è una sola auto elettrica nell’Unione che non monti componenti provenienti dalla Cina”. Dobbiamo metterci in testa” ha insistito Zipse,  “che, al netto della propaganda politica non c’è Green Deal in Europa senza risorse cinesi”.

C’è poi all’ordine del giorno una questione forse ancor più delicata, una questione che gli Usa intendono cavalcare con decisione, che venga utilizzata come pretesto o meno: l’intelligenza delle auto elettriche cinesi che “raccolgono grandi quantità di dati sensibili sui conducenti e sui passeggeri e utilizzano regolarmente sensori e telecamere per registrare informazioni dettagliate sull’infrastruttura degli Stati Uniti” potrebbe rappresentare un rischio per la sicurezza nazionale, dicono a Washington. Secondo le ultime dichiarazioni della segretaria al Commercio Usa, Gina Raimondo: “Potremmo prendere provvedimenti estremi, ossia dire di no in toto a queste auto, oppure cercare una qualche forma di contenimento del problema”.  Ma il problema, appunto, c’è. In realtà, Biden e i suoi non hanno scoperto nulla di nuovo, visto che – in modo uguale  e simmetrico – il problema è già stato sollevato proprio dalla Cina e in Cina  dove, da tempo, alle Tesla (comprese  quelle prodotte a Shanghai, dove Elon Musk ha impiantato la principale fabbrica del Gruppo), secondo quanto riferito dal Wall Street Journal già nel 2021, viene impedito costantemente di circolare nei quartieri sensibili e nei dintorni dei luoghi in cui si riunisce il Partito comunista,  in quanto dotate di “occhi e orecchie” che potrebbero diventare “occhi e orecchie” per lo spionaggio di Paesi ostili (leggi Usa). E non basta, perché sempre a Tesla è stato vietato di esportare i dati raccolti in Cina dalle sue auto smart negli Usa perché – così la motivazione ufficiale - fossero analizzati e contribuissero a portare avanti lo sviluppo dell’Autopilot. Motivo? La sicurezza nazionale cinese sarebbe a rischio, hanno detto a Pechino.

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