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Lippi, Buffon e Gilardino: il Mondiale del 2006 rivive a Portofino

Il Ct dell'Italia campione del mondo si commuove per i suoi "eredi" Cannavaro e De Rossi: "Sono orgoglioso di quelli che vincono e di quelli che si salvano"

di Massimiliano Lussana   
Gigi Buffon e Marcello Lippi nel 2006 (Ansa)
Gigi Buffon e Marcello Lippi nel 2006 (Ansa)

Lo scenario è da sogno, il castello Brown di Portofino, con la Piazzetta sullo sfondo e tutte le sfumature, dal rosa, al fucsia, al blu, nessuna esclusa, a colorare il cielo. Ed essendo “gli stessi colori che cadono in mare, quando il cielo tramonta senza salutare”, è perfetto per raccontare questa storia dove la canzone di Bresh “Guasto d’amore”, inno del Genoa, è quasi una colonna sonora aggiunta, l’immagine in musica. L’assegnazione dei premi promossi da Telenord per il primo premio internazionale intitolato a Gianni Di Marzio, storico allenatore di tante squadre in serie A ed esponente del calcio più vero, quello di una volta, diventa l’occasione di rivivere i giorni esaltanti del mondiale del 2006 e Giampiero Timossi - direttore e conduttore della serata con Carlotta Nicoletti a fianco e l’editore Massimiliano Monti a fare gli onori di casa – è un perfetto narratore di questa storia. Al suo fianco c’è Federico Buffa, ma in questo incontro di chi ha vissuto il cielo sopra Berlino, il vero affabulatore è proprio Timossi, “Timo” per gli amici, che lega tutti i fili di questa storia. Fra i premiati ci sono Ilaria D’Amico e a sostenerla a Portofino c’è ovviamente Gigi Buffon, portiere di quella straordinaria Italia, l’allenatore del Genoa Alberto Gilardino, che di quella spedizione era una delle punte, e il commissario tecnico della Nazionale di Italia 2006 Marcello Lippi che ritrova due dei suoi ragazzi.

E proprio da Lippi è giusto che parta questa storia, perché quasi l’allenatore di mille vittorie si commuove per i suoi ragazzi che stanno facendo bene ovunque: ce n’è anche per la vittoria freschissima proprio di lunedì sera di Fabio Cannavaro e per lo straordinario campionato di Daniele De Rossi e i risultati in panchina di tanti altri dei “suoi ragazzi”, diventati a loro volta allenatori: “Sono orgoglioso di quelli che vincono e di quelli che si salvano”. Gigi Buffon è oggi cuore anima dello staff azzurro, “Alberto Gilardino ha disputato una stagione splendida come allenatore, con umiltà e grande capacità e io che ho giocato nella Sampdoria ho ovviamente una simpatia per i colori blucerchiati, ma Gila è riuscito a farmi tifare anche Genoa”. Alterna commozione e sorrisi, Lippi e si ferma a lungo nella serata portofinese, tanto che chi lo conosce bene ironizza con l’amico: "Marcello, devi essere veramente felice, perché vai sempre a letto con le galline e invece stasera non ti stanchi mai. Parlare di 2006 evidentemente ti esalta…".

C’è un clima magico questa sera, anche perché ciascuno ci mette qualcosa di suo. Alberto Gilardino in compagnia della sua splendida Alice, si illumina quando Manuela Litro, che è quasi il minimo comune multiplo e insieme il massimo comune denominatore della bellezza di questa serata e della Bellezza in generale,  racconta del progetto per riscattare i ragazzi delle periferie romane grazie alla musica classica con un metodo importato dal Venezuela da Claudio Abbado, semplice ed efficace, proprio come il gioco di Gila. Ed è l’occasione per "Gila" di raccontare la nascita del gesto del violino per festeggiare le sue centinaia di gol. “Eravamo a Parma e prima delle partite gli altoparlanti mandavano la musica della marcia trionfale dell’Aida. A quel punto, con Marco Marchionni ci inventammo il festeggiamento su ogni gol con me che facevo il violinista e lui si inchinava ad applaudire”.

Gila è sempre Gila, con un’umiltà, un’educazione e uno stile raro nel mondo del calcio, con una straordinaria onestà intellettuale che non sempre gli fa dire ciò che conviene dire, ma ciò che è vero. E’ stato così tutto l’anno tanto che il Genoa e il suo allenatore sono state una delle migliori sorprese della stagione, risultando nettamente la migliore neopromossa di tutti i cinque maggiori campionati europei e soprattutto dimostrandosi corretta giocando contro tutti, senza falsare il campionato. Complice Timossi, nei panni di Cupido con la barba, Gilardino e l’amministratore delegato del Genoa Andres Blazquez si stringono la mano e annunciano la firma del rinnovo del contratto, e Gianluca Di Marzio strappa la notizia: “Ma ci avete messo il premio Champions?”. La risposta è affermativa, anche se Gila ci va piano: “Il nostro compito sarà quello di confermarci, Andres tende sempre ad alzare l’asticella…”.

E anche Alberto chiude il cerchio con il 2006, ricordando quello che ha imparato da Marcello Lippi, “personalità e coraggio” e ricorda – insieme alle straordinarie imprese di Berlino – anche quella straordinaria anch’essa della salvezza con il Palermo, ottenuta all’ultima giornata con il Verona e Davide Ballardini in panchina e Gigi Di Marzio consulente tecnico: “Facemmo un gruppo straordinario con Stefano Sorrentino e Enzo Maresca e ottenemmo una straordinaria impresa”.

Tutto questo fa uscire anche una serie di aneddoti e di storie splendide, di un calcio color seppia che intreccia anche il grande cinema. Sotto la splendida notte di Portofino, citando Sorrentino, viene in mente che Neri Marcorè l’ha scelto come preparatore del ruolo del portiere per sè e per Alberto Paradossi in “Zamora”, regalandogli in cambio un cameo nel ruolo del portiere, ma questa volta dell’ingresso dell’azienda dove si svolge il film. E, visto che parliamo di camei, nel film oltre a Sorrentino, ci sono anche Pacifico in un quadretto, lo storico direttore del “Guerin Sportivo” Marino Bartoletti nei panni del custode del campo di gioco e l’amministratore del condominio-comprensorio di Neri in Sardegna nell’ultima scena del film.

Tutto questo sarebbe piaciuto moltissimo a Gianni Di Marzio, a cui è dedicata l’intera serata e viene ricordato con aneddoti esilaranti, da quando prendeva sotto braccio dicendo “ti parlo un minuto” qualcuno e poi lo  sequestrava per intere ore, copyright Ilaria D’Amico, a quando da tecnico del Genoa andava in tivù ogni martedì sera e la città si fermava, a quando i tifosi tagliarono e incendiarono le reti del campo di calcio per protestare contro la mancata conferma. O, come ricorda sempre ridendo, Gianluca Di Marzio, il suo papà giurava e spergiurava  cose che poi non erano vere, rigorosamente sulla sua testa.  Tanto che il povero Gianluca veniva chiamato da Gessi Adamoli e dall’ambiente del giornalismo sportivo genovese con il simpatico appellativo “il senzatesta”. E tutto questo, che magari non sarebbe stato gradevolissimo con altri protagonisti, diventa splendido declinato su Di Marzio. Emerge, da questa serata, il calcio di una volta. Ed è qualcosa che riconcilia con il calcio.

di Massimiliano Lussana   
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