Il Regno del Pianeta delle Scimmie Recensione

Il Regno del Pianeta delle Scimmie, la nostra recensione del primo atto di una nuova saga

08 maggio 2024
3.5 di 5

Il Regno del Pianeta delle Scimmie si ambienta secoli dopo le vicende di Cesare, c'è un nuovo protagonista alle prese con eterni problemi. E gli esseri umani non sono del tutto estinti. La nostra recensione del soft reboot di Wes Ball.

Il Regno del Pianeta delle Scimmie, la nostra recensione del primo atto di una nuova saga

La scimmia Noa (Owen Teague) vive con la sua tribù, in un mondo che dopo secoli ha un ricordo vago di chi fu Cesare, all'alba della Terra dominata dai primati. È costretto però ad affrontare questo mito quando la scimmia dittatore Proximus (Kevin Durand) pretende di incarnarlo, cominciando a schiavizzare le altre tribù. Spronato da un orango saggio, Raka (Peter Macon), crea una complicità con una degli esseri umani sopravvissuti in branchi allo stato brado, Mae (Freya Allan). Rimanere in equilibrio tra i due mondi era però difficile per Cesare... e non sarà più facile per Noa.

Matt Reeves chiuse su una nota molto alta il suo The War -  Il Pianeta delle Scimmie nel 2017, per un apprezzamento di critica e pubblico che non poteva lasciare dormiente questa saga storica. Tra quel film e questo soft reboot Il Regno del Pianeta delle Scimmie trascorrono nella realtà sette anni, il tempo necessario a elaborare le pratiche per la Disney, nuova proprietaria degli asset Fox dal 2019, e mettere in cantiere un prosieguo, affidato questa volta a Wes Ball: il regista s'intende di storie distopiche, avendo già trasposto sul grande schermo la trilogia di Maze Runner. Questi anni hanno anche consentito alla WETA Digital di impratichirsi ulteriormente con la tecnica della performance capture, che ormai può servire una storia in cui gli esseri umani sono del tutto marginali, magari immanenti dal punto di vista narrativo, ma poco presenti nel puro minutaggio: Il Regno è di fatto un film di animazione che viaggia parallelo a una ripresa dal vero, dove la fusione tra elementi reali e sintesi digitale degli ambienti e dei personaggi è talmente sottile, da non essere nemmeno recepita come "effetto speciale". Può anche darsi che il traguardo non stupisca ormai più nessuno, ma il fatto stesso che ci siamo abituati a questa eccezionale normalità è un punto d'onore per una saga che di questa "illusione di realtà" vive e respira (come non poteva fare di certo ai tempi del Pianeta delle scimmie del 1968!).

Il Regno del Pianeta delle Scimmie non è un film che stupisce, e vive di rendita sulla forza nera e cupa della trilogia precedente, pur essendo appena meno tetro: non è altrettanto teso, ma è un'avventura con tutti gli ingredienti giusti, dove si apprezza, più che la dinamica del racconto, l'attenzione a un aspetto fondamentale della saga, sin dal prototipo con Charlton Heston (citato qui in una scena di caccia a un branco di esseri umani). La rappresentazione degli esseri umani in questi film è sempre servita a strigliare le coscienze dello stesso pubblico, che viene invitato ad altalenare l'immedesimazione in Noa e quella in Mae, scoprendosi a riflettere sulle motivazioni della ragazza: l'elemento etico-morale, mantenuto ambiguo nella sceneggiatura di Josh Friedman (già dietro a Fondazione), funziona molto bene e aiuta a dare una dimensione di lettura in più al classico blockbuster che riavvia saghe, ammicca a "universe", si apre ai sequel e via discorrendo.

Il limite di un film come questo, a parte la durata di due ore e venti minuti (che non ci è apparsa molto necessaria), lo cercheremmo però appunto in un discorso esterno all'opera stessa. Non tutti trovano corretto questo approccio, perché può essere in effetti un po' ingiusto: alcuni sostengono che bisognerebbe concentrarsi solo su quello che si ha davanti sullo schermo, per quella durata. Negli ultimi anni tuttavia le major ci hanno abituato a leggere i loro "universi cinematografici" pensando costantemente al respiro più grande di una sovrastruttura narrativa, quindi è difficile non giudicare i progetti interi insieme ai singoli capitoli. Se la trilogia precedente narrava la perdita del potere da parte degli esseri umani e l'ascesa delle scimmie come specie dominante, sembra chiaro che questa nuova saga voglia ribaltare la dinamica, il che rende il meccanismo un po'... freddo. È come se si chiedesse al pubblico di accettare un "tira-e-molla" che potrebbe levare fascino e necessità alla precedente epopea di Cesare. Certi discorsi andrebbero lasciati chiusi per rafforzarne i messaggi, però magari i fan - davanti a un film pure piacevole - potrebbero essere in disaccordo con questo giudizio.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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